Tra viluppi e ricami
Tra viluppi e ricami
A cura di Roberto Bigi
“Quando nasciamo gridiamo perche' vivere e' terribile"
Hans Hartung, il pittore francese d’origine tedesca (Lipsia, 1904), e' a Milano.
Senza dubbio un evento, ancor piu' importante quando si “manifesta" in una galleria
privata, e se poi e' la “Cafiso Arte" che fa della storia dell’arte contemporanea il
suo fiore all’occhiello, la circostanza diventa ancora piu' ghiotta.
L’esposizione,
gia' di per se' di grande interesse, risulta esserlo ancora maggiormente rappresenta
uno dei piu' concreti contributi al “Maestro" dopo la sua dipartita, avvenuta ad
Antibes nel 1989.
Potrebbe pero' essere considerata una mostra importante si', ma
“routinaria", se non fosse stata organizzata in stretta collaborazione con la
“Fondazione Hans Hartung e Anna-Eva Bergam" di Antibes.
Curata da Roberto Bigi, che
ne ha selezionato le opere, la “personale" dell’artista e' composta da piu' di
sessanta quadri - in maggioranza su tela e carton isorel - e ha il proposito di far
conoscere al fruitore l’attivita' artistica del ’900 di questo “gigante solitario",
nel periodo che dagli anni ’60 si spinge fino alle ultime tele degli anni ’80.
In
particolare la rassegna affronta il tema piu' caro al geniale “artefice": le
risoluzioni tecniche da lui create fin dai primi anni ’70 sviluppando il “grattage"
e la propria incommensurabile capacita' di saper sfruttare ai suoi fini la
“gestualita'", soprattutto grazie ad accorgimenti tecnici come l’uso di pennelli
opportunamente modificati, l’impiego di rulli, di semplici scope e altri oggetti
comuni adattati, con i quali “graffiava" o “spruzzava" il puro colore. Hartung pero'
non si limito' a questo, creando inoltre una specie d’alfabeto composto da segni che
non hanno avuto - a quanto risulta - emuli nell’arte astratta dello scorso secolo.
Senza dubbio vi furono artisti come l’italiano Arturo Vermi che, pur partendo da
presupposti diversi, invento' simbologie similari nei suoi Diari, probabilmente
tra le sue opere piu' note: fogli bianchi su cui l'uomo-artista traccio' una specie
di scrittura, di “impronta". In loro il gesto dell’artista si ridimensiono' fino a
divenire quasi impercettibile, tramite la “forma-foglio", con la quale conferi' ai
propri “componimenti" l'impressione del “reportage" allo stesso tempo pubblico e
privato. Quelle tele “alludevano a pagine, colonne di giornali, lapidi, archivi.
Non vi fu solo la massima riduzione del linguaggio, ma anche la conversione del
diario soggettivo nell'oggettivita' della scrittura, insieme primaria."
Dopo essersi “avvicinato" a Franz Marc, a Kandinsky, al Cubismo, ed al “contatto
espressivo" con il Surrealismo di Masson e, successivamente con quello assai piu'
“espressivo" di Gonzales, dal 1932 Hartung comincio' a comporre opere astratte,
ricercando in esse infinite varianti sul tema di un fitto incrociarsi di linee,
sullo sfondo di uno spazio tonale, una “grafia eruttiva", come la defini' Franz
Mayer nel 1967 in un volume della serie Arte Moderna. Fu esattamente questa
“grafia eruttiva" che formo' la personale, quanto caratteristica, “essenzialita'"
delle sue elaborazioni pittoriche, dove il segno peregrinava e si arricciava su
fondi “inconsistenti"ed “atmosferici", tutto cio' accadeva negli anni ’30.
Conclusasi tragicamente la II guerra mondiale, Hans Hartung pervenne - anche a
causa dei traumi subiti per via di quest’ultima - a definire il proprio metodo
artistico, vale a dire la “gestualita'" pura, come testimonio' egli stesso: “La
nostra esperienza si e' costituita con tutto quello che abbiamo vissuto. Ho
freddo, ho caldo, soffro tutti i movimenti interiori del mio corpo, ecco tutto
quello che mi da' accesso alla conoscenza del mondo. Quando bambini entriamo nel
mondo gridiamo […] Quello che proviamo e' molto piu' forte dei rossi, degli azzurri
che vediamo attorno a noi. E per noi pittori tutto questo e' da esprimere". Questo
“sfogo" dimostra il rapporto dell’artista d’origine tedesca con la propria
pittura, una pittura che, appunto, coinvolse tutta la sua esperienza esistenziale
divenendone l’espressione piu' immediata, la sua “oggettualizzazione" piu'
manifesta. Scrisse a tale proposito Giulio Argan: “Se per Mondrian l’agire
dipendeva dal conoscere, per Hartung il conoscere dipende dall’azione."
Sommo interprete del “tachisme" europeo, Hans Hartung trascino' al suo vertice il
metodo dello "automatismo psichico" - nato col Surrealismo, anche se con uno
stile piu' personale. Solo il “gesto", traccia dell’ispirazione, restava in
rilievo sulla tela: la mano di Hartung “disegnava" andamenti, grovigli, linee che
derivavano dalla forza espressiva della qualita' d’energia emanata dal suo
semplice atto.
La pittura era, per lui, una manifestazione della globalita' delle sue esperienze di
vita “vissuta", probabilmente anche per questo motivo Hartung fece dell’astrattismo
la propria forma d’arte.
Astratto, percio', rifuggendo in questo modo da ogni tipo di geometrismo allora in
voga e, soprattutto, dall’emergente “pittura informale", basando il proprio stile
solo sull’immediatezza del segno. Nelle sue opere e' addirittura difficoltoso trovare
dei titoli, sostituiti dalla sua sigla assieme all’anno d’esecuzione, cio' come
ulteriore negazione del suo legame con la realta' del “vissuto". Ecco spiegato il
perche' l’indagine pittorica di Hans Hartung si distanziava dalle attivita' di altri
pur eminenti artisti a lui contemporanei nel campo dell’arte “astratta", anche a
causa del suo totale distacco dal soggetto - ulteriore riprova del proprio modo di
concepire l’esistenza.
La sua “processualita'" artistica divento' l’elemento basilare
che gli permise di concepire la propria “espressivita' visiva", alla quale rimase
fedele fin dall’inizio della sua professione. Operazione con la quale aspirava a
divulgare - principalmente - un progetto estetico: un metodo, quello dell’artista
“francese", di limitazione della pittura ai suoi elementi primari, sostituendo cosi'
alla classica “rappresentazione visiva" il colore, il segno, la materia impiegati
spontaneamente, senza nessun’allusione - o perlomeno senza alcun riferimento
consapevole - alla realta'.
Tra i primi esponenti della “action painting", Hartung produsse, tramite azioni
“impulsive", tratti di colore nero e graffi - che hanno tuttora l'aspetto
d’inequivocabili opposizioni -, ripetuti fino a ricoprire la tela. L’incisivita'
del “segno" e la liberta' dell’aspetto pittorico rendevano concreti i complicati
legami strutturali tra l’immagine nera e le porzioni di colore.
“Come in un algoritmo, un principio generativo che da' origine a qualcosa di
inaspettato, attraverso una dialettica tra il campo cromatico e le linee, i graffi,
le sgocciolature del materiale pittorico. L’effetto e' di un’estrema tensione
emotiva." Con queste parole ha recentemente - e lodevolmente - interpretato il suo
procedimento tecnico il critico d’arte Luca Vona per la rivista telematica Extrart.
Dalla meta' degli anni ’60 il maestro ritorno' ad una pittura “a macchia dilatata",
confusa, annientando ogni rapporto tra “segno" e “spazio"." Tramite l’impiego
dell’acrilico e del vinile, la gestualita' di Hartung si fece sempre piu' veloce e
spontanea, maturando un’inedita metodologia artistica che caratterizzo' la
produzione in serie degli ultimi trent'anni della propria esistenza. I suoi
quadri possono ricordare il potere della trepidazione che si esprime nell’atto
creativo. Per questi ed altri motivi, la pittura di Hartung rimarra' per sempre
una “astrazione" che si pone - indubbiamente - in un ambito intensamente
“spirituale", nonche' proprio della natura umana.
La mostra e' illustrata da un libro/catalogo che, oltre all’intervento critico di
Maurizio Calvesi, contiene la biografia integrale dell’artista, che “appare" con
le proprie citazioni autobiografiche - grazie all’intensa ricerca della
“Fondazione Hans Hartung e Anna-Eva Bergam".
Un apparato iconografico, comprendente tutte le opere - parecchie delle quali
inedite - di Hartung, completa il volume.
Vernissage: 27.10.2005 ore 18.30
Galleria Cafiso Arte
Piazza San Marco, 1 - Milano
Orari: da Martedi' a Sabato 9-13 e 15-19