Cabaret Voltaire
Bologna
via Orfeo 32/2

Juliet a Bologna
dal 9/3/2001 al 31/3/2001

Segnalato da

Juliet




 
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9/3/2001

Juliet a Bologna

Cabaret Voltaire, Bologna

S'inaugura presso lo spazio promozionale del C-Voltaire di Bologna, una collettiva promossa dalla rivista Juliet di Trieste, con opere di Sabrina Notturno, Antonio Sofianopulo e Oreste Zevola. La mostra costituisce un'altra tappa nell'esplorazione del territorio della rappresentazione pittorica che il curatore, Roberto Vidali, ha intrapreso ormai da anni, in un cammino che si è spesso incrociato, in forma di dialogo e scambio, proprio con le opere dei tre artisti presenti in mostra.


comunicato stampa

S'inaugura presso lo spazio promozionale del C-Voltaire di Bologna, una collettiva promossa dalla rivista Juliet di Trieste, con opere di Sabrina Notturno, Antonio Sofianopulo e Oreste Zevola.
La mostra costituisce un'altra tappa nell'esplorazione del territorio della rappresentazione pittorica che il curatore, Roberto Vidali, ha intrapreso ormai da anni, in un cammino che si è spesso incrociato, in forma di dialogo e scambio, proprio con le opere dei tre artisti presenti in mostra. Un'esplorazione che sembra destinata a continuare ancora a lungo, dato che il territorio in questione, come foresta amazzonica, torna a coprirsi di nuova vegetazione appena dopo che vi si è tracciato un sentiero.

Come avvicinarsi, dunque, al territorio della pittura? Proviamo servendoci, come passpartout, di parole d'artisti: "Vedo ogni cosa che dipingo in questo mondo - diceva Blake - ma non tutti vedono così". Meno esplicitamente visionario, Francis Bacon gli faceva eco affermando: "Le immagini dei miei quadri scivolano dentro alla mia mente come diapositive in un proiettore". Ecco già che non pare di dover cercare descrizioni più efficaci per un processo che racchiude spesso un insondabile mistero, e che è capace di rendere manifeste (in forma di immagine) possibilità altrimenti inesprimibili.

E sono proprio le parole di Bacon a suonare come la migliore introduzione al lavoro di Antonio Sofianopulo, che nel corso degli anni ha elaborato sempre più efficacemente una visione che manifesta una capacità di affrontare la pittura quale "realtà parallela" al nostro modo di vedere. Ecco un'immagine, il fuoco nel cielo; ecco un volo di stornelli, e un cervo, e un tamburo. L'incongruenza in rapporto al linguaggio formulato da una logica discorsiva cozza con un'immagine che c'è, che è lì sulla tela, e che è vera proprio per esser già stata vista, prima che da noi, dall'autore stesso nel corso del processo di trasferimento o di proiezione, da immagine mentale a figura "reale". Per Sofianopulo, allora, il quadro è una possibilità aperta, perché non vuol "dire" niente o, certamente, niente di particolare, così come un suono o un verso, ma aprire a ciò che, invisibile, pare non esistere. Eppure basta sedersi a guardare il mare e aspettare che il pensiero si sgombri della zavorra del quotidiano.

Così anche in Sabrina Notturno che, al pari di Sofianopulo, intrattiene un personalissimo rapporto con il mondo degli animali, e sa creare atmosfere dal sapore vagamente familiare perché intese a evocare una leggerezza disponibile solo alla purezza della visione infantile, legate a una maniera di vedere che tutti abbiamo un tempo avuto, ma che, come la schiettezza, la curiosità, e un tentacolare appiglio alla realtà circostante che abbiamo perduto per strada. Questa perdita si traduce così in una forma di nostalgia ma anche di disappunto, che traspare dal fatto che i protagonisti dei suoi quadri, perlopiù pennuti e roditori, si trovano alle prese con un mondo a volte trasognato a volte derubato della sua natura(lezza) dall'intrusione della mano dei "grandi". Alla resa di quest'atmosfera contribuisce in buona parte il colore, che a soggetti e scene capaci a volte di convogliare una grande leggerezza conferisce, per i suoi toni sempre misurati, una solennità da affresco. Altre volte è la natura stessa, in forma di picchi incombenti e di ghiacci perenni, a introdurre nei lavori della Notturno quella "distanza" che è misura dell'incolmabile differenza tra la natura stessa (ciò che "rimane") e l'uomo (ciò che "passa").

Oreste Zevola, dal canto suo, sposta l'attenzione su un panorama più squisitamente mentale e, dei tre, riesce in qualche modo più prossimo a una pratica figurativa che si mantiene saldamente legata alla storia dell'arte, dell'arte vista anche come possibilità di sondare i terrori della psiche, come fece il Surrealismo, per rintracciare i frammenti, ancor più che di una visione, di una condizione. Non è lontano, il suo lavoro, da quello di Sofianopulo. Qui, però, l'immagine non è un'estroversione che si appoggia su dati naturalistici, che ingloba sempre un "ambiente" fattosi ambientazione, quinta teatrale, sfondo. Zevola opera un'attenta depurazione di gran parte degli elementi narrativi accessori e restringe il campo a una singola nota, in una sintesi che diventa un pensiero preciso, senza tante possibilità di fuga in interpretazioni personali. Lavoro più sobrio - cromaticamente, dimensionalmente, matericamente - richiede forse una maggiore attenzione e, concedendo meno, a un primo sguardo, racchiude tanti piccoli dettagli che formano un'atmosfera rarefatta, come in certi disegni di Klee, e non è forse un caso che sia proprio il disegno, anche in Zevola, a sostenere l'intera impalcatura dell'opera.

Visti insieme, i lavori dei tre, aldilà di più o meno evidenti affinità o divergenze, diventano un potente catalizzatore per un pensiero che si trincera troppo spesso dietro il proprio stesso limite.


Inaugurazione: sabato 10 marzo ore 18


C-Voltaire, piazza Mentana 10, Bologna

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