Filippo Bono
Marco Caboni
Alessandro Cassigoli
Dalia Castel
Nella Magen Cassouto
Matteo Danesin
Maurizio Franzoso
Tarin Gartner
Yamile Barcelo Hondares
Carlo Linciano
Sergio Lovati
Paula Luttringer
Mario Macione
Marcello Mondazzi
Giorgio Palmera
Giovanni Sabatini
Ivo Saglietti
Livio Senigalliesi
Alessandro Vicario
Gigliola Foschi
Andrea Dall'Asta
La mostra propone le fotografie realizzate da alcuni detenuti presso il carcere di San Vittore di Milano e opere di 19 artisti e fotografi che hanno riflettuto sul tema del "muro" su di un piano d'impegno politico e sociale.
Collettiva
a cura di Gigliola Foschi, Andrea Dall'Asta
Artisti:
Filippo Bono, Marco Caboni, Alessandro Cassigoli e Dalia Castel, Nella Magen
Cassouto, Matteo Danesin, Maurizio Franzoso, Tarin Gartner, Yamilé Barcelo
Hondares, Carlo Linciano, Sergio Lovati, Paula Luttringer, Mario Macione, Marcello Mondazzi, Giorgio Palmera, Giovanni Sabatini, Ivo Saglietti, Livio Senigalliesi, Alessandro Vicario
La mostra Muri Contro s'inserisce nel programma d'impegno politico e sociale
della Galleria San Fedele teso a promuovere un dibattito su alcuni problemi
centrali della società contemporanea.
Con la caduta del muro di Berlino si era sperato che altri muri sarebbero
caduti. Al contrario, oggi più che mai, si continuano a costruire nuove
barriere tra popoli, comunità, religioni, come se il muro fosse divenuto
l'unico strumento per evitare i conflitti e isolare i ''diversi''. Per
affrontare questo tema sempre più d'attualità nel mondo contemporaneo la
mostra Muri Contro propone le fotografie realizzate da alcuni detenuti
presso il carcere di San Vittore di Milano e opere di artisti e fotografi
che hanno riflettuto sul tema del "muro": da quello che separa Israele
dalla Cisgiordania (Alessandro Cassigoli e Dalia Castel, Giorgio Palmera,
Ivo Saglietti) alla barriera "antispacciatori" che isola un quartiere di
Padova (Matteo Danesin), dai muri delle celle in cui vennero chiusi i
desaparecidos argentini (Paula Luttringer) al muro della cubana Yamilé
Barcelò Hondares, che racconta metaforicamente la tenacia con cui molti
cubani cercano di fuggire dalla loro isola; da quello di via Corelli a
Milano (Alessandro Vicario) in cui vengono rinchiusi i cosiddetti clandestini
prima del rimpatrio forzato, fino alle barriere di filo spinato fotografate
da Livio Senigalliesi in varie parti del mondo e al video di Giovanni
Sabatini che, assemblando spezzoni di film e fotografie declina il tema del
muro nei suoi molteplici aspetti, non solo reali ma anche metaforici.
Le immagini realizzate nel carcere di San Vittore di Milano, durante il corso
di fotografia tenuto da Andrea Dall'Asta S.I. e da Gigliola Foschi,
raccontano invece, a partire dall'esperienza vissuta dei detenuti, cosa
significa per loro il muro. Accanto a una ricerca documentaria e collettiva,
che mostra per frammenti il reparto in cui vivono, le immagini proposte da
Marco Caboni,Carlo Linciano, Mario Macione, Maurizio Franzoso, Filippo Bono
- grazie anche alla libertà creativa offerta dal photoshop - svelano stati
d'animo e desideri di libertà, sogni e sofferenze, senza talvolta rinunciare
a un tocco ironico e vitale.
Che i muri non siano ineluttabili, ma possano essere superati almeno con la
fantasia, l¹impegno o il desiderio, ce lo mostrano le opere delle artiste
israeliane Tarin Gardner e Nella Magen Cassouto, membro dell'associazione del
Parents Circle che cerca di creare luoghi di riconciliazione tra Palestinesi
e Israeliani che hanno avuto vittime nelle loro famiglie. Con una scultura,
dove un alto muro dall'aspetto antico e corroso dal tempo si lascia
attraversare dalla luce, Marcello Mondazzi suggerisce che i muri della
storia, anche quelli più possenti, sono destinati a dissolversi. Sergio
Lovati, infine, grazie a un calco dei graffiti fantastici realizzati da un
degente sull'ex ospedale psichiatrico di Volterra, rivela che i muri possono
divenire spazi di espressività e non solo di contenzione e separazione.
Vite Murate
Muro. Parola usuale, quasi banale, della vita quotidiana. Parola che presuppone uno spazio fisico in cui siamo soliti articolare movimenti e spostamenti. Certo, lo spazio si distende nella relazione a luoghi definiti, ma questi ultimi non sono mai semplicemente riconducibili a una logica razionale o funzionale.
Come ricorda Genesi, non nasciamo in uno spazio indifferenziato: lo spazio misterioso e oscuro del momento che precede la creazione, spazio caotico, informe, magmatico, sul quale solo un soffio leggero indica la possibilità di un’apertura alla vita, attraverso un gesto di separazione che si origina dalla parola divina, schiude dimensioni di senso, si apre a tempi e spazi separati. Un ordine è posto perché la vita possa essere accolta, in tutte le sue forme vegetali e animali. Non c’è più indistinta confusione, ma separazione, che permette il crescere della vita, la trama delle relazioni. È la separazione che crea lo spazio della nostra storia, spazio vitale e vivibile, sensato: lo spazio fisico si fa spazio vissuto, simbolico. Spazio in cui viviamo la nostra intimità personale. Spazio condiviso, di uomini e donne, di famiglie e società.
Questo spazio in cui ci si ritrova insieme come comunità, può divenire anche spazio di conflitti insanabili: dall’una e dall’altra parte dei muri ecco allora le tensioni profonde della storia, instancabile costruttrice di mura e muraglie, da sempre presidiate da assediati e assedianti i cui ruoli si confondono nel gioco tragico della paura e della violenza. Non più spazi separati in cui vivere la pienezza di relazioni interpersonali, come gli spazi compresi dai muri della propria casa e nei quali prende corpo la pace dei rapporti familiari. Si aprono, invece, spazi delimitati da muri di confine, escludenti e ostili. Soglie che non possono essere oltrepassate, da quando tra al di qua e al di la ogni ponte è demolito, ogni passaggio soppresso. La separazione diventa muro, impossibilità di comunicare, chiusura, simbolo di riparo e protezione dal mondo che sta dall’altra parte, percepito come minaccioso, incombente, pericoloso.
Il muro si trasforma, così, nel muro di cinta di una prigione, nel muro di una cella. È un muro che sprigiona paura, inquietudine, solitudine. Muro di una separazione che si chiama pena, punizione, castigo: e come ogni separazione imposta genera violenza, in un gioco interminabile e distruttivo di rimandi, finché nuove ragioni non lo oltrepassano e negano. Solo le ragioni del perdono e della riconciliazione lo rendono trasparente, come quella bellissima mura di cinta di Gerusalemme, città che nell’Apocalisse di Giovanni scende dal cielo. Mura di vita e di luce che più nulla devono tenere nascosto, che non racchiudono più rabbia, dolore, vergogna. Non più esistenze da murare, da proteggere o da cui proteggersi.
Ben diversi i muri che oggi attraversano, delimitano e sovrastano i nostri spazi di vita: muri di terribile opacità, incombenti ed estranianti, come i muri fotografati da alcuni detenuti del carcere di San Vittore, da cui ha origine l’intera mostra. Muri dell’esclusione e della reclusione.
E poi ancora gli altri muri, simboli della cecità dell’uomo contemporaneo portatrice di dolori, drammi, lacerazioni. Simboli di tutti i muri che si frappongono tra uomini e tra popoli: il muro di Berlino, che squarciava la vita stessa di una città; quello che separa Israele dalla Cisgiordania; il muro di Ceuta dove migliaia di persone sono pronte a saltare il confine che divide le enclavi spagnole dal Marocco; il muro tra Stati Uniti e Messico, tra Stati Uniti e Cuba. Muri materiali, di pietra o di cemento. O muri simbolici, ma non per questo meno minacciosi e inquietanti. Muri che separano attraverso la violenza, drammatici segni di ferite che possono essere sanate solo attraverso il perdono, la reciproca accoglienza, il desiderio di condivisione. In un esodo da se stessi verso l’altro, verso gli altri. Fisici o simbolici che siano, questi muri delimitano uno spazio divenuto prigione che guarda verso il cielo. Lo spazio limite del vivere quotidiano, luogo d’accoglienza e di fraternità per l’amico che attendiamo o per lo sconosciuto che riceviamo, si trasforma in spazio di tensione e di dramma. Quali sentieri di riconciliazione? Questa è la domanda chiamata ad attraversare la coscienza di ogni uomo perché questi muri possano diventare sempre più trasparenti, perché possano lasciarsi attraversare da cammini di fraternità e di pace.
Andrea Dall’Asta S.I.
Inaugurazione: 14 febbraio 2004
Galleria San Fedele
Via Hoepli, 3 - Milano
Orario: 16- 19