Galleria Ca' di Fra'
Milano
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Leonida De Filippi
dal 16/11/2005 al 10/12/2005

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Galleria Ca' di Fra'



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Leonida De Filippi



 
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16/11/2005

Leonida De Filippi

Galleria Ca' di Fra', Milano

Non ci si orienta sul tempo. Il nuovo progetto pittorico dell'artista si snoda all'interno di un sistema binario, di un gioco degli opposti. Dentro/fuori. Bianconero/colori. Privato/pubblico. Reale/artificiale. De Filippi alterna con regolarita' le due tipologie di dipinti, assumendosi il rischio dello spiazzamento.


comunicato stampa

Non ci si orienta sul tempo

Il nuovo progetto pittorico di Leonida De Filippi si snoda all’interno di un sistema binario, di un gioco degli opposti. Dentro/fuori. Bianconero/colori. Privato/pubblico. Reale/artificiale. Tutto ciò non fa che accrescerne il valore concettuale, la consapevolezza che l’immagine è una delle risorse possibili della pittura ma non ne esaurisce né il compito né il destino. Nell’allestimento disinvolto e innovativo di questa mostra De Filippi alterna con regolarità le due tipologie di dipinti, assumendosi il rischio dello spiazzamento.

In alcuni quadri riconosciamo immediatamente il suo stile e le sue iconografie, altri invece ci sorprendono proprio a causa della loro (apparente) dissonanza. Non ci si orienta sul tempo, dichiara fin dal titolo l’artista milanese sottolineando così la necessità di un approccio più meditato che scavi nella complessità senza accontentarsi del senso immediato che pure una pittura così felice potrebbe suggerire.

Per De Filippi c’è un’immagine interiorizzata, dunque privata, e un’altra pubblica naturalmente condivisibile con gli altri. I quadri in bianco e nero nascono da un’esigenza interna, raccontare ciò che egli stesso vede in un percorso di osservazione del quotidiano. Prendendo spunto dalla differenza che esiste tra la visione ordinaria e quella straordinaria –ad esempio, se andiamo a visitare una città che non conosciamo tendiamo a soffermarci con attenzione sull’architettura, l’urbanistica, gli edifici, i musei ecc… mentre il luogo in cui viviamo finisce per esserci così familiare che in realtà non ne conosciamo affatto i particolari- De Filippi tiene a sottolineare che proprio nella normalità si celano gli aspetti più interessanti. Questi dipinti dunque nascono da una “passeggiata” dell’artista in zone di Milano a lui familiari. Ciò che si vede nel quadro corrisponde esattamente all’inquadratura in soggettiva, come se l’autore girasse con una videocamera pedinando un soggetto o mappando un territorio da vicino. Non si tratta dunque di un’opera nata singolarmente, ma di diversi episodi inseriti in un unico progetto che, proprio per questa ragione, si basa su un procedimento concettuale e che trova più contatti con lavori non pittorici. Ad esempio in Following Piece (1969) Vito Acconci, ripreso a sua volta da una telecamera, seguiva di nascosto degli estranei origliando i loro discorsi, mentre in una versione più moderna Francesco Jodice con Secret Traces (work in progress dal 1999) fotografa delle persone nel tragitto da un luogo all’altro (dalla casa al lavoro, per esempio). Facendo coincidere il proprio sguardo con la camminata dell’ignaro cittadino raccoglie le tracce dei luoghi e delle architetture, questi i veri protagonisti della ricerca antropologica. In Usuale, un video del 1995, Luca Vitone come in un mantra contava i passi che, nel percorso quotidiano, separavano l’abitazione dallo studio.

Questo bisogno di indagare la propria realtà e di trarre conclusioni dall’osservazione ravvicinata e capillare –Stefano Boeri evidenzierebbe come conseguenza di tale atteggiamento il limite della visione satellitare che svela senza rivelare, che denota ma non connota- si scontra con l’immagine universale, quella che noi siamo portati a condividere con gli altri senza che però questi “altri” abbiano un volto preciso. Se i dipinti in bianco e nero di Leonida De Filippi nascono da un bisogno di realtà privata, interiore e sollecitano un’indagine territoriale a corto raggio, le opere a colori prendono spunto dall’immagine pubblica, tanto reale da apparire artificiale come in un video gioco o in un format tv: scene di guerra, bombardamenti, sbarchi di clandestini, tutti soggetti spogliati di ogni carica drammatica perché completamente de-realizzati attraverso l’immersione in un colore fittizio –il fondo giallo, blu, verde è acido e piatto- e per via del ricorso a un tratto che estremizza l’unità di misura del pixel televisivo. In De Filippi ciò che avviene nel quotidiano privato e personale tende a chiarirsi e a universalizzarsi ma, allo stesso tempo, tramite la pittura ciò che noi conosciamo come vero perde il potere della realtà e si trasforma in gioco del reale stesso.

Si è teorizzato a oltranza sulla messa in crisi della rappresentazione in seguito agli attentati dell’11 settembre (gli aerei lanciati contro le torri erano veri o si trattava della sequenza di un film?) come se la finzione avesse mostrato clamorosamente i propri limiti. Eppure, a distanza di anni, si torna a discutere di simulacri e si mettono in scena, proprio nelle nostre città, simulazioni di attacchi terroristici la cui necessità parrebbe soprattutto mediatica, corrispondendo in tutto e per tutto a ciò che del reale ci è dato vedere. Anche nella pittura di De Filippi il rapporto con il “vero” rientra a pieno titolo nel regno della finzione, al punto che quando utilizza immagini “pubbliche” le tratta come un’estensione dello schermo televisivo o della playstation. Per tornare alla realtà, per compiere un’esperienza conoscitiva, l’artista suggerisce di cercare allora le ragioni di essere nel quotidiano, aprendo gli occhi su immagini ordinarie che per troppo tempo ci sono sfuggite e che invece appaiono rivelatrici. Questo atteggiamento è perseguito da tempo nell’arte concettuale, nella fotografia, nel cinema -si pensi ai magnifici film dei fratelli Dardenne (La promesse, 1996, Rosetta, 1999) o del regista marsigliese Robert Guediguian (Marius e Jeannette, 1997; La ville est tranquille, 2000; Marie-Jo e i suoi due amori, 2002) per cui non a sproposito si è parlato di un nuovo realismo poetico- assai più raramente da un mezzo erroneamente ritenuto “tradizionale” come la pittura. Per tale ragione questo nuovo progetto di Leonida De Filippi si può considerare innovativo e stimolante, nel suo mutuare linguaggi e spunti da altri media, nel porre la pittura come uno strumento di relazioni e non in quanto sistema chiuso, nel non ritenere l’immagine unico fine ma nel porre l’accento sul processo formativo e sullo sviluppo teorico di essa.

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