Cento di questi giorni. Installazione con 100 fotografie scattate alle lapidi di persone scomparse a un'eta' compresa tra l'uno e i 100 anni e un video che raccoglie tipologie di risposta alla domanda "Perche' vivi?", posta dall'artista a donne e uomini di generazioni differenti.
Cento di questi giorni
La Galleria Estro e' lieta di annunciare la personale di Eugenio Percossi dal titolo “Cento di questi giorni". La mostra presenta due lavori che incarnano due modalita' di indagare e produrre interrogazioni sul valore dell’esistenza e sul rapporto vita/morte. Da un lato, l’installazione composta da cento immagini fotografiche (formato 30x45cm) scattate dall’artista alle lapidi di altrettante persone scomparse ognuna ad un’eta' compresa tra l’uno e i cento anni, dall’altra il video che raccoglie diverse tipologie di risposta alla domanda “Perche' vivi?" posta dall’artista a donne e uomini di generazioni differenti.
Parafrasando la classica e bene augurante iperbole linguistica, Percossi torna nuovamente ad affrontare un tema (come la precarieta' dell’esistenza) che risulta in qualche modo ostico e nei confronti del quale gli atteggiamenti istintivi sono spesso di riluttanza, di difficile accettazione, di rifiuto all’immedesimazione. Le opere di Percossi fondamentalmente indagano la spietata logica interna al fattore tempo, il suo ineluttabile potere di trasformare le cose, le situazioni, il corso degli eventi.
Facendosi guidare dal piglio disincantato che caratterizza il suo linguaggio, l’artista conduce un’analisi che parte sempre dall’uomo (e in primis da se stesso) per arrivare da un lato a sviscerarne ad uno ad uno i timori con una perizia quasi scientifica, dall’altro a mandare in frantumi ogni falsa utopia o illusione. E’ nell’ambito di questo processo demistificante che la foto ricordo o l’oggetto/feticcio giungono nei lavori di Percossi a riappropriarsi della loro naturale indole di surrogati di sopravvivenza e divengono quindi strumenti di smascheramento della debolezza umana.
“Cento di questi giorni" si allinea a questo tipo di indagine, sviluppandosi sulla falsa riga delle medesime smaliziate considerazioni, pur spingendosi, questa volta, ancora piu' in la', operando cioe' una perlustrazione quasi chirurgica delle diverse manifestazioni del destino e delle molteplici declinazioni formali che i rituali di conservazione del ricordo e il superamento del dolore consequenziale alla scomparsa di una persona cara possono assumere.
Il lavoro, frutto di un lungo periodo di ricerca e di una non poco impegnativa frequentazione di cimiteri, tra Roma e l’Abruzzo, consiste in una serie di immagini scattate alle lapidi di persone di eta' compresa tra l’1 e i 100 anni di vita, ricomposte sul muro in ordine cronologico. La visione, nel suo insieme, restituisce un unico grande quadro in cui ogni volto sembra costituire un tassello di esistenza di diversa durata. La catalogazione ossessiva e il suo scientifico riordinamento, provocano nello spettatore un forte impatto emotivo, obbligandolo non solo a fronteggiare direttamente e ripetutamente l’evento che per eccellenza turba ogni essere vivente, la morte, ma costringendolo ad appurarne la modalita' radical-democratica con cui per natura esso si manifesta.
La sequenza di ritratti di defunti, seppur sconcertante, acquista nella riflessione artistica e nella riproduzione fotografica la sobrieta' di un prospetto statistico obbiettivo e l’incontestabilita' di una cronaca vera, poiche' traduce visivamente un capitolo intrinseco dell’esistenza, superando l’idea di negazione e non accettazione della morte, insita nella lapide stessa e in ogni suo rassicurante ornamento.
La decadenza di alcune lastre funerarie, il loro stato di abbandono, piu' che un senso di trascuratezza, tradiscono una presa di coscienza necessaria alla sopravvivenza. Da un lato quindi la tendenza umana ad aggrapparsi quanto piu' a lungo possibile alla vita attraverso apparati decorativo/liturgici volti ad esorcizzare l’idea stessa della morte; dall’altro il tentativo dell’uomo di assuefarsi ed accettare gradualmente la perdita, prendendo progressivamente distacco dalla fisicita', ormai puramente virtuale, meramente fotografica, del congiunto estinto.
Ed e' paradossalmente laddove i feticci materiali (fiori, decorazioni, lumini) patiscono l’incuria e il deperimento del tempo che molto spesso si avverte in modo piu' intenso il senso di speranza: ovvero la legittima reattivita' dell’uomo alla vita, oltre che alla sua ineluttabile cessazione. (E.N.M.)
“Ogni fotografia e' un memento mori.
Fare una fotografia significa partecipare della mortalita',
della vulnerabilita' e della mutabilita'
di un’altra persona (o di un’altra cosa).
Ed e' proprio isolando un determinato momento e congelandolo
che tutte le fotografie attestano
l’inesorabile azione dissolvente del tempo".
Susan Sontag, Sulla fotografia, trad. it, Einaudi, Torino 1978
Eugenio Percossi 1974 Avezzano (Aq). Vive e lavora a Roma e a Praga.
Inaugurazione 20 gennaio 2007 dalle ore 18.00
Galleria Estro
Via San Prosdocimo 30 - Padova
Orari: dal martedi' al sabato dalle ore 15.00 alle 20.00