Oh! Pylon Heaven. "Vedo 'The Oppressed' come un lavoro in divenire. Mi piace che le scatole scompaiano e nuove le rimpiazzino. L’idea e' che sia mobile, un gruppo sul bordo della sommossa, destinato ad essere fluido... potrebbe essere senza fine. (...) Questo e' il mio primo sforzo consapevole per riunire il linguaggio del design e l’astrazione, senza che l’uno domini l’altra" Scott King
Sonia Rosso: "Oh! Pylon Heaven" e' il titolo della mostra...
Scott King: Si...ho passato in rassegna circa 20 titoli prima di decidermi. E’ cominciato con “And The Pylons Stretched For Miles" che e' un verso di una canzone degli Earl Brutus - la canzone e' ambientata nello Yorkshire, da dove io vengo. Mi piaceva perche' mi ricordava quei paesaggi: piatti, scuri e coperti da tralicci dall’aria sinistra, sia industriali che agricoli, ma romantici. Mi piacciono i tralicci, come le centrali elettriche, sono simboli di quella parte del Nord Inghilterra. A Natale, quando stavo ancora cercando di pensare ad un titolo, per la prima volta andai a trovare i miei genitori nella loro nuova casa - si sono trasferiti in un posto ancora piu' remoto di Goole (da dove provengo). Ora vivono sulle rive dell’Humber e mentre stavo guidando verso il loro paese, la strada era costeggiata da enormi tralicci e ho gridato OH! PYLON HEAVEN, cosi' e' rimasto come titolo. E’ stato solo piu' tardi che ho letto su internet che richiama una terribile setta occulta.
SR: Nella mostra sembra esserci qualcosa di nuovo rispetto ai tuoi precedenti lavori: l’installazione “The Oppressed". Potresti dirmi qualcosa al riguardo? La grafica e' molto importante per il tuo lavoro e, sebbene, “The Oppressed" e' ovviamente vicino ad un concetto di grafica, e', pero', tridimensionale...hai trovato interessante questa nuova modalita' di lavoro?
SK: Oh! Hector, ho amato lavorarci. Stavo cercando da un po’ di uscire da una grafica lineare, molto pura e severa. Ho cominciato utilizzando la grafica dura del linguaggio del computer tentando, contemporaneamente, di dirigermi lontano da qualsiasi cosa fosse troppo manifestamente PUNK. E, per me come graphic designer, ha funzionato. Penso che il mio graphic design fosse molto meno decorativo di qualsiasi altro, ma non era necessariamente l’unica via che volevo percorrere come artista. Ho anche realizzato di aver raggiunto il capolinea dal momento che mi ha condotto fino al punto in cui era diventato cosi' “ridotto" che non c’era quasi rimasto piu' nulla - come l’anno scorso ad Art Basel. Cosi' ho deciso di ricominciare ancora. Ho voluto fare qualcosa, ritornare a qualcosa di piu' palesemente PUNK e improvvisato. Penso che la severa grafica era diventata troppo severa - le persone non l’hanno capita - e, invece, voglio che la gente capisca cio' che faccio, e' molto importante per me.
Vedo “The Oppressed" come un lavoro in divenire. Mi piace che le scatole scompaiano e nuove le rimpiazzino. L’idea e' che sia mobile, un gruppo sul bordo della sommossa, destinato ad essere fluido...potrebbe essere senza fine.
SR: C’e' anche qualcosa di nuovo nelle stampe...sembrano andare verso una sorta di astrazione...anche il tuo progetto a Statement, Basel 05, dal titolo “Too-Rye-Aye Comrade", proseguiva in questa direzione
SK: Questo e' il mio primo sforzo consapevole per riunire il linguaggio del design e l’astrazione, senza che l’uno domini l’altra: nei lavori precedenti c’e' sempre stata una dominanza dell’astrazione, penso al progetto di Basilea o, pu' spesso, una predominanza di “informazione". La serie presentata qui, intitolata “DOT TOILET TOURS" e' un tentativo di prendere elementi di informazione (una mappa dell’UK e le date del tour di una band) e applicarli utilizzando le regole del design, pur riconoscendo che il risultato potrebbe essere, piu' o meno, completamente astratto (quando la mappa dell’Inghilterra verra' rimossa).
E’ stato un motivo per trovare una serie di regole che mi permettessero di creare lavori astratti ed esporre queste regole a certe condizioni (lasciando le date dei tour sull’immagine, mentre rimuovevo la mappa che indicava dove andassero collocati i punti). Sono soddisfatto dei risultati, sebbene siano dei lavori abbastanza difficili da fare e, forse, difficili da capire immediatamente. Non sono, infatti, ne' interamente astratti ne' completamente informativi...cosi' hanno fallito, o forse proprio per il fatto che hanno fallito nel non essere completamente ne' astratti ne' informativi, indica che funzionano. Sono diventati degli ibridi...qualcosa d’altro. Vorrei puntualizzare che cosa sono: i tre pezzi nella mostra, “This Cahrming Man", “Love Will Tear Us Apart" e “Overkill", documentano tutti i concerti realizzati da The Smiths, Joy Division e Motorhead rispettivamente prima che avessero una hit all’interno della classifica degli UK top 40 single. Queste cose, sebbene siano in qualche modo pittoriche e illustrative, rimangono comunque ancora potentemente riduttive nella rappresentazione. Cosi', l’ultimo concerto dei Joy Division prima che Ian Curtis si suicidasse - questo evento storico, un concerto per il quale avrei felicemente dato il mio braccio destro per essere presente - e' ridotto ad un fluorescente punto su un pezzo di carta. E questo e' importante per me: l’ho ridotto ad un punto, l’ho esorcizzato... Con modalita' diverse, questo e' quello di cui tutto il mio lavoro tratta: cercare di intendere le cose che io amo o interrogarmi rispetto a quelle che mi hanno formato.
SR: Nei tuoi lavori, trovo molto interessante quando giochi con i “punti". Per due motivi: il primo e' che le tue opere mi ricordano l’Op Art e il secondo perche', al contrario, ne sono molto lontane. Sto pensando alla serie “Minor Bureaucratic Disasters" che presenti in mostra o a “Dot Gigs" etc. Il tuo lavoro sembra solo apparentemente partire da un idea di “formalismo" per poi sovvertirla completamente.
SK: Questo riguarda anche il bisogno di regole. Io amo alcuni aspetti dell’Op Art e, in particolare, Josef Albers che ovviamente la precorre e che , probabilmente, e' stato il “nonno dell’Op Art". Ma che ragione avrei di fare dell’Op Art? Se penso a qualcos’altro, ad una situazione come puo' essere un famoso concerto, ad una rivolta, al raduno di Norimberga, ad una mappa che ritrae un tour nel Regno Unito, allora posso in qualche modo ideare un diagramma che rappresenti tali situazioni e quindi mi sento come se stessi procedendo con il mio linguaggio, come se stessi narrando una storia su qualche cosa di cui si potrebbe essere a conoscenza oppure no, ma raccontando quella storia in un modo che allude ad un linguaggio che accettiamo come “arte". Cosi', l’idea di questo tipo di opere, simile a quella dei lavori di cui abbiamo discusso prima, e' che essi siano in continua evoluzione, degli ibridi: risentono sia dell’ Op Art che del design ed e' un dualismo che mi esalta. Non vorrei mai essere un "nuovo artista Op" ne' un “designer legato al linguaggio del computer"...ma esistono degli aspetti di queste due pratiche che mi affascinano...
Tra le recenti mostre di Scott King (2005-2006): “Other people’ s project", White Columns, NY; ‘Regarding Terror: The RAF Exhibition’, Kunst-Werke, Berlin, Germany; ‘Herald St & The Modern Institute’, GBE, NY; ‘Bridge Freezes Before Road’, Barbara Gladstone, NY; ‘So klappts’, Mouson Frankfurt, Germany;‘Post No Bills, White Columns, NY; ‘What Now?’, CRAC Alsace, Altkirch, France;
‘Lee Brilleaux Memorial Bench’, White Columns; NY;‘Too-Rye-Ay Comrade’, galleria Sonia Rosso, Turin, Art Statements, Art Basel 36
Galleria Sonia Rosso
via Giulia di Barolo 11/h I - 10124 Torino