Barbara Barbantini
Won-Yeon Chung
Anna Fassauer
Anila Rubiku
Stefania Schubeyr
Massimo Palazzi
Barbara Barbantini, Won-Yeon Chung, Anna Fassauer, Anila Rubiku, Stefania Schubeyr. Nel corso del loro soggiorno a Novi Ligure hanno realizzato progetti pensati appositamente per interagire con la citta', le sue strutture e, non ultimo, i suoi abitanti.
Barbara Barbantini, Won-Yeon Chung, Anna Fassauer, Anila Rubiku, Stefania Schubeyr
a cura di Massimo Palazzi
progetto grafico di Emanuela Drago
Nel corso degli ultimi venti anni una folla di donne ha fatto irruzione nelle file degli artisti contemporanei. Il loro corpo, finalmente libero dal ruolo giocato nell’universo maschile della storia dell’arte per incarnare i desideri dell’uomo - o almeno rispondere alle sue aspettative - ha cessato di essere un campo di battaglia.
Dopo un periodo di rivendicazione femminista e ricerca di una specificita' in grado di distinguere il loro lavoro da quello dei colleghi maschi, le artiste hanno cominciato a sviluppare nuove iconografie formate sulla propria sensibilita'. Oggi, le differenze si confondono nell’abbondanza di proposte dell’arte contemporanea e parlare di arte femminile puo' sembrare un errore o una posizione sessista.
Indipendentemente dai diversi contesti sociali e culturali da cui provegono, Barbara Barbantini, Won-Yeon Chung, Anna Fassauer, Anila Rubiku, Stefania Schubeyr, come molte altre, hanno potuto scegliere la creativita' come attivita' professionale. Nel corso del loro soggiorno a Novi Ligure hanno realizzato progetti pensati appositamente per interagire con la citta', le sue strutture e, non ultimo, i suoi abitanti.
A loro si rivolge innanzi tutto questa manifestazione, il cui fine e' quello di mostrare ai passanti un nuovo modo di vedere la realta' di tutti i giorni. Un punto di vista diverso, a volte rialzato su tacchi a spillo, ma quasi sempre no.
Puo' un maglione di Prada tenere piu' caldo di quello fatto con ferri dalla mamma ? Anila Rubiku (Durazzo, Albania, 1970) sa bene che in quanto ad amore e affetti le firme non contano. Originaria dell’Albania, vive attualmente a Milano. L’interesse principale della sua arte sta nella condizione senza nome tra sentirsi a casa propria ed essere continuamente in viaggio. Anche se parla perfettamente tre lingue straniere e ha una formazione internazionale che le consente di sentirsi a proprio agio nella frenesia del mondo occidentale, in quanto immigrata porta comunque in se lo strappo di un trauma da ricucire. I suoi ricami e i delicati lavori di punteggiatura veicolano una forte energia vitale che diventa visibile in forma di pura luce. Ma il suo lavoro e' anche interazione e dialogo con le strutture che la circondano e la gente a cui offre la sua ricerca, talvolta semplicemente per divertirsi e ridere insieme. Cos’erano le sue esortazioni, domande e riflessioni attaccate ai muri nel labirinto delle calli veneziane nel periodo della 51a Biennale d’arte ? Niente altro che la presenza di un ipotetico compagno di viaggio, che interagisce con i pedoni disorientati invitandoli a riflettere sulla loro situazione.
Nel lavoro di Anila la condizione del viaggiatore descrive l’esperienza della vita di tutti i giorni, con le sue storie, i desideri e tutte le cose utili a coccolarci come un capo firmato o la libreria Bookworm prodotta da Kartell. Anche se di fatto la vita non e' una questione di lusso, gli oggetti del desiderio meritano l’attenzione dell’artista perche' una casa di cioccolato puo' essere pia' dolce di casa propria. Con un gusto amaro.
Le relazioni che legano le persone sono una materia delicata. Alcune possono essere sottili come un filo di lana rosso attaccato con del nastro adesivo per le strade di Berlino, nonostante le macchine, i tram e tutte le situazioni piu' o meno pericolose che si possono incontrare. E’ proprio quanto Won-Yeon Chung (Seoul, Corea del Sud, 1974) ha fatto per coprire la distanza tra il suo citofono e la casa di un ragazzo dal quale era attratta. E’ stato come un gioco ingenuo o un’azione rituale condotta per segnare il percorso di una speranza. Ma quando ha capito che il tipo non abitava piu' la', la ragazza ha preso la via di casa, riavvolgendo con cura quasi 1 Km e mezzo di lana. Alla fine con quella lana Won-Yeon ha fatto una sciarpa, lunga 5 metri e larga abbastanza da avvolgere le sue spalle, in grado di tenerle caldo nel freddo autunno berlinese. Ci sono volute circa 40 ore di lavoro a maglia per capire che quell’amore era troppo immaturo per sbocciare...
Le relazioni umane sono al centro del lavoro di Won-Yeon. Non importa se le minime storie che evoca vengono dalla sua esperienza personale o da come la gente reagisce alle sue operazioni artistiche: la magia improvvisa e delicata di un incontro puo' essere abbastanza universale da fornirle il materiale, il soggetto e il contenuto di un efficace progetto artistico. The unespected gaze e' il titolo di una serie di lavori che combinano l’immagine di un articolo ritagliato da un giornale col dettaglio ingrandito della faccia di chi - per un guizzo di curiosita' al momento dello scatto - guarda l’osservatore da dentro la foto. E’ su simili coincidenze che Won-Yeon costruisce il suo lavoro e, in qualche modo, si identifica con quelle persone e il loro caratteristico sguardo da estranei.
Il contesto urbano e la cronaca sembrano avere senso solo in quanto ambientazione per le invisibili catastrofi emozionali che permettono alla vita di andare avanti, indipendentemente dall’architettura e dalla storia. L’energia della vita stessa diventa visibile nel progetto pensato per Novi. Le sottili linee rosse disegnate da un centinaio di bambini della scuola elementare possono trasformare la griglia delle strade in un sistema organico e dinamico in grado di esprimere la reale presenza di cio' che e' ed e' sempre stato essenziale: l’amore che sentiamo.
Arte, moda e teatro si confondono nelle creazioni di Barbara Barbantini (Castelnovo Monti, Reggio Emilia 1970), nota come Puella nel mondo dei giovani stilisti femminili. Consapevole di come gli accessori possano creare diversi personaggi, Barbara gioca con le sue modelle come una bambina che veste e sveste le bambole. La fotografia e il video sono gli schermi su cui proietta le profonde visioni dell’universo femminile dove il sogno di una bellezza pura e ingenua getta ombre misteriose. La bassa qualita' un po’ vintage delle polaroid crea la vaga ambientazione campestre della serie Pic-Nic. Il setting riflette i sentimenti delle ragazze nascoste dietro maschere di animali a suggerire la loro ambigua natura di oggetti del desiderio confusi da timidezza e ingenuita'. Non c’e' seduzione pero'. Nel mondo artistico di Barbara gli uomini non hanno il permesso di entrare, proprio come non entrano in una boutique e non sfogliano le riviste femminili.
A dispetto del soffice feltro e delle stoffe colorate dei loro vestiti, le delicate eronine di Barbara sono chiuse in se stesse come dentro un’armatura. Affascinata dalla rigorosa bellezza della disciplina, l’artista ha estratto alcuni fotogrammi da un video di gare di atletica per bloccare la concentrazione e la tensione che trasfigura la fisionomia di un’atleta nel ritratto di una dea. Un’atmosfera onirica e mistoriosa circonda tutti i lavori di Barbara, non importa se si tratta di arti visive o di creazioni di moda. Viene da un’introspezione nell’inconscio femminile condotta a ristroso - occhi chiusi e piedi nudi - fino a una purezza adolescenziale che sfiora la perversione. La video installazione Frederique et moi e' ispirata ai segreti condivisi dalle collegiali del romanzo I beati anni del castigo di Fleur Jaggy. La sua atmosfera sospesa e' il risultatato della combinazione del falso sfondo fornito da un anonimo poster degli anni Ottanta con la delicata eleganza delle vesti bianche. Qui si parla l’alfabeto muto dei bambini. Silenziosamente il liguaggio visivo si fa verbale, liberando frasi spesso sepolte nel profondo delle pagine dei diari segreti delle adolescenti. ''As tu froid?''
“Lo spazio e' aperto e' il mondo: la mia azione non vuole essere descritta dentro dei confini" l’affermazione di Stefania Schubeyr (Genova, 1973) si riferisce al punto focale del suo lavoro fotografico in continua evoluzione, ricerca che ha che fare con la pratica di raccogliere tracce e prove che assumono significato una volta mostrate nella loro totalita'. Le immagini trovate e altri piccoli frammenti che evocano perdute storie personali attraggono l’artista in un modo quasi ossessivo.
Ogni cosa le permetta di percepire la presenza di vicende sconosciute, accadute da qualche parte in qualche momento, stuzzica la sua curiosita'. Fotografando oggetti, trovati principalmente per caso, Stefania sbircia dentro mondi sconosciuti e segna le tappe di un’investigazione che conduce piu' a fondo, al di la' della superficie, al valore intimo delle cose fino al nocciolo della loro esistenza. Quando si avvicina al soggetto, l’artista adotta un atteggiamento da detective, per esempio riproducendo fotografie per ingrandirne dettagli rivelatori. Ce qui passe, ce qui reste e' una composizione di immagini bianco e nero che mostrano solo delle gambe stese su una spiaggia. Estratte da una serie di instantanee scattate all’inizio del secolo scorso, queste immagini agiscono fuori dal loro contesto come un memento mori e raccontano chiaramente cosa e' rimasto di quella gente sdraiata al sole in un giorno d’estate. Paradossalmente in questo processo l’inquadratura diventa il contenuto: questo e' fondamentalmente cio' che fa Stefania quando registra la realta' con la sua macchina.
Non c’e' bisogno di dire che il viaggio e' la perfetta condizione per chi cerca qualcosa di inaspettato e sconosciuto per capire perche' accanto a immagini e oggetti Stefania colleziona anche spazi e luoghi. E, considerando il suo bisogno di indagare le cose in profondita' risalendo alla loro vita passata, e' facile comprendere come possa essere particolarmente affascinata da cantieri e scavi urbani. Non e' la volonta' maschile di penetrare la terra che la guida, ma solo l’atteggiamento femminile di ritornare alle radici per capire il valore del prezioso materiale estratto. L’opera che ha concepito per Novi segna un passo successivo nella sua ricerca. Lavorando in un particolare tipo di cavita', il teatro Romualdo Marenco al momento chiuso per restauri, Stefania si e' confrontata con una materia molto speciale, temporaneamente tenuta al di fuori di quel luogo: la gente alla quale mostra le fotografie del loro teatro sui cartelloni affissi per le strade di Novi Ligure.
Il mondo dei media che mescola realta' e finzione per soddisfare il suo incessante bisogno di sguardi affamati e' la fonte principale del lavoro di Anna Fasshauer (Colonia, Germania 1975). Assemblando un’ampia gamma di materiali diversi l’artista - che al momento vive a Berlino - crea potenti sculture e installazioni che spesso assumono il carattere di ironici interventi urbani. Nell’opera realizzata aggiungendo fiamme di cartone dipinto ad alcune carcasse di auto bruciate trovate in un’area periferica londinese, l’estetica dei cartoni animati diventa lo strumento per rapportarsi a fatti tragici con un ingenuo atteggiamento ludico. In questo modo Anna cerca di evidenziare la mancanza di consapevolezza e, al tempo stesso, il senso di impotenza tipici del nostro modo di reagire di fronte ai fatti politici e sociali riportati dai media.
La spontaneita' della realizzazione e l’ironia si fanno pungenti nel video Dropping airplanes. Girato in attesa di partire dall’aereoporto J.F.K. di New York, mostra una serie di aerei di linea che decollano e scompaiono dallo schermo precipitando semplicemente grazie a un improvviso movimento della telecamera. Ma c’e' un veicolo in particolare che e' diventato una vera ossessione nel lavoro di Anna: l’automobile. Emblema del mondo consumista e di molta della sua popolazione maschile, viene caricata dall’artista del fascino di un feticcio schiacciato dal peso di pesanti bagagli che evocano immagini di genti in migrazione o riempito di esplosivo per trasforare l’auto in una bomba nel caso di attacchi terroristici. Un tipico esempio della ricerca di Anna e' l’azione chiamata “esperimento in verde e bianco" che esplora la violazione dell’immagine convenzionale di un potere producendone una caricatura gocciolante. Dopo aver rozzamente dipinto con i colori della polizia tedesca un’auto abbandonata in una strada di Berlino, l’artista ha ripreso la reazione degli agenti attratti da questo gesto tanto inconsueto quanto sospetto. Nonostante inizialmente avesse pensato a un progetto diverso, in occasione del lavoro presentato a Novi, Anna ha deciso ancora una volta di lavorare con un’auto e di nasconderla in un gigantesco pacco postale. Amore e odio la legano alle molte auto che ha creato finora e pensa continuamente che vorrebbe utilizzare altri soggetti. Ma proprio non ci riesce.
Inaugurazione e presentazione del catalogo venerdi' 3 marzo h. 17.30
Comune di Novi Ligure, Salone di rappresentanza
Via Paolo Giacometti 22 - Novi Ligure (AL)