In mostra, una selezione di circa 20 straordinarie opere vintage della grande fotografa-rivoluzionaria di origine italiana, presentate per la prima volta ad un pubblico di galleria in Italia.
In mostra, una selezione di circa 20
straordinarie opere vintage della grande fotografa-rivoluzionaria di origine
italiana, presentate per la prima volta ad un pubblico di galleria in Italia.
Scattate durante il periodo della rivoluzione culturale messicana degli anni
Venti, che vide Tina Modotti protagonista e accesa sostenitrice, le opere in
mostra presentano magistralmente quella sintesi di ricerca formale e impegno
sociale che caratterizza il lavoro di Tina Modotti; sono immagini semplici e
dirette, che sono entrate nella storia della fotografia proprio per l’enorme
carica emotiva e poetica che riescono a trasmettere: un’amaca, i ritratti dei
compagni di lotta e degli amici, alcuni frammenti dei murales politici di Josè
Clemente Orozco, il volto di un bimbo, una donna che porta una enorme bandiera
sulla spalla.
A testimonianza del profondo e importante legame tra Tina Modotti
e Edward Weston, vengono inoltre esposti alcuni splendidi ritratti eseguiti dal
grande maestro americano all’epoca della loro intensa e tormentata storia
d’amore.
Sempre, quando le parole arte e artistico vengono applicate al
mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo. Questo è dovuto sicuramente
al cattivo uso e abuso che viene fatto di questi termini. Mi considero una
fotografa, niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto
di solito in questo campo, è precisamente perché io cerco di produrre non arte,
ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni. La maggior parte dei
fotografi vanno ancora alla ricerca dell’effetto artistico, imitando altri
mezzi di espressione grafica. Il risultato è un prodotto ibrido che non riesce a
dare al loro lavoro le caratteristiche più valide che dovrebbe avere: la qualitÃ
fotografica. Negli anni recenti si è molto discusso se la fotografia possa o non
possa essere un lavoro artistico comparabile alle altre creazioni plastiche.
Naturalmente ci sono molte opinioni diverse. Ci sono quelli che accettano
veramente la fotografia come mezzo d’espressione alla pari con qualsiasi altro ,
e altri che continuano a guardare in modo miope al ventesimo secolo con gli
occhi del diciottesimo, incapaci di accettare le manifestazioni della nostra
civiltà meccanica. Ma per noi che usiamo la macchina fotografica proprio come il
pittore usa il pennello, queste opinioni non hanno importanza. Noi abbiamo
l’approvazione di coloro che riconoscono i meriti della fotografia nei suoi
aspetti multipli e l’accettano come il più eloquente, il più diretto mezzo per
fissare, per registrare l’epoca presente. Sapere se la fotografia sia o non sia
arte importa poco. Ciò che è importante è distinguere tra buona e cattiva
fotografia. Per buona si intende quel tipo di fotografia che accetta tutte le
limitazioni inerenti la tecnica fotografica e usa al meglio le possibilità e
caratteristiche che il medium offre. Per cattiva fotografia si intende ciò che è
fatto, si potrebbe dire, con una specie di complesso d’inferiorità , senza
apprezzare ciò che la fotografia in sé stessa offre, ma al contrario, ricorrendo
ad ogni sorta di imitazioni. Le foto realizzate in questo modo danno
l’impressione che l’autore quasi si vergogni di fotografare la realtà , cercando
di nascondere l’essenza fotografica stessa della sua opera, con trucchi e
falsificazioni che può apprezzare soltanto chi possiede un gusto deviato.
La
fotografia, proprio perché può essere prodotta solo nel presente e perché si
basa su ciò che esiste oggettivamente davanti alla macchina fotografica,
rappresenta il medium più soddisfacente per registrare con obiettività la vita
in tutti i suoi aspetti e da questo deriva il suo valore di documento. Se a
questo si aggiungono sensibilità e comprensione e, soprattutto, un’idea chiara
sul ruolo che dovrebbe avere nel campo dello sviluppo storico, credo che il
risultato sia qualcosa che merita un posto nella produzione sociale, a cui tutti
noi dovremmo contribuire.
(Tina Modotti, Sulla Fotografia , in Mexican
Folkways, ottobre - dicembre 1929)
Note biografiche.
Tina Modotti nasce a
Udine il 17 Agosto 1896 da una famiglia poverissima. A 12 anni lavora in una
filanda. Nel 1913 raggiunge il padre emigrato a San Francisco. Lì lavora come
operaia in una fabbrica tessile e poi come sarta, ma inizia anche a recitare
nelle filodrammatiche di Little Italy. Nel 1917 conosce il poeta e pittore
Roubaix de l’Avrie, con il quale si trasferisce a Los Angeles. Lavora a
Hollywood come attrice di cinema muto. Nel 1922 Roubaix de L’Avrie - che nel
frattempo era diventato suo marito - muore, e l’anno successivo, Tina si lega al
fotografo Edward Weston, trasferendosi con lui in Messico. In quegli anni,
grazie ai preziosi consigli del grande fotografo suo compagno, si dedica alla
fotografia e aderisce al Partito Comunista. Nel 1928 è al fianco del
rivoluzionario cubano Julio Mella. Dopo il tentativo di golpe in Messico, viene
espulsa dal paese. Inizia a girare per l’Europa, prima in Germania, poi a Mosca
e infine in Spagna durante la guerra civile. Muore il 5 Gennaio 1942 a Città del
Messico, a bordo di un taxi, forse per un attacco di cuore.
immagine courtesy Photology Milano
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