"Se il magistero di Giorgio Igne e' improntato alla fedelta' alla Narrazione, quello di Angelo Brugnera e' votato alla ricerca della Forma, sentita come "mimesi" di elementi desunti dalla molteplicita' fenomenica e insieme come "eidos", sintesi concettuale dei fenomeni" - Fabio Girardello.
Giorgio Igne e Angelo Brugnera
Fra le Arti classicamente intese, la Scultura e' quella che maggiormente ha subi'to l’usura del Novecento, soprattutto a partire dal dopoguerra. Contestata nella funzione monumentale-celebrativa, l’idea stessa di “forma conclusa nello spazio", dapprima ridotta a geometrismo minimale, e' stata poi obliterata dalla Land Art e dalle tendenze concettuali degli Anni Sessanta e Settanta. Ridotta a objet trouve', ad assemblaggio di materiale “povero" e incongruo, la pratica della scultura e' riaffiorata, nell’attuale Babele postmoderna, come parodia di se stessa, citazione ironica, volutamente marginale e astenica.
In questo contesto, il modo di operare di artisti come Giorgio Igne e Angelo Brugnera, difforme nelle poetiche, ma accomunato dalla fiducia nella significativita' del manufatto e, di conseguenza, nel primato formale dell’opera, appare decisamente controcorrente.
In quanto scultore di opere monumentali, Giorgio Igne non si e' mai sottratto al ruolo pubblico e alla responsabilita' civile che tale scelta comporta. Compito del “monumentum", infatti, non e' tanto il glorificare accadimenti o personaggi, quanto il far ricordare e il far sapere.
Sia che si tratti di dare forma ai simboli della Fede o di rendere testimonianza dell’atto di un eroe laico, Igne non indulge mai alla retorica del panegirico. Il suo modo di far memoria si concretizza nel riportare prepotentemente al presente il fatto evocato, in modo che chi guarda sia costretto a riviverlo. Conscia di veicolare l’esposizione all’esistenza dell’Uomo (o di Dio fatto Uomo), l’opera di Igne rifiuta il patetismo perche' e' tragedia, che come tale si esprime, prima ancora che nel tormento della plastica, nella scabrosita' significante dei materiali, fra cui prevale il cemento.
E' palese, nel linguaggio di Igne, la marca espressionista. Tuttavia il suo lessico, prossimo al dettato “nordico" moderno, ha radici arcaiche. L’arte di Igne evoca modalita' che vanno dalla cosiddetta “arte barbarica" fino al romanico: lo scardinamento dell’anatomia e delle proporzioni, la gestualita' essenziale, esasperata ma compositivamente controllata, l’impellenza spaziale delle sue figure ci riportano alla ritmica potenza delle figure di Mastro Gilsebertus sul portale di Saint-Lazare, ad Autun.
Della lezione dell’antico, Igne conserva il senso della complessita' simbolica, proprio della “grande narrazione". Ne e' riprova l’insistito tema della Ruote della Vita, che rimanda, nelle teorie concentriche di figure umane variamente impegnate negli atti quotidiani, alla concezione ciclica del tempo. Tuttavia l’emergenza dall’indistinzione di una o piu' figure contrappone, al mito dell’Eterno Ritorno, il concetto dell’Evento. Se e' eccezionale, l’Evento e' destinato a “rinnovare i Tempi" (caso eccellente e' l’Incarnazione di Cristo); ma anche qualora si ingeneri dall’azione dell’uomo comune, che a diverso titolo fa “dono di se'", l’Evento spezza la circolarita' cronologica, indifferente e imperfetta, con un surplus di senso che rende unica l’esistenza.
Se il magistero di Igne e' improntato alla fedelta' alla Narrazione, quello di Angelo Brugnera e' votato alla ricerca della Forma, sentita come “mimesi" di elementi desunti dalla molteplicita' fenomenica e insieme come “eidos", sintesi concettuale dei fenomeni, di cui Brugnera coglie la poesia con sensibilita' rara.
Dovendo indicare il fulcro ispirativo dell’opera, diremmo che Brugnera concentra l’attenzione sull’organico e, in senso lato, sulla corporeita', rifiutando pero' la rappresentazione del corpo nella sua classica interezza, cosi' come nella sua metonimica riduzione.
Brugnera procede, semmai, all’invenzione di immaginifici organismi in formazione, dotati di simil-organi e simil-tessuti, esibiti e celati. Questi elementi, disposti secondo una sintassi non naturalistica, riescono perfettamente a interagire, significare e a comunicare, grazie alla complessa relazione fra l’espansione verso l’esterno e l’evoluzione interna delle opere, che risultano quasi dotate di “ectoderma" ed “endoderma", realizzati attraverso un’alternanza “barocca" di convessita' e concavita', di accurate levigature e volute asperita', che assecondano le caratteristiche del materiale prescelto.
Le opere di Brugnera si giocano sulla precisa dialettica degli opposti: la compattezza dialoga con la rarefazione, i nuclei chiusi e statici con le proiezioni dinamiche e fluttuanti, gli elementi astrattamente geometrizzanti con l’irregolarita' dell’organico.
L’opera risulta cosi' esplorabile attraverso cavita', valve e orifizi oltre che godibile, nella sua totalita', attraverso il periplo compiuto da chi guarda, percependone il respiro spaziale. In tal modo, Brugnera esibisce la propria fedelta' a quella quadrimensionalita' spazio-temporale che, a dispetto della sordita' dei tempi, continua a costituire il dominio e il proprium dell’espressione scultorea.
Fabio Girardello
Ca' Lozzio associazione
Via maggiore 23 - Piavon di Oderzo (TV)