Galleria Studio44
Genova
vico Colalanza, 12/r
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Arianna Carossa
dal 2/5/2007 al 2/6/2007
Da mercoledi' a domenica 16-19

Segnalato da

Viviana Siviero




 
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2/5/2007

Arianna Carossa

Galleria Studio44, Genova

La narrazione si snoda come una sequenza di momenti, in un discorso amoroso e autoreferenziale. Le scritte latine che etichettano i lavori esposti, creano distacco, mentre al centro della sala alcuni contenitori trasparenti che nascondono forme fetali evocano i barattoli delle vecchie drogherie.


comunicato stampa

L'Agonia del Gusto

A cura di Viviana Siviero

Un informe preciso e definito, che vagheggia come un pensiero indistinto ai margini di una forma appena percettibile, che si rende visibile nella freddezza liscia di uno dei materiali più antichi e malleabili al mondo. Arianna Carossa, incontra la ceramica dopo una lunga esperienza nel campo della ricerca pittorica sperimentale: nel passaggio fra bidimensionalità e tridimensionalità, l'informe conformato muta aspetto, ma non significante. Si fa maggiormente astratto ed ambiguo, perde i dettagli, gli occhi, la bocca, ma resta ludico e debordante come certi personaggi letterari della Nothomb.

I colori, innocenti e domestici, invitano al gioco, non mancando però di tradire un riferimento doloroso, rivolto a ciò che temiamo perché sconosciuto.

Ogni lavoro sembra conservare un nucleo latente fortemente energetico, che sembra implodere continuamente e rimbalzare contro le pareti molle dell'informe, nuovamente verso il cuore d'origine. Informe formato, giocattoli politicamente scorretti che raffigurano teneri animaletti morti dal cuore palpitante: Arianna Carossa ha saputo dare vita ad un mondo di Oz carico di contraddizioni, come una moderna Diane Arbus si contorna di freak, parto della sua immaginazione, che concretizzano paure e speranze contemporanea. I contorni sono netti eppure svaporati, gonfi come biscotti nel latte caldo: le tre dimensioni vengono bagnate nell'ingobbio e lucidate, poi musealizzate all'interno di una sorta di bacheca/cornice baroccheggiante, per aumentare il senso di autoreferenzialià dell'oggetto, ed innescare quel circolo vizioso stantio che rimanda alla masturbazione come concetto generale.

Le scritte latine, che etichettano ciò che si mostra, più che spiegare, creano un ulteriore distacco, che ricorda il rituale funereo in cui tutto ha la perfezione dell'artificiale che nasconde la decomposizione irreparabile. Al centro della sala, alcuni contenitori trasparenti, evocano i barattoli delle vecchie drogherie, ma invece di contenere dolciumi, mostrano nascondono forme fetali, più appropriate ad un polveroso gabinetto anatomico, nato per studiare le anomalie.

Nonostante il retrogusto mortifero che ogni lavoro emana, la narrazione si snoda come una sequenza di momenti, in un discorso amoroso ed autoreferenziale, condotto fra l'artista/Narciso e la propria immagine. Qualunque cosa sia “altro da se”, può soltanto ambire al ruolo di spettatore. Le opere di Arianna Carossa vanno considerate con il beneficio del discorso verbale, ascoltate nel loro essere contemporaneamente liscio, duro, resistentissimo e fragile. Ripetono che l'arte è un luogo dove tutto può accadere, un mezzo necessario all'uomo, conscia della sua natura rappresentativa ma che conserva la responsabilità di rendere visibile l'invisibile utilizzando mezzi sottili che – per usare una metafora - non saranno mai né fondamenta, né architravi ma solo e soltanto un'unica pietra: la chiave di volta.

Viviana Siviero: Chi è Arianna Carossa? Arianna Carossa: Sono una persona con la tendenza a costruire.

V.S.: Ci puoi spiegare le motivazioni del titolo? A.C.: Non c'è nulla di più mortifero del gusto, sempre pronto ad essere sostituito. Nell'arte il gusto è sempre in agonia.

V.S.: Che cosa significa secondo te oggi essere artisti? Qual'è il ruolo dell'artista e quale invece dovrebbe essere? A.C.: Per me l'arte è un sistema oggettivo e come tale si esplica sempre nel vero. L'arte è il vero, il giusto, non il bello. L'artista serve a se stesso, ma soprattutto a chi desidera sentire la vertigine del vuoto; questo è ciò che mi auguro perlomeno. Il museo aurizza il prodotto posto nel proprio interno, dunque come tale dovrebbe assolvere la funzione di un buon forno nelle mani di un buon cuoco….mi spiego meglio, far si che il profumo dell'arrosto si sparga in uno spazio più ampio che invogli all'assaggio, insomma carne e non solo fumo, che sia all'altezza dell'aroma.

V.S.: Al centro del tuo lavoro c'è un'dea di morte che si esprime attraverso una distorsione quasi surrealista della materia...? A.C.: Per me si tratta di informe con-forma. Rappresentare la morte significa rappresentare il limite e dunque noi stessi. Dionisiaco e apollineo, come è possibile vivere in un'unica dimensione? In quello che faccio c'è la mia identità marchiata e io sono questo: un mucchio di roba informe ma allo stesso tempo formato, nonchè conformato.

V.S.: Qual'è la cosa più brutta del mondo…? A.C.: La cosa più bella è giocare insieme. La più brutta non farlo. La reciprocità mi rende felice.

V.S.: Cosa ti fa ridere? A.C.: Contraddirmi.

V.S.: Le tue opere si ispirano alla vita. A chi sono debitrici? A.C.: Mi vedo come la palla di neve di Bergson, man mano che scende diventa enorme. Questa è l'esperienza per me. Ma in tutto questo esiste un insight: fare un buco nella sabbia, significa nel contempo, costruire una montagna di sabbia accanto al buco; il lavoro e la creatività sono direttamente proporzionali alla conoscenza di se stessi, che costituisce il buco. La montagna di sabbia è l'opera, che viene così a rappresentare la parte visibile e fisica dell'essenza personale, dell'interiorità. Se esiste la fossa delle Marinane è perché c'è l'Everest e viceversa…

V.S.: Ci puoi parlare della Madonna del Lenzuolo? A.C.: La Madonna del Lenzuolo è una figura leggendaria e leggiadra (iconograficamente si manifesta svolazzante di stoffe in ogni dove sia richiesta la sua presenza). Il suo Lenzuolo è un candido panno bianco di piquet che la leggenda vuole acqusitato a Madrid, poco prima del fatal incidente che la costrinse a gettarsi dall'aereo che la stava riportando nei suoi luoghi d'origine (ancora non si è scoperto quali siano con esattezza). Quel puro panno divenne una sorta di tesoro dei tesori, di Santo Graal, funzionando a mo' di paracadute per colei che divenne poi la giovane santa. Chiaramente la Madonna Vergine del Lenzuolo, che morì comunque schiantandosi a terra sui Pirenei, divenne subito una figura mitica per le popolazioni indigene, prima ancora di essere beatificata era considerata da tutti la Dea suprema del Letto Sfatto, delle persone che d'estate vengono punte dagli insetti molesti e naturalmente di chi viaggia in aereo senza precauzioni sessuali. La Madonna del Lenzuolo ci protegge e posa la sua mano benevola sopra i nostri cuoricini puri come agnelli.

V.S. Insomma Arianna, hai paura di volare… A.C. Ma lo faccio comunque, dai un'occhiata al mio c.v….

Info curatrice: Viviana Siviero Via Rive 28/2 - Boissano (SV) e-mail: viviana.siviero@espoarte.net

Inaugurazione: giovedi' 3 maggio 2007 alle 18

Galleria Studio 44
Vico Colalanza 12/r - Genova
Orari: da mercoledì a domenica 16-19
Ingresso gratuito

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