Di Francesco Gennari. Nella storia dell'arte due gesti si sono ripetuti per secoli: quello con cui il pittore iniziava a ritrarre le cose guardandole riflesse in uno specchio e l'altro che consisteva nel guardare la realta' esterna come appariva al di la' di un vetro trasparente. La mostra e' stata inaugurata venerdi' 30 marzo 2001 e sara' aperta fino a sabato 21 aprile 2001.
di Francesco Gennari.
Nella storia dell'arte due gesti si sono ripetuti per secoli: quello con
cui il pittore iniziava a ritrarre le cose guardandole riflesse in uno
specchio e l'altro che consisteva nel guardare la realtà esterna come
appariva al di là di un vetro trasparente. Allo stesso modo, o forse allo
stesso tempo, i due trucchi servivano per fissare il mondo accidentale
nello spazio assoluto della tela. Entrambi i gesti nascondono e manifestano
quali inquietudini tormentino l'artista: stare nel mondo, davanti alle
cose, vederle, rappresentarle, riprodurle convinto di poter uscire fuori da
questo meccanismo umanistico. Stare lì in quella posizione metafisica, ma
fuori dei limiti del mondo, cioè dei limiti del soggetto e della tecnica,
in modo da far coincidere l'esatta visione di un'immagine con quella di
dio, che è il solo ad essere dotato di sguardo assoluto, cioè di uno
sguardo che coincide assolutamente con la cosa in sé e nelle sue infinite
riproduzioni. Ovvero guardare allo specchio l'immagine riflessa del mondo
reale, o contemplare la vita con un filtro trasparente, sono entrambe
strategie praticate non solo per riprodurre in modo esatto, vero,
cristallino tutto quello che accade e vive nel tempo e nello spazio, ma
anche dispositivi logici e formali per percepire al di fuori del tempo e
dello spazio fenomenologico e simbolico, cose, oggetti, mondi, l'io stesso.
Wittgenstein, nel Tractatus Logico-Philosophicus, si chiedeva: "Il soggetto
non appartiene al mondo ma del mondo è un limite" e subito a seguire: "Ove
nel mondo vedere un soggetto metafisico? Tu dici che qui sia proprio così
come nel caso dell'occhio e del campo visivo. Ma l'occhio, in realtà , tu
non lo vedi. E nulla nel campo visivo fa concludere che esso sia visto da
un occhio".
Non resta infatti che ricreare un laboratorio dello sguardo metafisico come
è nel caso dei primi lavori di Francesco Gennari. Un circuito chiuso, di
sguardi, visioni, riproduzioni, rispecchiamenti, fra una telecamera, uno
specchio, un monitor: siamo al punto in cui i limiti del mio linguaggio
(quello della riproduzione) significano i limiti del mio mondo. Ovvero
siamo ai limiti del solipsismo. Cioè secondo l'intuizione di Wittgenstein:
"Io sono il mio mondo" oppure "che il mondo è il mio mondo si mostra in
ciò, che i limiti del linguaggio (dell'unico linguaggio che io comprenda)
significano i limiti del mio mondo".
Arte e logica, in questa prima fase del lavori di Gennari, coincidono, anzi
sono trascendentali. Entrambe sempre secondo Wittgenstein non sono una
dottrina, ma un'immagine speculare del mondo. E quindi del mio mondo
(microcosmo ).
L'effetto che provocano opere scaturite da questo desiderio di ubiquità e
eternità è vertiginoso. Mai tuttavia melanconico. Cioè preda di un
sentimento irrisolto, angosciato, disilluso dal fatto di non poter
raggiungere l'oggetto del proprio desiderio. Per esempio: il Battesimo di
Piero della Francesca esposto alla National Gallery di Londra. L'opera
mette in scena i due artifici. Pura trasparenza dell'atmosfera che è chiara
e limpida, come se figure e paesaggio fossero immersi in un acquario: la
realtà è come vista dopo una giornata di tramontana. Ancor più limpida e
assoluta è la sagoma del tronco dell'albero riflessa nello specchio d'acqua
ai piedi di Cristo.
Esistono altri esempi di pittura realizzata guardando come da una finestra
trasparentissima o in uno specchio limpidissimo (che a volte può essere
d'acqua). Citeremo solo i nomi degli autori: Van Eych, Beato Angelico,
Bronzino, Caravaggio, Sassoferrato, Bellotto, Ingres, Signac.
Ma dietro e davanti a tutti questi mondi riprodotti "stabilizzati", benché
casi di ateismo fossero possibili, così come di agnosticismo, casomai
velati e rettificati secondo l'antica tradizione stoica, epicurea o magari
cinica, dietro e davanti, tutt'intorno, dicevo, c'era appunto dio. Non il
nulla, di cui parla anche Montale. Neppure l'oblio. L'occhio dell'artista,
come quello della telecamera, vive in questo secolo nell'assoluto
solipsismo. Da quando Nicéphore Niépce in un mattino del 1822 ha trasferito
alla macchina fotografica la facoltà di guardare e riprodurre, esiste la
possibilità di essere tecnicamente oggettivi. Per assurdo di far vivere un
puro sguardo al di fuori del soggetto. Di vivere eternamente nel presente
senza altro limite, neppure dio.
Come seppellire la propria immagine sotto un cumulo di terra che la ricopra
all'ombra di due cipressi stabilizzati.
Oppure come epigrafare sul suolo, la morte dell'arte, cioè il tentativo di
rappresentare il nulla, ben oltre i modi tautologici del concettualismo, o
quelli teologici della noce oscura, visione al negativo, ascensione alla
verità assoluta per negazioni infinite.
Nessun concetto, nessuna rappresentazione, nessun significato. Estrema
posizione che l'artista può assumere ai bordi del nulla, di un precipizio
oltre il quale c'è solo la caduta libera dell'occhio nell'inconcepibile e
innominabile spazio-tempo del nulla. Nessun concetto nessuna
rappresentazione nessun significato significa posizionarsi ai limiti del
pensiero e della visione, ovvero dell'esserci e dell'essere, e arpionare
con il linguaggio dell'arte l'unico appiglio possibile.
Come Zenone che per descrivere una simile vertigine immaginò una freccia
scoccata da un arciere posizionato alla fine dell'universo.
Sergio Risaliti
La mostra e' stata inaugurata venerdi' 30 marzo 2001
e sara' aperta fino a sabato 21 aprile 2001
Orari: mar.mer.gio.ven.sab. dalle 16.00 alle 20.00
galleria neon,
via de'Bersaglieri 5/b,
I-40125 Bologna,
tel ++39 051 264008,
fax ++39 051 6562907