La mostra e' il terzo e il piu' atteso appuntamento del programma «Omaggio al Colosseo». La mostra si apre con la presentazione, attraverso plastici, ricostruzioni e dipinti antichi, della situazione e della topografia della zona in seguito occupata dal Colosseo prima della costruzione dell'anfiteatro: un avallamento fra i colli di Roma, occupato da abitazioni private, profondamente modificato dal devastante incendio del 64 d. C., ai tempi di Nerone.
Organizzata dalla Soprintedenza archeologica di Roma congiuntamente con la
Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta, la mostra è il terzo e il più
atteso appuntamento del programma «Omaggio al Colosseo».
La sede espositiva è il
Colosseo stesso, e più precisamente la restaurata galleria del secondo ordine
degli ambulacri, in corrispondenza del secondo livello di gradinate.
L'evento si
inserisce, infatti, nel contesto dei lavori di restauro, ricerca e
valorizzazione dell'Anfiteatro, finanziati dalla Banca di Roma.
Il monumento più
visitato d'Italia, dunque, espone e racconta se stesso, per rievocare la propria
storia e le avventure di coloro che combatterono nei più famosi spettacoli
offerti al popolo dell'antica Roma: i gladiatori.
«Io muoio, io muoio! Io vivo, io vivo!».
Con queste parole, così simili
all'antico «morituri te salutant», si schiera in campo la formidabile nazionale
di rugby della Nuova Zelanda. Quindici impressionanti colossi vestiti di nero si
preparano allo scontro con gli avversari, davanti a decine di migliaia di
spettatori.
Quando la danza rituale sarà finita, non più un fazzoletto bianco ma
il fischio di un arbitro darà l'avvio alla mischia, e dalle gradinate salirà il
tuono della folla.
Da millenni il mondo occidentale conosce l'importanza sociale e il fascino
trascinante degli spettacoli circensi, l'intensità delle passioni che vibrano
nelle arene, il legame che avvince il pubblico e i protagonisti, la magia di
un'identificazione che rischia di tracimare, di diventare violenza, in bilico
fra la metafora futuribile del «rollerball» (il gioco in cui si sfogano gli
istinti aggressivi) e i problemi di ordine pubblico.
Quasi ogni domenica, le
cronache «sportive» riportano notizie di risse fra opposte tifoserie, talvolta
anche con gravi risvolti penali: ma già nel '59 d. C. un fatto del tutto analogo
è avvenuto fuori dall'anfiteatro di Pompei, con il furioso pestaggio ai danni
dei tifosi di Nocera e l'inibizione dagli stadi per ben dieci anni inflitta ai
responsabili.
L'episodio è descritto con dovizia di particolari da Tacito, ma ne
resta anche la vivida testimonianza di un affresco pompeiano, oggi visibile
all'interno dell'appassionante esposizione allestita nel più sensazionale
anfiteatro del mondo, uno dei simboli universali delle civiltà antiche: il
Colosseo.
Il percorso, accessibile anche ai visitatori disabili grazie all'installazione
di un'ascensore lungo lo sperone Stern, offre suggestioni senza confronti:
affacciato da un lato sull'ampio panorama della vasta area archeologica nel
cuore di Roma, dall'altro sull'inconfondibile ellisse interna.
Sarà così
possibile osservare anche l'avanzamento dei lavori di consolidamento e di
restauro, che stanno restituendo al pubblico nuove zone visitabili, la cui
conclusione è prevista per il 2003.
In uno spazio fortemente caratterizzato, nella meravigliosa ambivalenza di una
galleria protetta ma al tempo stesso aperta verso l'esterno, il visitatore si
trova proiettato nel vivo di un'avventura sospesa fra l'archeologia classica e
la bruciante attualità delle passioni, un po' come aveva intuito Burri quando,
disegnando il manifesto per i campionati mondiali di calcio, aveva «visto»
dall'alto un campo di gioco all'interno del Colosseo.
Memorabili oggetti antichi
splendidamente conservati si alterneranno con immagini attuali, a conferma
dell'intramontabilità dei miti e delle passioni. Dopo quasi due millenni, sembra
di sentire di nuovo il denso brusio della folla in attesa, i colori, i rumori,
persino gli odori caratteristici di un grande spettacolo popolare.
Intorno alla
memoria dei gladiatori, il grande anfiteatro diventa lo scenario di un rito
collettivo che coinvolge e appassiona.
Oggi come allora, il campo, le gradinate,
i corridoi, gli spazi per gli atleti e per il pubblico, i palchi, gli
spogliatori, insomma tutto ciò che compone il «catino» dell'arena produce la
magia dei grandi stadi, dove ogni spettatore diventa protagonista.
La mostra si apre con la presentazione, attraverso plastici, ricostruzioni e
dipinti antichi, della situazione e della topografia della zona in seguito
occupata dal Colosseo prima della costruzione dell'anfiteatro: un avallamento
fra i colli di Roma, occupato da abitazioni private, profondamente modificato
dal devastante incendio del 64 d. C., ai tempi di Nerone.
I danni furono tali da
imporre la demolizione sia delle case popolari che delle residenze più lussuose.
L'area, sgomberata anche con metodi brutali, divenne il fulcro spettacolare
della Domus Aurea, il palazzo imperiale di Nerone: un vasto parco circondato da
portici e, al centro, un ampio specchio d'acqua artificiale, quasi a rievocare
lo scenario di una villa in riva a un golfo. Il tutto dominato da una gigantesca
statua di Nerone, quel «colosso» che avrebbe in seguito dato il soprannome
all'anfiteatro.
Monete, rilievi, ritratti, epigrafi e altri materiali illustrano poi la
costruzione dell'anfiteatro, voluta dall'imperatore Vespasiano e legata al nome
dei Flavi, la nuova dinastia imperiale.
Appena salito al trono nel 69 d.C.,
Vespasiano ordina di bonificare e pavimentare la zona prosciugando il laghetto
di Nerone. Ben presto iniziano i lavori dell'anfiteatro, proseguiti da Tito con
un intento certamente demagogico: la zona che Nerone aveva inglobato nel suo
palazzo privato veniva «restituita» al popolo, investendo nell'immenso cantiere
anche i proventi della guerra giudaica e della conquista di Gerusalemme.
La
costruzione dell'anfiteatro venne affrontata con larghezza di mezzi, anche
realizzando interventi costosi quali il collegamento sotterraneo fra l'arena e
la nuova palestra per i gladiatori.
Nell'80 d.C. Tito poteva inaugurare l'enorme
complesso, capace di circa 75.000 visitatori. I festeggiamenti, gli spettacoli,
i ludi gladiatorii durarono ben 100 giorni.
La seconda sezione della mostra offre il confronto fra il Colosseo e i
principali teatri della Campania, da cui provengono dipinti e sculture.
Secondo
Plinio il Vecchio e Cicerone, l'idea di costruire anfiteatri (ossia «doppi
teatri») di forma ellittica risalirebbe all'iniziativa di un patrizio romano,
Scribonio Curione, che nell'anno 52 o 53 a. C. avrebbe unito insieme due grandi
teatri di legno per ospitare i giochi gladiatori in onore del padre. Peraltro,
alcuni anfiteatri della Campania (Capua, Cuma, Literno, e poi quelli di Pompei e
di Pozzuoli) sono più antichi rispetto all'episodio citato.
Molti di questi
edifici erano adorni di splendide sculture marmoree, esposte in mostra e
provenienti in gran parte dai musei di Napoli e di Capua.
Il Colosseo «parla»
attraverso un'ampia rassegna di iscrizioni, lastre graffite, frammenti
architettonici, capitelli, timpani, bassorilievi, transenne, balaustre scolpite:
resti di quel ricchissimo apparato ornamentale che un tempo decorava il
monumento.
La terza sezione è dedicata ai diversi spettacoli che si svolgevano nel Colosseo
che oggi forse chiameremmo «impianto polifunzionale», e soprattutto ai
combattimenti fra i gladiatori.
Gli squilli delle trombe e il suono degli
strumenti dell'accompagnamento musicale (chi ha assistito a una corrida sa quale
brivido comunichino le note degli ottoni all'ingresso del toro) introducono la
discesa in campo dei gladiatori.
La mostra trova il suo apice nella serie di
sculture e di mosaici in cui sono effigiati allenamenti, combattimenti, trionfi,
e anche le scene di caccia o di lotta con animali feroci.
Si tratta spesso di
altissimi capolavori, in cui il valore della testimonianza storica si unisce
alla meraviglia di uno stile artistico all'apogeo, tanto in scultura quanto nel
mosaico.
Il gruppo di oggetti più spettacolare ed evocativo venne ritrovato nella Caserma
dei gladiatori di Pompei ed è conservato nel Museo Archeologico Nazionale di
Napoli: si tratta delle armi da parata, degli straordinari elmi, delle corazze e
delle protezioni di diverse «categorie» di gladiatori.
I combattenti si
dividevano in vari schieramenti, ben identificabili in base all'armamento e al
costume. Ciascuna classe gladiatoria disponeva di armi micidiali, ma proprio le
differenze fra le «squadre» rendeva sempre incerto il risultato finale.
Sostanzialmente, sulla base degli oggetti, delle immagini e delle ricostruzioni,
si può davero affermare che la vittoria non giungeva solo in base all'intrinseca
efficacia delle armi in dotazione, ma era soprattutto legata al talento
individuale, all'allenamento, alla capacità di maneggiare con maestria gli
strumenti di protezione e di attacco.
Gli elmi sono certamente la parte più celebre dell'armamento dei gladiatori: la
loro funzione pratica era affiancata e anche superata dalla ricerca di effetti
spettacolari che diventavano parte integrante dell'azione, proprio come avviene
oggi nella ricerca delle divise di gioco, non senza dirette affinità con gli
odierni caschetti indossati dai giocatori di football americano o dai portieri
di hockey.
Chiude la mostra la suggestiva sezione che vede ricostruiti i modelli delle
macchine sceniche, mentre le immagini dei preziosi dittici bizantini faranno
parte della scenografia.
Siamo sul sottile confine che lega la fine del mondo
antico e l'inizio del medioevo cristiano e le immagini sono di forte carica
evocativa. Per l'ultima volta, scendono nell'arena gradiatori e belve, mentre
gli spettatori ineggiano dagli spalti.
E sulla sabbia scorre l'ultimo rivolo del
sangue esausto di un mondo che si sta spegnendo. Ne era consapevole, ormai nel
IV secolo, anche sant'Agostino, che «confessa» attraverso Alipio di essere stato
a sua volta trascinato dalla passione assistendo agli spettacoli degli
anfiteatri.
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