Hotel Charleston
Spoleto (PG)
Piazza Collicola, 10

Il gioco quotidiano della vita
dal 1/7/2005 al 17/7/2005
349 5978973

Segnalato da

Carla Novak




 
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1/7/2005

Il gioco quotidiano della vita

Hotel Charleston, Spoleto (PG)

Andrea Improta e Federica Frapparelli. Il lavoro degli artisti muove dalla volonta' di misurarsi con la rappresentazione di una realta' quotidiana mai banale, in contrasto con la tendenza a raffigurare situazioni dal contenuto visibilmente 'forte'.


comunicato stampa

Andrea Improta e Federica Frapparelli

Questo è il titolo piuttosto eloquente che Andrea Improta e Federica Frapparelli, i due giovani artisti, autori della mostra, hanno scelto di dare alla loro personale, allestita in un contesto prestigioso e di grande respiro culturale come è quello dello Spoleto Festival. Mostra di cui sono peraltro curatori e che rappresenta l’intenzione manifesta di impegnare il loro talento su di un tema comune, indagato da due diversi versanti delle arti visive, la pittura e la fotografia.
Dall’incontro fra le loro sensibilità umane ed artistiche nasce questo lavoro che muove le mosse dalla volontà precisa di misurarsi con la rappresentazione di una realtà per l’appunto quotidiana ma mai banale, in contrasto con la dilagante tendenza a raffigurare situazioni dal contenuto visibilmente “forte” per così dire, come se la vita nella sua normalità non avesse la dignità per essere messa in immagine, per essere comunicata attraverso essa.

Su questo presupposto si sviluppa il loro lavoro che, attraverso sette quadri e dodici fotografie, mostra visibilmente, è proprio il caso di dire, che non vi è inconciliabilità fra pittura e fotografia nel rapporto che esse intrattengono con la realtà ma semplicemente una diversità di linguaggio. In effetti che si tratti di una pittura parietale o cubista, invece che di un graffito, un manifesto o una fotografia, comprendiamo che vi è un nucleo di significazione costante, nonostante le evidenti dissimiglianze.

Che l’immagine sia la produzione più o meno cosciente di un soggetto è un fatto; che sia la rappresentazione concreta e percettibile di qualcosa, anche; che costituisca un messaggio in grado di attivare un processo di comunicazione fra autore, opera e pubblico è inevitabile ed indubitabilmente vero. E’ il fatto stesso che sia una rappresentazione di qualcosa, con la quale intrattiene un rapporto di analogia nel significato che è proprio del termine greco analogos, ovvero proporzionale a determinare ciò. In altre parole è il carattere di somiglianza, di mimesis imperfetta, tra la rappresentazione ed il reale, che consente una sorta di messa in immagine del mondo. Sebbene la fotografia sembri poter rendere la realtà nella sua oggettività e poterla infinitamente riprodurre, a dire il vero anche essa mostra unicamente un’interpretazione del reale, perché ripropone una somiglianza e non ha la capacità di esser copia diretta del reale.
Tanto la pittura, quanto la fotografia sono in questo senso immagini, la cui rispondenza con il mondo esterno non è infatti la medesima. Nonostante i vari modi con cui a partire dal 1839, anno in cui fu divulgata in una memorabile seduta dell’Accademia delle Scienze di Parigi la scoperta del primo procedimento fotografico allora denominato Daguerrotypie, pittori e fotografi si sono reciprocamente influenzati e hanno rubato gli uni dagli altri, una foto non molto diversamente da un quadro è il risultato di un processo nel quale si utilizzano comunque rappresentazioni schematiche e convenzionali. Resta il fatto che le loro procedure rimangono sostanzialmente distinte. Tant’è che “il pittore costruisce, il fotografo rivela”. E tale diversità di fondo è visibile anche nel lavoro di questi giovani artisti.

Se allora la cifra stilistica di Federica Frapparelli può essere rintracciata nella personale tecnica utizzata nella realizzazione dei suoi dipinti, attraverso la frammentazione e la destrutturazione dell’immagine per poi ricomporla in vari modi e “ costruire” la realtà come costante mutamento, quella di Andrea Improta può essere spiegata ricordando il pensiero di Avedon che ha dichiarato: “Quasi tutte le mie fotografie sono affettuose, delicate, personali. Tendono a far sì che l’osservatore veda con i propri occhi. Tendono a non predicare. E non vogliono porsi come arte”.
Margherita Filipponi

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