I lavori proposti indagano le infinite possibilita' di percepire la realta', nel suo continuo mutare, nella duplice direzione degli eventi naturali e del corpo umano; la tecnologia unita allo sguardo apre orizzonti inesplorati, concede visioni ipnotiche e incessantemente mutevoli, in una dinamica in cui reale e virtuale si intrecciano irreversibilmente.
Mutate percezioni
Giunto alla sua terza prova, dopo aver esposto le opere di Antonio Ruffini e le sculture di Pasquale Mastrogiacomo, il giovane spazio espositivo BAC (Bagnoli Arte Contemporanea) propone le opere di due artisti salernitani, Lucilla Nitto e Roberto Bove.
Sorto nel cuore del quartiere napoletano, un tempo proiettato verso una specifica destinazione produttiva, mai del tutto cancellata nelle tracce vive di un’archeologia industriale, visibile, presente nel paesaggio, tuttora in fase di riconversione, il BAC si pone come uno spazio assolutamente inedito nel panorama dei centri espositivi: non una galleria vera e propria, ma un ‘osservatorio’, laboratorio analitico che cerca di leggere nel tessuto creativo l’emergere e il mutare di inedite realta' visive. Nell’intenzione del curatore, l’artista Pietro Loffredo - che ha piu' volte esposto in sedi di grande rilievo, sia in Italia che all’estero - si tratta di offrire attraverso mirate e attente operazioni allestitive, un panorama dei diversificati linguaggi visivi (prima e' toccato all’arte figurativa e alla scultura, ora alla fotografia e ai video).
Nel progetto complessivo, che prevede non piu' di quattro mostre in un anno, il curatore si pone come obiettivo quello di far emergere la pluralita' delle forme espressive, con una scelta attenta degli artisti, cui cerca di ritagliare un preciso statuto linguistico, nella diversita' e multiformita' della produzione che li riguarda.
Emblematico il caso dei due videomaker salernitani, con le opere qui proposte ad una svolta nel loro percorso di ricerca: da alcuni anni collaborano alla realizzazione di video, con un reciproco intersecarsi di ruoli, anche se la Nitto nello specifico lavora sulle immagini e Bove elabora le tracce sonore.
Qui appunto il loro lavoro e' ad una svolta. Dopo una produzione connessa principalmente alla denuncia sociale e al recupero di una memoria visiva sedimentata nel territorio e nelle persone stesse (i video Visionari e Victimae mundi), ripresa e recuperata nel fare stesso dell’uomo, nel suo incidere sulla realta' e nelle cose, ora il baricentro si e' spostato in un territorio piu' arduo ma anche piu' intrigante, per gli sviluppi inediti che puo' offrire: quello dell’interrogarsi sui propri mezzi espressivi, sulla capacita' che essi hanno di cogliere lo svolgersi delle azioni, sulle potenzialita' ancora in fieri del linguaggio stesso della visione.
I due nuovi lavori qui proposti indagano le infinite possibilita' di percepire la realta', nel suo continuo mutare, nella duplice direzione degli eventi naturali e del corpo umano; la tecnologia unita allo sguardo apre orizzonti inesplorati, concede visioni ipnotiche e incessantemente mutevoli, in una dinamica in cui reale e virtuale si intrecciano irreversibilmente.
L’interrogativo di fondo che sollecitano questi lavori e' quello di un necessario, ma a volte inquietante, chiedersi cosa sia piu' ormai da considerare reale, quale sia lo spazio della realta' e quello dell’immaginario, aprendo uno squarcio verso nuovi psichedelici territori.
Il video Kyo (termine acquisito dalla filosofia buddista che richiama l’energia primaria), nel suo generarsi in immagini di terra e acqua, di una natura accattivante ma quasi irriconoscibile nella sua essenzialita' materia, si offre come una sorta di modello generativo, una dichiarazione di poetica, in cui l’immagine stessa e' natura, una natura naturans che si autogenera e si riproduce, pur tradendo un debito evidente alla tradizione pittorica occidentale. Dall’immagine ne scaturisce un’altra, e poi un’altra ancora, in un ciclico rimando. La costruzione, il montaggio, il ritornante commento sonoro, amplificano e sottolineano la dimensione quasi onirica, creando un paesaggio cromatico dalle tonalita' volutamente algide. Nelle intenzioni dei due autori l’opera e' da considerarsi il primo capitolo di una quadrilogia dedicata agli elementi naturali.
Il secondo lavoro proposto mark e' costituito da cinque pannelli fotografici che ritraggono un medesimo corpo femminile, un corpo ferito ma esaltato nella teatralita' della messa in scena. La gestualita' gioca, nel netto incidere di luci e ombre, con la nostra dubbia capacita' di leggere la drammaticita' della storia individuale, nell’affabulazione continua a cui ci sottopongono i media, lasciandoci inerti nel continuo fluire di immagini, disturbati ormai dall’alternanza soporifera di orrore e bellezza patinata. Nuova genetica e dolore, ricerca della perfezione e spiritualita', questi gli ambiti, i confini dell’indagine visiva.
La mano, che apre e chiude Kyo, tuttavia, dichiara immediatamente e apertamente la sua appartenenza: l’uomo rimane in definitiva l’elemento di riferimento, il perno attorno a cui tutto ruota; una concessione questa al positivo svolgersi degli eventi, ma allo stesso tempo un argine verso un’indagine che e' qui solo all’inizio.
Fabio De Chirico
Inaugurazione: 26 gennaio
BAC (Bagnoli Arte Contemporanea)
via Di Pozzuoli, 84 - bagnoli (Napoli)