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Liliana Cecchin
dal 22/9/2006 al 27/10/2006

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22/9/2006

Liliana Cecchin

Galleria Previtali, Milano

Questo lavoro, parte della serie Percorsi quotidiani, e' emblematico per comprendere l’opera di Liliana Cecchin. Se si studia la tela ci si accorge subito che la zona piu' avanzata del quadro, quella virtualmente piu' vicina allo spettatore, e' vuota e grigia.


comunicato stampa

Milano Underground

Lo sfondo e' grigio. Piatto, uniforme. Completamente privo di sfumature che diano anche un minimo senso di profondita'. Su quel grigio cammina una piccola folla. Con uno sforzo si possono distinguere un paio di signore, uno studente, una donna con un bambino per mano, forse un uomo d’affari, ma la sensazione che si prova e' quello di un magma indistinto, di un’umanita' senz’anima, dove ognuno potrebbe prendere il posto dell’altro senza che nulla di sostanziale cambi.

Questo lavoro, parte della serie Percorsi quotidiani, e' emblematico per comprendere l’opera di Liliana Cecchin. Se si studia la tela ci si accorge subito che la zona piu' avanzata del quadro, quella virtualmente piu' vicina allo spettatore, e' vuota e grigia. I personaggi sono relegati a una certa distanza, per mettere in chiaro che i protagonisti non sono loro, ma proprio quel grigio, che potrebbe essere asfalto, cemento o il cielo incolore che incombe, indifferentemente alle stagioni, sulle nostre metropoli.

E’ proprio lei, la metropoli, al centro della poetica di Liliana Cecchin. La racconta in scorci che hanno il sapore di scatti fotografici immediati, registrati nell’urgenza di fermare l’istante. I luoghi che elegge a soggetto - quando sono riconoscibili - sono stazioni della metropolitana, marciapiedi affollati. I momenti, intuitivamente, le ore di punta. La fretta si legge nelle posture dei corpi, nei visi affondati nelle sciarpe, nella totale mancanza di sguardi che si incontrano, di qualsiasi forma di dialogo. E la pennellata pastosa, la costruzione dei volumi per zone di luce e ombra, con i visi ridotti ad una semplice macchia rosa, al massimo sporcata da un graffio marrone per dare l’idea di una barba, rafforzano quella sensazione di anonimita'.

Una sensazione portata all’estremo nelle tele in cui Liliana decide di abbassare repentinamente l’inquadratura, riducendola alle gambe e ai piedi. Li' la distanza tra i personaggi e lo spettatore aumenta ulteriormente, la piccola folla e' relegata al fondo dello spazio del quadro, non ci sono piu' i visi - ancorche' macchie - a darci l’illusione di poter azzardare un riconoscimento. In queste tele talvolta Liliana arriva a ridurre la tavolozza a una monocromia sui toni dell’azzurro o del marrone, allora la stessa interpretazione della scena e' messa in forse, lo sguardo si ferma spaesato alla ricerca di punti di riferimento nella scansione di volumi e di spazi, e quando arriva a leggere il significato coglie all’istante, come una rivelazione, il sentimento che Liliana riassume negli ultimi due versi di una sua poesia di qualche anno fa: “Sempre piu' soli tra la gente, percorriamo la vita/che scorre sotto ai nostri piedi".

Alessandra Redaelli

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