In mostra, una serie di immagini basate sulla ripresa ravvicinata, in cui l'artista isola dei dettagli di corpo e conferisce loro, giocando sulle pose delle modelle e sulle ombre, un inedito ordine compositivo.
Piu' Nudo
La Galleria 70 inaugura mercoledi' 8 Marzo, alle ore 19, la mostra personale della
fotografa Ewa-Mari Johansson dal titolo Piu' Nudo. Si tratta di una serie di immagini
basate sulla ripresa a distanza ravvicinata, in cui l'artista svedese isola nel
riquadro della Hasselblad dei dettagli di corpo e conferisce loro, giocando sulle
pose delle modelle, sui rapporti tra le forme, sulle ombre, un inedito ordine
compositivo. Cio' che la Johansson riesce ad ottenere con sorprendente immediatezza
e chiarezza di intento e' un nudo che, pur conservando intatta la sua sensualita',
rinuncia ai propri confini e relazioni con lo spazio circostante e si organizza
secondo un funzionamento autonomo; spesso, anche, secondo un'articolazione
differente da quella dettata dall'anatomia. Attraverso un procedimento concettuale
che si imparenta ad un tempo con quello proprio della scultura, della pittura e
finanche dell'architettura, la Johansson fa del corpo femminile una sorta di
composizione astrata vivente e ci offre una visione che evidenzia im maniera estrema
la sostanziale differenza esistente tra opera d'arte e realta' sensibile da cui
questa trae spunto. Le 21 fotografie in mostra, realizzate in bianco e nero tra il
2004 e il 2005, sono tirate ciascuna in cinque esemplari numerati e firmati.
L'esposizione si protrarra' fino al 13 Maggio.
Uno degli aspetti piu' affascinanti dell'arte consiste nella sua facolta' di
rinnovarsi perpetuamente a partire da temi che sono, in fondo, sempre gli stessi.
Questo dato, rilevabile in ogni opera prodotta dalla nostra specie, assume
un'evidenza emblematica se consideriamo il nudo femminile, dopo le impronte delle
mani nelle grotte di certo la rappresentazione piu' antica al mondo, che per migliaia
di anni con le sue migliaia di forme, con il suo profondo e sacro significato legato
alla vita e alla creazione, ha scandito la storia e l'evoluzione del genere umano.
Svedese, statuaria, nome da Grande Madre, Ewa-Mari Johansson e' fra gli artisti che
hanno qualcosa da aggiungere alla sterminata serie di variazioni realizzate
attraverso le epoche traendo ispirazione dal corpo femminile. Da un punto di vista
formale, le sue immagini non apportano in vero elementi di grande novita', dal
momento che si presentano come inquadrature di dettaglio non molto dissimili dalle
tante viste ad opera degli autori piu' diversi nella storia della fotografia; e cosi'
produce una certa impressione, quando le si guarda per la prima volta, riscontrare
indubitabilmente da quanta originalita' e forza esse siano animate. Del tutto prive
di quelle connotazioni estetizzanti e forse un po' superficiali cui a volte
soggiacciono esiti dello stesso genere, queste raffigurazioni si impongono anzitutto
per la severa concentrazione delle loro atmosfere. Vi e' in esse pathos, afflato
metafisico e una forte tensione verso il raggiungimento della forma compiuta e
definitiva, poiche' per il tramite della forma soltanto trova espressione e costrutto
il loro introverso lirismo.
Forse perche' donna, Ewa-Mari Johansson non trasmette attraverso i corpi che ritrae
alcun atteggiamento estatico o contemplativo. Il suo nudo e' sempre sottoposto a una
lucida regola che lo modella come cera, lo elabora, lo semplifica e gli conferisce
infine una bellezza esatta, una qualita' estetica come quella contenuta in una
dimostrazione matematica. E' insieme fotografa, scultrice, coreografa e architetto
questa artista, mentre si studia di estrarre nuova armonia dai corpi e dalle pose
delle modelle, dalle ombre, dai passaggi di luce, dalle geometrie. Cio' che le riesce
non e' un dettaglio, ma una potente immagine che, affrancatasi dai propri confini e
dalle relazioni con lo spazio circostante, conduce esistenza autonoma e si dichiara
in tutto autosufficiente, giungendo a fare a meno persino di quell'irrinunciabile
controcanto, di quella sorta di ombra che e', per la figura, lo sfondo.
Spingendo l'obiettivo a una distanza significativamente ridottissima, la Johansson
va a rivelare l'essenza piu' intima e riposta del nudo; ne mostra l'anima e il
meccanismo. Il fascino, la sensualita', il gesto della donna, la perfezione formale e
la grazia, e' come se venissero distillati attraverso l'occhio della sua Hasselblad.
Soffuse di quel vago senso di vertigine che sempre deriva dalle cose troppo vicine o
troppo lontane, le opere di questa artista si manifestano al nostro sguardo come
inusitate, singolari astrazioni viventi, esemplari di una specie forse non ancora
descritta. Non e' facile dire cosa siano e a che cosa somiglino, anche se differenti
e vari sono, come spesso accade per cio' che possiede identita' veramente originale e
complessa, i termini di paragone che possono venire ad esse accostati. A volte, con
il ritmo sontuoso dei loro volumi, queste immagini fanno pensare alle sculture di
Moore; altre, alle chimere muliebri di Hans Bellmer o persino, in certi casi, a
qualcosa come il Parco Guell di Gaudi'. E ancora, per il fatto di essere composte
unicamente di forma e cadenza, per non avere mai un volto e neppure un inizio o una
fine, evocano talora paesaggi ininterrotti e assoluti, come le colline che vicino a
Enna si rincorrono spoglie e senza ombra di vegetazione fino all'orizzonte. O forse,
come le dune che si vedono da Tenere, per la tribu' dei Daza, del Sahara centrale, il
piu' bel paesaggio esistente al mondo, dal momento che, dicono, non vi e' nulla.Eugenio Bitetti
Inaugurazione: Mercoledi' 8 Marzo, alle ore 19
Galleria 70
Via della Moscova, 27 - Milano
Orari: 10 -13.30 / 16 - 19.30. Chiuso domenica e lunedi'