Parrocchia S. Giuseppe
Monza (MB)
Via Guerrazzi, 30

Tibu sugu
dal 3/6/2005 al 4/7/2005

Segnalato da

Sara Mazzocchi



approfondimenti

Sara Mazzocchi



 
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3/6/2005

Tibu sugu

Parrocchia S. Giuseppe, Monza (MB)

La malattia che fa cadere come pietre. La mostra nasce dall'incontro di un progetto umanitario e di una riflessione artistica, e testimonia degli incontri di Giovanni Diffidenti e Laura Morelli durante i due mesi di permanenza a Bandiagara.


comunicato stampa

La malattia che fa cadere come pietre

Mostra presentata in occasione della giornata di studio “Fra comunità di case e di parole. La casa di Erica”.

La mostra itinerante Tibu Sugu La malattia che fa cadere come pietre nasce dell’incontro di un progetto umanitario e di una riflessione artistica, testimonia degli incontri e delle relazioni intrecciate da Giovanni Diffidenti e Laura Morelli durante i due mesi di permanenza a Bandiagara e del paziente tentativo di avvicinamento e comprensione di una cultura diversa dalla nostra.

L’arte agisce in un contesto per certi versi nuovo, rifiuta il gesto eclatante per concentrare l’attenzione sulle storie individuali e racconta senza retorica una realtà che non va dimenticata; il lavoro fotografico di Giovanni e quello artistico di Laura nascono da un’esperienza di vita condivisa, la necessità di raggiungere un obiettivo comune stimola l’elaborazione di una metodologia che lega con un filo sottile le due componenti dell’operazione artistica: in un rapporto fluido di scambio e collaborazione i soggetti delle fotografie di Giovanni sono, in molti casi, le stesse persone a cui Laura chiede di realizzare un disegno; altre volte le esistenze che Laura percepisce e avvicina – con rispetto, attenzione e curiosità – diventano stimoli che spingono Giovanni a fotografare.

Laura stabilisce un contatto, si dispone all’ascolto e chiede ai malati e alle persone ad essi vicine la disponibilità a disegnare sé stessi e gli altri, gli oggetti della vita quotidiana così come il mondo degli spiriti, le paure e le speranze; la pratica del disegno diventa una chiave per cercare di svelare l’immaginario connesso a “tibu sugu” senza il filtro della verbalizzazione, per liberare segni a lungo custoditi, per dare forma a immagini celate con pudore. I disegni, spediti per posta in Italia, sono accompagnati in mostra da brevi storyboards che aggiungono la parola alla forza comunicativa delle immagini, raccontano il vissuto della persona che ha realizzato il disegno e le differenti opinioni a proposito della malattia “che fa cadere come pietre”.

Giovanni fotografa luoghi, uomini, donne, bambini, vite, paure, affetti: un universo sociale che, con declinazioni e modi differenti, ruota attorno al problema dell’epilessia. Ogni immagine ha la forza evocativa di un racconto: le persone malate, i famigliari e gli amici impotenti di fronte a “tibu sugu”, i guaritori tradizionali, i medici si mostrano con dignità e rivelano le molte implicazioni umane, sociali e religiose che accompagnano il fenomeno e che ne determinano la complessità.

Il progetto Tibu Sugu La malattia che fa cadere come pietre, che prevede anche la pubblicazione di un libro, presenta le potenzialità di un approccio artistico e creativo in cui “L'artista prende su di sé la responsabilità di porre in comunicazione ogni altra attività umana, dall'economia alla politica, dalla scienza alla religione, dall'educazione al comportamento, in breve tutte le istanze del tessuto sociale.” (Michelangelo Pistoletto, 1994)

Sara Mazzocchi

Epilessia viene dal greco “epilambanein”, ovvero essere colpiti di sorpresa.

Ecco la cosa straordinaria: l’improvviso presentarsi di una crisi che sconvolge una parte del corpo o di tutto l’individuo, riducendo la possibilità di controllo. Un vento che scuote d’improvviso le piante, il frangersi con violenza dell’acqua contro una barriera. Non una condizione permanente, ma un evento imprevedibile, la cui attesa genera ansia. Quando si riaprono gli occhi il primo desiderio è la necessità di essere accettati ed aiutati dagli altri. In qualsiasi latitudine, sotto ogni cielo.

La diagnosi non è una condanna: molti guariscono o riescono controllare le crisi, ma le conseguenze sociali di “tibu sugu” (in lingua Dogon la malattia che fa cadere come pietre) sono spesso più debilitanti della patologia.

In Mali (grande quattro volte l’Italia) ci sono solo due centri di cura dell’epilessia: nella capitale Bamako e a Bandiagara.

E' difficile quantificare il numero dei malati sparsi sul territorio. Una stima attendibile non esiste, data la difficoltà di fare statistiche serie in alcuni paesi africani,dove parte della popolazione non è neppure iscritta all'anagrafe.

Identificare con precisione il numero degli epilettici sarà il primo passo del progetto.

L’impotenza nel fronteggiare le crisi coinvolge l’individuo, l’ambiente familiare e la comunità che ritiene l’epilessia contagiosa e causata da malevole forze soprannaturali.

Per ciò che ci riguarda, non vogliamo essere salvatori di nessuno né dare giudizi su come vengono curati i malati, (la medicina tradizionale e l’uso di piante danno a volte buoni effetti, mentre la medicina moderna, che non appartiene alla cultura locale, ha lo svantaggio di essere costosa e poco reperibile) ma intendiamo condividere un progetto di solidarietà che ci leghi a questa gente.

“Ogni posto è una miniera: basta scavare per trovarci dentro ciò che cerchiamo”.

I Dogon ci offrono la possibilità di confrontarci con una cultura ricca, sorprendente, , spirituale, con un pensiero fortemente simbolico, che la malattia scarnifica e rende vivo.

Il soprannaturale sembra diventare pane quotidiano. Il loro modo di essere e di affrontare la malattia ci costringe a pensare e ad approfondire dimensioni nuove.

Ne parliamo con un antropologo, con dei medici, con Piero Coppo, l’etnopsichiatra che alla fine degli anni ’70 fu l’iniziatore a Bandiagara di una ricerca sulla malattia mentale dell’etnia Dogon.

Le notizie si moltiplicano. Tutti ci spingono ad andare avanti, fornendoci un piccolo tassello per costruire l’insieme.

Fondamentale si rivela dopo alcuni mesi l’incontro con padre Alberto Rovelli dell’ordine Missionari d’Africa (meglio conosciuti come Padri Bianchi) di Treviglio che da anni vive a Bandiagara.

Grazie a lui un universo difficile e sconosciuto ci apre le porte.

Come agire per sviluppare un progetto umanitario che riesca a sensibilizzare in maniera giusta chi ci aiuterà a proseguire?

Non è necessario fare del protagonismo. Dal 2001 in loco c’è già l’organizzazione umanitaria SO.PER.DI, composta tutta da maliani, che lavorano sul territorio per aiutare i malati mentali. Il presidente è Pakuy Pierre Mounkoro, psichiatra, direttore del Centro di Medicina Tradizionale di Bandiagara a cui fanno capo 400 villaggi dell’altopiano.

Nasce l’idea di collaborare con loro e con la parrocchia cattolica Maria Reine di Bandiagara per dar vita ad un progetto che non preveda solo la fornitura di farmaci (phenobarbital per un anno a 500 pazienti) e la costruzione di un ambulatorio, ma operi anche per sensibilizzare la popolazione e formi del personale locale da impiegare nelle zone rurali più lontane, a contatto con i malati e le loro famiglie.

I soldi non ci sono, ma una cosa è ben chiara: bisogna iniziare con una mostra le cui immagini non raccontino solo un dramma, ma rendano omaggio ad una cultura ricca e diversa.

Giovanni Diffidenti, fotografo di fama internazionale dice subito sì, e con lui Laura Morelli, artista di talento, che si butta nell’impresa senza remore.

La generosità dei Missionari d’Africa di Treviglio permette loro partire nel dicembre 2004 e restare due mesi a Bandiagara.

Entrano nelle case, parlano con i malati ed i loro parenti, cercano di capire: il nostro filo non si spezza, anzi ci tiene saldamente ancorati alla terra rossa del Mali.

Ora la prima parte del progetto è finita. Sta a chi visita l’esposizione decidere se darci una mano nel continuare.

Ci auguriamo che i contributi offerti possano far vivere con maggior dignità decine e decine di malati

Nicoletta Prandi

progetto umanitario
missionari d’africa_ padri bianchi. treviglio/bg
so.per.di._ organizzazione non governativa _bandiagara/mali
progetto artistico e testi - laura morelli
fotoreportage - giovanni diffidenti
a cura di sara mazzocchi
testo introduttivo - nicoletta prandi
ottimizzazione allestimento - patrizia berera
collaborazione all’allestimento - marco asperti
grafica - qwentès, milano
comunicazione - rivista “Africa. missione e cultura”
idea di nicoletta prandi e paolo pellegrini

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