Dieci.due! (vecchia sede)
Milano
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dal 13/6/2001 al 27/7/2001
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13/6/2001

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Dieci.due! (vecchia sede), Milano

Tre mostre personali / Tre giovani inediti. Alexandra Gredler, presentazione di Eleonora Fiorani. Valerio Anceschi, presentazione di Francesco Leonetti. Sebastiano Bonello, presentazione di Roberta Ridolfi


comunicato stampa

Tre mostre personali / Tre giovani inediti

Alexandra Gredler
Presentazione di Eleonora Fiorani
da giovedi' 14 giugno h.18 al 24 giugno 2001

Valerio Anceschi
Presentazione di Francesco Leonetti
da giovedi' 28 giugno h. 18 al 7 luglio 2001

Sebastiano Bonello
Presentazione di Roberta Ridolfi
da giovedi' 12 luglio h. 18 al 27 luglio 2001


Per Alexandra Gredler
Molti interessi e suggestioni richiama questa giovanissima, austriaca di Salisburgo, già grafica attiva ed eccellente a Milano, perché lei con sicurezza rivà anzitutto ai viennesi, e intanto inventa un suo alfabeto, struttura 'iconemi' suoi propri. Come si sa, i viennesi hanno varie valenze, talora giocose e ironiche, talora drammatiche; ciò che importa qui è il fatto che lei, evidentemente, li riprende con una sua consapevolezza; nell'attuale crisi delle avanguardie artistiche, sia storiche sia nuove, è singolare il suo puntare su un periodo, su un'ascendenza, come è questa. Perché i viennesi (Klimt, Schiele, e altrettanto geniale il drammatico e grottesco Kokoschka) non sono nella storia fondamentale del Novecento collocati accanto ai nostri anticipatori, e cioè i grandi "fauves" o selvaggi da cui discende o prende scatto l'espressionismo avanti gli anni Dieci. Invece noi li valutiamo come audaci innovatori che ci portano verso l'asimmetria, il disequilibrio nella composizione, quale è proprio, quindi, di tutti gli stili novecenteschi. C'interessano per la loro accentuazione della superficie pittorica tramite la linearità del disegno e forse anche, dati i tempi, per la dimensione estetica che da sola riscatta la vita.
Dunque Gredler non evolve nell'informale né utilizza la tecnologia come ora si fa in modo sbrigativo e lei pure sa benissimo fare. E pone invece un nesso stringente e tutto moderno verso un'astrazione non geometrica. Dagli astrattismi noi stessi ci siamo allontanati perché tutto si geometrizzava, e occorre oggi invece un'immaginazione pervasiva e diffusa, magari effervescente. Così Gredler pone l'accento su un artista viennese, Hundertwasser, il cui timbro linguistico sta fra paesaggi incantati ed utopia, mentre anche immagina modi diversi di abitare nel sogno della natura. E ricerca, sperimentando, di ridare consistenza e cosalità ai paesaggi della mente. Così sulle tecniche forme dell'operazione che Gredler svolge in queste sue prime prove mature di pittrice scrive Jacqueline Ceresoli indagatrice dei giovani artisti: "sfoga la sua creatività mescolando la pittura, l'acquerello, il pastello, e a volte inserisce nei lavori collages fotografici con l'entusiasmo di scoprire innovazioni segniche perenni, racchiuse in tratti germinanti e vivaci, fortemente espressivi e decorativi " (in "Arca", dicembre 2000).
A me pare che un ruolo determinante nella pittura astratta e ludica di Gredler è dato appunto dal "gioco": senza intendere con ciò (e senza però escludere) l'incidenza fortissima che il concetto di gioco ha nella speculazione profonda di Freud (viennese, a dirsi per inciso.). Dopo "Il motto di spirito" del I905, è la famosa lettera a Zweig sull'incontro con Dalì nel '37 a recingere il concetto -sulla fantasia del poeta come del fanciullo, fuori dal lavoro sempre obbligato- in quanto rapporto misurato fra impulsi inconsci e razionalità. Ad osservare i minuscoli oggetti o elementi costruiti come assoluti, e le spazialità straniate, e il loro fluttuare e disporsi in strutture territoriali, ci si convince poi, secondo me, di un'invenzione avvicinabile al "disegno infantile" che nel Novecento si carica di più valenze e costellazioni referenziali e a volte di una interessantissima paradossalità. Certi tocchi, e certi fattori della stesura di Alexandra Gredler, vanno in tal senso a ritrovare per noi, con peso e con impegno, la stranezza dei pensieri primi con la loro ipersensibilità. Ma dobbiamo riferirci anche alla concentrazione di Klee giovane perché l'astrattismo è componente forte della formazione e del gusto di Gredler, con una sua propria visionarietà fitta ed occhieggiante. I colori sono assunti con assolutezza: gli arancioni, i blu, i verdi sono esplorati al massimo della luminosità, nella loro forza espressiva: non ci sono ombre, caso mai vuoti, zone non dipinte, lasciate bianche, che assumono valori diversi, di mancamento o di irruzione del vuoto, o di apertura in cui si accampano le strane creature che popolano i suoi campi visivi, perché di vere e proprie creature si tratta, non si sa di quali mondi e territori, che brulicano, fluttuano e anche si relazionano tra di loro. E così talvolta essi si librano semplicemente nello spazio come astri o navicelle e in altre si dispongono, per aggregazione, in ritmiche sequenze, come territori e paesaggi brulicanti di presenze e di cose. Sono segni-oggetti amebici anche se ben delineati, in bilico tra il naturale e l'artificiale, tra il biologico e il tecnologico (ma c'è ancora questa differenza?). Certo è che ciascuna creatura vale per sé, ha una sua identità e una sua anima e qualche volta ha occhi e rami. Talvolta prevale un moto vorticoso, con valore prorompente e talaltra si accampa sospeso; altre volte si presenta una parete solenne con effigi o cortei, e però è così ben frantumata che avvicinandosi ci si accorge di una ritualità benevola e contenente varie impronte; e ancora accade che una serie favolosa di tabulati e quadranti viene picchiettata dal caratteristico "tondo" o "circolo" di Gredler fin quasi a specchiare i fantasmi dell'immaginario.
Eleonora Fiorani

Per Valerio Anceschi
Il modo sorprendente del fare scultura di Valerio Anceschi consiste nella "manipolazione" - come egli stesso dice-: non gli viene già deciso (o quasi) il progetto, il modello di avvio; è invece mentre interviene e svolge, allungando o spostando o piegando aste e nodi, che l'opera si configura. Vedremo meglio cosa vuol dire: è proprio della forza inventiva, e nei miei trent'anni di Estetica a Brera ho trovato ben di rado una tale capacità.
Valerio ha cominciato col dipingere, alcuni anni fa, affascinato da Pollock; nell'atelier vedo pareti metalliche o pagine spruzzate, quelle che sono state all'origine dell'"informale". Più maturamente si è interessato proprio del tondino di ferro, fino alla passione completa per il ferro; dapprima includendo i fili suoi dentro avvolgimenti curati di gesso col piacere di riprendere Arp; e poi, restando come affascinato dalla macchinetta di saldatore, con le operazioni specifiche della connessione di pezzi, ciò l'ha portato a questa sua intrapresa coinvolgente: che, direi, protrae inattesamente -contro tutte le ricerche diverse e amare dominanti negli anni Novanta- l' espressionismo astratto novecentesco in alcuni motivi nuovi e suoi propri in senso linguistico-stilistico.
Ho conosciuto il giovane Anceschi come allievo in una scuola di perfezionamento nella scultura, in Montefeltro, in estate; l'ha fondata dieci anni fa e ora la presiede Arnaldo Pomodoro (col quale ho un "sodalizio" fra artista e scrittore, fin dal '60). I giovani scelti sono ospiti -della Cee e della Regione Marche- lavorando con istruttori e avendo materiali disponibili per tre mesi; io insegno (qualche volta) estetica, come a Brera; e l'opera compiuta è proprietà del Comune (Pietrarubbia) ed entra in una mostra collettiva, poi resta esposta in un borgo sei-settecentesco. Non c'è niente di simile neppure in Usa. Ho visto che il lavoro dell'Anceschi (proveniente da Brera) si è mosso con ricerca allora complicata (mentre ora è Eliseo Mattiacci il direttore artistico); Valerio è allora arrivato piuttosto a una serie movimentata di piccoli fogli. Poi, quando ho organizzato nel C.S. Leoncavallo (dove ho diretto l'attività culturale per qualche anno) una mostra di "idee" per una ricorrenza storica, mi sono entusiasmato della scultura di lui. La ricorrenza è la morte di due ragazzi del Liceo artistico Hajech uccisi nel '68 (mentre era preside Staccioli). Ora Anceschi presenta una forma circolare alta un metro,circa, e costituita di due semicerchi che si sfiorano, come lunghi bracci, indicando così i valori di una comunità presente. (Il concorso è ancora aperto, con opere esposte a Milano). Dicevo poco fa quale è la crisi difficile della ricerca artistica; la tecnologia tende a svuotare la coerenza formale interna. La scuola di cui ho parlato ha la sua "tradizione del nuovo" nelle sfere rotte di Pomodoro e in un 'minimalismo' -in parte concettuale- presso Mattiacci. Ma come procedere nel filone delle avanguardie, oggi, dopo che c'è stato un esercizio inventivo enorme sui nuovi materiali (plastiche e altri) e inoltre ci sono state ,appunto, le "strutture primarie" e l'"informale", ed è invece emersa infine la 'simulazione' come motivo teorico principale?
Cerchiamo ora di definire(descrivere) i suoi lavori. Ricapitolando altrimenti la via degli Spagnulo, Pardi, Carrino, suoi maggiori, mi pare che l'invenzione trasporti Valerio Anceschi piuttosto ai grovigli, come caratteristici dell'oggi. Giunge a costruire una lunga asta (4 o 5 metri) in un moto di slancio ondeggiante verso i cieli per dispersione o fuga, quasi albero o quasi antenna o quasi squilibrio puro. E anche, oppure: la ricchezza estrema di concentrazione annodata ci dà una sorta di figura astratta umana, poggiante su piedi o supporti più lunghi, contratta in sé pur arcuandosi, in uno sforzo di tenere il confronto col mondo.
Dunque la tenacia -apparentemente dolce, fortissima più sotto- di Valerio consiste anche nel sostenere, nonostante l'attuale "cultura del consumo", il confronto col mondo, contro il post-moderno eclettistico e la transavanguardia spesso dubbia. Ma ciò che più sorprende e piace in lui è un suo modo creato di movimento interno continuo (come nella poesia, direi): l'opera sculturale non appare fissa, occupante spazio (come teorizzava addirittura Hegel, poi contraddetto su questo e altri punti dall'Esserci heideggeriano); appare un risultato insieme mobile e fermo di "varianti", in quanto un allungamento diritto di asta è stato poi indotto-deciso a piegarsi, rispondendo all'insieme, alla ritmicità, all'assolutezza. Com'è bello questo contraddire il design e la cosiddetta "cultura del progetto", pur avendola conosciuta, questo contraddire ciò che è come bloccato per potersi ripetere, e sta prevalendo da anni e restituendo purtroppo la simmetria! Un nucleo di "mare", espansivo, folgorante, sta qui in parete, e c'è anche un contortissimo "nodo" ultrasaldato, originale.
Francesco Leonetti

Sebastiano Bonello: Il disordine della perfezione
di Roberta Ridolfi
In arte, come nella vita, le stagioni si susseguono, le direzioni mutano senza tuttavia rinnegare l'idea da cui sono scaturite, i segni divengono segnali, alimentando nuove strategie di comunicazione. I lavori di Sebastiano Bonello hanno seguito questi strani e misteriosi percorsi, giungendo a generare una nuova poetica, imperniata sulla positività di certa energia vitale. Un tempo infatti, i lavori di questo artista, si soffermavano piuttosto sulla "fisicità" della creazione che sull' andamento emozionale dell'opera, su quelle parti visibili cioè che potessero in qualche modo sedare l'irrequietezza dell'arte, tesa alla perenne rincorsa verso l'inaccettabile, verso la cupa visione delle vicende del mondo, ed infine, a volte, soggiogata dalla tristezza dei fatti della vita.dalle solitudini e dalle insicurezze. Ora quel mondo incerto ha lasciato il posto all'altro possibile versante della vita: quello della contemplazione, della bellezza, dell'equilibrio che trova anche nell'estetica la propria ragione d'esistere. La ricerca di un artista non è indipendente dai risvolti autobiografici della propria storia, nell'arte si riflettono desideri, aspirazioni, speranze ed energie, così è stato per Bonello che presenta una ricerca nuova, attenta alle sfumature dell'emotività, accecata di un cromatismo puro, essenziale, quasi incorruttibile. Ora le opere di Bonello sono divenute tele sublimi, nuclei circolari di colore "positivo" che ci appaiono estrapolati dall'iride magnetica di un occhio incantato e sognante. Sovviene il desiderio di pienezza, attraverso queste opere, pienezza intesa come libertà, come consapevole abolizione del corpo, come enfasi massima e assoluta del potere dell'anima. E merita una riflessione anche la scelta del cerchio: non è infatti casuale perché nella forma circolare risiede l'idea di senso compiuto, di perfetta armonia, di naturale compensazione. Tant'è che l'artista si è addirittura impegnato nella costruzione di uno strumento che potesse permettere la ripetizione del cerchio e una migliore risoluzione tecnica dei "confini" cromatici della circolarità. Il dato principale della nascita di questo nuovo ciclo di lavori è l'attribuzione di nuovi significati simbolici che investono l'essenza stessa del colore. Ciò significa che i colori, presentati in questa mostra, assumono significati variabili che rispettano la predisposizione emotiva di chi guarda, inventando nuove risorse da vivere sul piano delle sensazioni. I celesti tersi, i gialli d'energia ed altre risorse della magia della luce costituiscono i presupposti essenziali per trasmettere segnali, cifre, emozioni. Insomma i colori, nelle opere di Bonello sono utilizzati come sensori della percezione, come elementi fondamentali funzionali, anzi necessari alla comunicazione. E' facile capire che queste non sono opere di chiusura emotiva, non sono motti di autocompiacimento estetico, ma grandi, immensi segnali di apertura all'alterità. Tutto si conclude nel centro di quelle forme per irradiare di senso l'intera opera, aggiungendo alla composizione l'illusione di espandersi ben oltre i confini della tela.Nell'estremo tentativo di rincorre la perfezione, l'artista raggiunge stadi emozionali paralleli, aggiungendo alle potenzialità della propria poesia l'euforia di nuove scoperte che.si sa, si risolvono in frammenti di pura energia. Ecco, è così che si compie a volte l'inesplicabile destino di un 'opera d'arte.

Orari: da martedì a venerdì, dalle 16 alle 19,30 e su appuntamento

DIECI . DUE! - International Research Contemporary Art, via Ponte Vetero, 20121 MILANO tel. (39.2) 72022637-893041 - fax.86464971

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Franco Ule
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