Galleria Miralli - Portico della Giustizia Sec. XII
Viterbo
via S. Lorenzo, 57
0761 340820
WEB
Domenico D'Oora
dal 21/10/2006 al 4/11/2006

Segnalato da

Danila D'Orazio



approfondimenti

Domenico D'Oora



 
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21/10/2006

Domenico D'Oora

Galleria Miralli - Portico della Giustizia Sec. XII, Viterbo

Una scelta di sue recenti pitture-sculture: monocromi, dittici, sequenze. "Quasi una cromo-scopia che indaga in profondita' il senso del colore servendosi della vibrazione cromatica come strumento di conoscenza" (Vittorio Raschetti)


comunicato stampa

Monocromi, dittici, sequenze

Domenico D’Oora, (Londra 1953) presenta in questa mostra alla Galleria Miralli di Viterbo, una scelta di sue recenti pitture-sculture: monocromi, dittici, sequenze.

“…Monocromia non significa nessun colore significa tutta l’estensione del possibile del colore. Un infinito scritto con la costanza dell’ostinazione una coazione a ripetere che il colore distende su tutta la propria estensione ed ostensione visiva. L’autorefenzialita' vibrante di un colore che si conferma in una coincidenza con se stesso: e' il principio di auto-evidenza del colore.

Un codice monocromatico mai ritrattato, ma trattato con sapiente eleganza, minimalista nell’estetica e nella campitura, massimalista nell’ethos e nel compito. Un colore monomaniacale, teocratico nel senso eretico del monofisismo. Un colore monoteista secondo una tavola della legge dipinta di un solo comandamento: “Non avrai altro colore fuori di me" Il prisma all’opposto e' lo strumento demoniaco in grado di compiere il peccato supremo di scomporre la sacralita' indivisibile del colore in un arcobaleno pagano di divinita' cangianti…

Come uno stilita che puo' sopravvivere di solo sole, la pittura reca le ustioni notturne di una eterna giornata polare, o di un sole di mezzanotte. La provocazione della monocromia lascia essiccare le proprie interpretazioni molto prima del proprio impasto liquido: galleggia grazie all’immobilita', e si lascia trascinare con indifferenza dalla corrente delle interpretazioni. Il ricoprirsi del colore su se stesso l’aderire del colore alla propria superficie: un colore sconfinato dentro il proprio campo di forze.

Al contrario dei fiori di carta giapponesi, invece di dischiudersi, si rinchiude su se stesso per proteggere il mistero assoluto, la risposta alla domanda che non e' “quale?" ma il “perche'?" del colore. Quasi una cromo-scopia che indaga in profondita' il senso del colore servendosi della vibrazione cromatica come strumento di conoscenza. Si avverte una calcolata ostentazione di un colore che si introflette, che si impagina su se stesso per essere ancora piu' autonomo e stagliato.

E come se il colore contenga in se' la propria immaginazione la propria lucida reverie e la conservi solo tutta per se'. Monocromi che mostrano un colore incastonato dentro se stesso, un diamante incapsulato dentro un diamante. Tauto-cromia che istaurano il regime logico della coincidenza del colore con se stesso. Il bianco e' il bianco. Il rosso e' il rosso. Differenti gradazioni di tono non si sfiorano mai tra di loro: vivono una pura identita' in un mondo a cui sopravvivono apparentemente indifferenti.

Monocromi inespugnabili, dalle feritoie di un fortino della certezza fuoriesce un colore che ustiona la sguardo di chi si trattiene senza difese di fronte all’enigma. Fortezza irraggiungibile della pittura circondata da bastioni senza appigli. Si tratta di istallare il colore instillando il dubbio sul senso. Attingere al colore infrangendo l’involucro del tempo…"
Vittorio Raschetti

Galleria Miralli
via S. Lorenzo, 57 - Viterbo

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