Galleria Continua
San Gimignano (SI)
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Tre personali
dal 11/5/2007 al 31/8/2007
Da martedi' a sabato 14-19

Segnalato da

Galleria Continua




 
calendario eventi  :: 




11/5/2007

Tre personali

Galleria Continua, San Gimignano (SI)

Berlinde De Bruyckere, la cui scultura si declina nel binomio degli opposti, propone opere realizzate appositamente per la galleria, figure solitarie, silenti e fragili come metafore di sofferenza e disagio. Meschac Gaba espone la "citta' di zucchero" presentata alla Bienal de Sao Paulo 2006. L'installazione di Chen Zhen si pone come riflessione sulla violenza e offre uno spazio di tranquillita' e meditazione legato alla contemplazione del paesaggio.


comunicato stampa

Berlinde De Bruyckere + Meschac Gaba + Chen Zen

Berlinde De Bruyckere

Personale

Galleria Continua è lieta di ospitare nei suoi spazi una nuova mostra personale di Berlinde De Bruyckere. L’artista belga presenterà una serie di opere appositamente realizzate per gli spazi della galleria.

La produzione di Berlinde De Bruyckere si declina nel binomio degli opposti: la vita che si impone sulla morte, l’amore che riscatta violenze e paure, il corpo offeso che si offre e si cela alla vista. Cariche di forza materia e di carnalità le sculture della De Bruyckere raccontano un modo di vittime, di orrori ma anche di dignità umana, di riscatto e di amore.

In questa mostra l’artista torna a rappresentare figure solitarie, silenti e fragili che si offrono al pubblico come metafore della sofferenza psicologica e del disagio. Nella scultura che apre il percorso espositivo ritroviamo uno dei soggetti più cari all’artista, il cavallo. La prima rappresentazione risale al 2000 quando l’artista interviene al Flanders Fields Museum di Ieper in Belgio. Il contesto in cui si trova ad operare, ovvero un museo costruito in memoria della Prima Guerra Mondiale, induce l’artista ad una riflessione sulla guerra e sulla morte.

Individuando nelle immagini di cavalli straziati la metafora della morte, la De Bruyckere prende a rappresentarli con tratti essenziali, disposti su tavoli, appesi ad un albero o a scarne strutture in ghisa; la sua ricerca si concentra sulle forme plastiche, sulla postura drammaticamente contratta o dolcemente accoccolata, esaltando, quando il profilo della linea lucida del pelo quando i tratti più vigorosi, possenti e sensuali del corpo dell’animale.

Aperta a molteplici interpretazioni e letture l’opera della De Bruyckere, anche in questo caso, lascia spazio ad una ulteriore trasfigurazione del soggetto, là dove, nel cavallo si voglia cogliere la rappresentazione delle qualità umane ma anche del dualismo tra vita e morte, tra eros e thanatos.

Con la grande installazione realizzata per la platea del cinema l’artista introduce un nuove tematiche che sviluppa a partire da un riferimento iconografico preciso, l’albero. Se in alcune precedenti opere site specific l’albero era stato utilizzato dalla De Bruyckere come sfondo narrativo, qui acquista una funzione centrale. Albero come immagine fortemente simbolica legata alla vita ma anche come elemento materico, organico, mutevole: legno come metafora del ‘pensiero’.

Tronchi d’albero scavati e modellati dal tempo, nodi e venature vengono fuori dalla trama della cera. Vulnerabili e mutilati come le altre figure che li accompagnano, trovano precaria protezione dietro sottili riquadri di vetro.


Note biografiche

Berlinde de Bruyckere nasce a Gent nel 1964, città dove vive e lavora.
L’universo dolente e ferito raccontato nelle opere della De Bruyckere si impone all’attenzione della critica internazionale all’inizio degli anni Novanta. In questo primo periodo l’artista costruisce rifugi, luoghi precari e transitori fatti di stracci intrecciati, letti metallici stracolmi di coperte dalle fogge più varie dove l’uomo sembra disperatamente cercare rifugio e protezione. Conosciuta dal grande pubblico italiano grazie alla partecipazione, nel 2003, alla 50esima Biennale di Venezia, l’artista (Gent 1964) annovera nel suo curriculum esposizioni prestigiose, sia in spazi pubblici che museali. Solo per ricordare le più recenti: Of Mice and Men, Berlin Biennale, Berlino (2006); ARS 06, Kiasma, Helsinki (2006) per quanto riguarda le mostre collettive e Berlinde De Bruyckere, La Maison Rouge, Parigi (2005); Één, De Pont Stichting voor hedendaagse kunst / Foundation for Contemporary Art, Tilburg (Olanda, 2005) e Undercover, Kunsthalle, Quadriennale 06 Artcity, Duesselorf (2006) per quanto riguarda invece le mostre personali.

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Meschac Gaba

Sweetness

Galleria Continua è lieta di annunciare sweetness, mostra personale dell’artista beninese Meschac Gaba. L’artista interviene negli spazi della galleria con due installazioni, Sweetness e Perruques-architeture. Entrambe portano l’attenzione dello spettatore sulle questioni della fusione di identità nazionali nella realizzazione di una sorta di “villaggio globale” in cui le forme e i materiali impiegati sono indiziari di una visione di ampio respiro che sconfina i limiti fisici geografici e si concretizza in paesaggi urbani ibridi e meticci.

Nella città di zucchero semplicemente intitolata Sweetness, allestita nel suggestivo spazio del palcoscenico, si ritrovano le più importanti e riconoscibili architetture delle maggiori metropoli del pianeta -la Tour Eiffel di Parigi, la Cattedrale di Brasilia, la Gerkhin Tower di Londra- ricostruite assemblando piccoli moduli di zucchero. L’aspetto apparentemente leggero di questo fare artistico porta in rilievo alcune questioni fondamentali e controverse che riflettono sulle diverse modalità di coabitazione e di costruzione degli spazi comuni, nel tentativo di trovare il senso etico del vivere collettivo. Temi questi al centro del dibattito culturale che ha dato vita alla 27º Biennale di San Paolo, dove l’installazione è stata presentata al pubblico lo scorso ottobre.

La seconda installazione, che occupa la sede di via Arco dei Becci, si compone di 34 “Perruques-architecture” prodotte nel Benin lo scorso anno, che richiamano monumenti di Parigi, di Cotonou -città natale dell’artista- e di Ivry-sur-Seine, dove sono state esposte per la prima volta dopo essere state presentate con una performance-défilé per le strade di Parigi nel giugno 2006, qui documentata con una video proiezione. Una selezione di 20 delle parrucche esposte e’ stata scelta per la Biennale di Gwangju dello scorso anno.

L’idea di trasformare delle solide architetture, le più rappresentative delle tre città da cui derivano, in composizioni di capelli che si inerpicano su leggerissime strutture in metallo, è una sorta di azione dissacrante di icone culturali, religiose o economiche legate alle identità nazionali.

Si tratta di una pratica che l’artista ha già sperimentato in precedenti occasioni, come nel caso delle architetture di New York “rielaborate” per il The Studio Museum di Harlem nel 2004. E’ stata proprio questa occasione l’incipit per la serie di lavori con parrucche. Non a caso l’artista ha scelto delle treccine posticce, che rimandano immediatamente alla cultura africana, per sottoporre gli edifici simbolo dell’economia statunitense ad un’operazione di “travestimento carnevalesco” in modo da denunciarne la loro stessa fragilità.

In questo modo Gaba innesca un processo che mette in discussione l’idea di monumento, di icona culturale e di quello che si trasforma in feticcio di un’identità culturale, aprendo contemporaneamente la questione del difficile raggiungimento dell’equilibrio nelle società multiculturali.


Note biografiche

Nato a Cotonou (Benin) nel 1961, Meschac Gaba risiede e lavora a Rotterdam, in Olanda paese in cui vive da quando, nel 1996 ha iniziato i suoi studi presso la Rijksacademie voor Beeldende Kunsten di Amsterdam.

Tracciando una breve biografia dell’artista è necessario menzionare l’imponente progetto del “Museum of Contemporary African Art” che lo ha visto impegnato per sei anni, dal 1997 al 2002. Presentato al pubblico alla Rijksakademie di Amsterdam, l’ambizioso progetto di costituire un museo “nomade” che trova ospitalità negli spazi espositivi di altri musei, consta di 12 sale in cui l’arte di Meschac Gaba spazia dalla pittura (nei pannelli di compensato ricoperti di gesso e dipinti con i colori più diffusamente presenti nelle bandiere del continente), alla scultura (nelle pietre dorate o nelle ceramiche a forma di ali o cosce di pollo), alle installazioni interattive (nei tavoli-puzzle con cui il pubblico è invitato a interagire ricostruendo le figure di alcune delle bandiere africane).

Alla molteplicità di materiali impiegati, si affianca la varietà dei contenuti di questo progetto. L’intento è quello di dimostrare che l’arte africana ha superato da tempo quello che dall’occhio occidentale viene banalmente ancora troppo spesso associato a oggetti legati alla spiritualità, all’etnografia e alla ritualità. Allo stesso tempo però Gaba nega la legittimità dell’esistenza di un museo di arte contemporanea africana, per il semplice motivo che il concetto di contemporaneità implica globalismo.

Insieme a tutto questo, è anche l’idea di museo che viene messa in discussione, come suggeriscono i nomi con cui vengono identificate le 12 sale, tra cui: la sala della musica, il ristorante, la stanza dell’arte e della religione, la biblioteca, titolazioni un po’ anomale per le sale di un museo. In particolare con l’ultima sala, la Mariage Room, in cui l’artista e la sua compagna Alexandra van Dongen hanno contratto matrimonio, Gaba riafferma l’essenzialità della commistione arte-vita e della soggettività della pratica artistica.

Tra le presenze più significative dell’artista si ricordano quella a Documenta XI, Kassel 2002, alla 50° Biennale di Venezia, nel 2003 l’artista era nella rosa dei 5 artisti scelti da Rein Wolfs per il Padiglione Olandese, come uno dei migliori rappresentanti della scena artistica contemporanea del suo paese adottivo e, nel solo 2006, alle biennali di Gwangju (Korea del Sud) e di Sao Paulo (Brasile). Quest’ultima partecipazione e’ stata preceduta da una residenza estiva presso Recife, che si è aggiunta alle altre importanti residenze vinte dall’artista, tra cui quella annuale presso gli studi del PS1 di New York, 2003/2004.

Tra i musei internazionali che hanno ospitato mostre personali di Meschac Gaba sono sicuramente degni di nota lo S.M.A.K. di Gent (2000), il Witte de With di Rotterdam (2001), il Palais de Tokyo (2002), la Tate Modern di Londra (2005) e il The Studio Museum Harlem di New York (2005).

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Chen Zen

Jardin mémorable

Jardin mémorable è il titolo di un’installazione realizzata da Chen Zhen nel 2000. L’opera si pone come riflessione sulla violenza e offre ai visitatori uno spazio di tranquillità e di meditazione legato alla contemplazione del paessaggio.

La metafora del “Giardino della conoscenza assoluta”1

Cosa sappiamo del giardino di Yuanmingyan? Ben poco...Tuttavia, la Très Grande Bibliothèque (TGB) di Parigi custodisce degli archivi molto rari: quaranta dipinti, datati 1744 ed eseguiti da due pittori della corte cinese, che testimoniano di questo giardino imperiale, situato 250 km a nord di Pechino e oggi totalmente scomparso.

Questo giardino è rimasto nella memoria collettiva dei cinesi come il simbolo di un patrimonio culturale unico. Il parco, che si estendeva su 350 ettari, fu concepito tra il 1709 ed il 1722 come un complesso di vari giardini che ricomponevano i paesaggi dei quattro angoli della Cina, con lo scopo di offrire alla famiglia imperiale un piacevole luogo di riposo, lontano dal calore di Pechino. Ecco come descrive il giardino Michèle Pirazzoli2: “era composto da sezioni indipendenti, con le sue colline, le sue valli, i suoi canali, le sue rocce e le sue isole sui laghi [...] A nord, erano raggruppati i luoghi d’abitazione dell’imperatore, mentre le biblioteche, i templi, i teatri ed i padiglioni ludici erano sparsi un po’ ovunque, divenendo ogni volta il cuore di un paesaggio autonomo.

...Questo luogo esemplare che, come Versailles in Francia, conteneva “ciò che il mondo esterno produce di più bello e di più raro”, era un modello in miniatura dell’universo che l’imperatore poteva modificare secondo la sua fantasia [...] Nel 1747, l’imperatore, dopo aver visto il dipinto di un getto d’acqua, chiese se ci fossero alla sua corte degli europei capaci di farne costruire uno simile (il primo modello di getto d’acqua che fu fatto piacque talmente a Qianlong3 che quest’ultimo decise di farsi costruire un palazzo europeo). Venne in tal modo inaugurata la straordinaria impresa sinoeuropea che consistette nella costruzione di palazzi europei all’interno delle mura di Yuanmingyan”.

I missionari europei ebbero un ruolo fondamentale nell’interscambio culturale tra varie parti del globo. Alcuni imperatori cinesi tolleravano il proselitismo dei gesuiti perché potevano sfruttare le loro conoscenze tecniche4. Apparve così una delle prime forme di multiculturalismo. È la natura di questo scambio culturale che interessa Chen Zhen, il quale sottolinea come la nozione di esotismo travalichi l’ideologia colonialista. La curiosità che fece nascere l’interesse per le cineserie trova il suo parellelo in Cina. L’Impero di Mezzo si appropriava di segni culturali esterni, in un’ottica che oltrepassa completamente la nozione di esotismo (da notare come questa parola non esista nel vocabolario cinese), per affermare invece il proprio potere assoluto.

La scelta del luogo per esprimere tale scambio culturale non è indifferente, poiché la dimensione del potere e della dominazione è inerente al giardino. Se consideriamo la storia dei giardini, dobbiamo constatare come la definizione stessa di giardino sia quella di uno spazio naturale chiuso, all’interno del quale l’uomo intraprende la sua opera di modellamento della Natura secondo un’idea. Il giardino rappresenta prima di tutto una conquista sulla natura.

Nell’antico Egitto5 i giardini sono, da un lato, fonte di piacere, di curiosità e di meraviglia ma sono anche, dall’altro, una vittoria sul deserto grazie al controllo del Nilo per l’irrigazione. Da sempre, il possesso di un giardino rappresenta un’espressione di ricchezza e di potere. Più la posta politica è alta, più il giardino, il parco o il dominio sarà vasto.

“Nell’ottobre del 1860, le truppe franco-inglesi incendiano e saccheggiano il giardino di Yuanmingyan. L’operazione, destinata a far cedere l’imperatore ed a costringerlo a negoziare, raggiunge immediatamente il suo scopo politico (trattato di Pechino del 25 ottobre 1860”6. Questa manovra guerriera illustra perfettamente il potere simbolico e la posta politica che un giardino può rappresentare.

La testimonianza offerta dall’opera di Chen Zhen (ricostituzione di cinque vedute di Yuanmingyan) non solo risveglia il ricordo di una storia dimenticata ma, al di là della lezione di etnologia, vuole invitare lo spettatore a riflettere sulla storia dell’umanità. L’artista si impegna per far comprendere la necessità degli scambi pluri-culturali e la ricchezza delle realizzazioni che ne sono il frutto. A partire da questo esempio di distruzione di un giardino, Chen Zhen desidera interrogare la nostra coscienza politica ed il nostro senso di responsabilità collettiva verso il mondo di domani.
(Aline Pujo)

Ufficio stampa:
Silvia Pichini
press@galleriacontinua.com

Inaugurazione: sabato 12 maggio 2007 dalle 18 alle 24

Galleria Continua
Via del Castello 11 - San Gimignano
Orari: da martedi' a sabato 14-19
Ingresso gratuito

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