Un pittore italiano alla corte del re del Siam. Tra i capolavori in esposizione c'e' anche uno dei 18 pannelli della 'Primavera che perennemente si rinnova', realizzazione tra le piu' significative del liberty italiano. Le opere presentate dimostrano la profonda consonanza tra Chini e alcune delle esperienze di maggiore spicco dell'arte europea del primo 900.
Un pittore italiano alla corte del re del Siam
Dal 16 maggio alla Galleria Francesca Antonacci una mostra che conferma la versatile grandezza e, al contempo, la singolarità di Galileo Chini rispetto alla maggior parte dei suoi colleghi italiani contemporanei. Tra i capolavori in esposizione c'è anche uno dei diciotto pannelli della “Primavera che perennemente si rinnova”, realizzazione tra le più significative del liberty italiano. Ma soprattutto ci sono alcune delle opere più intense eseguite da Chini durante il soggiorno alla corte del re del Siam, lo straordinario episodio che rivoluzionò la vita e la pittura dell'artista prediletto da Luchino Visconti.
E' perentorio re Rama V quando, in visita alla Biennale di Venezia del 1907, vede e si innamora della Sala del Sogno di Galileo Chini. Al suo secondo viaggio in Europa, il sovrano scioglie ogni riserva: ha finalmente trovato il pittore al quale affidare la decorazione dell'imponente Sala del Trono del nuovo Palazzo Reale di Bangkok. Costi quel che costi, sarà quell'italiano a realizzare il monumentale lavoro. E costerà parecchio: 100.000 lire, una somma ingente per avere la disponibilità di uno dei divi europei del nuovo stile, l'Art Nouveau, l'arte squisita e modernissima che impazza a Vienna, Londra e Parigi e che Chini, autore di una vera rivoluzione del gusto, sta imponendo in Italia.
Il 16 maggio, nella galleria romana di Francesca Antonacci, si inaugura una mostra concepita come un racconto. La storia è quella di una carriera artistica, una delle più brillanti del Novecento, costruita attorno ad un viaggio indimenticabile. La voce narrante appartiene a Fabio Benzi, lo studioso a cui va il merito di aver riportato il discorso critico sull'opera di Chini in quel contesto internazionale di largo respiro che gli compete. Benzi torna a ragionare su Galileo Chini a circa un anno e mezzo dalla fortunata retrospettiva che ha firmato per la Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Da quella vasta rassegna la mostra di Francesca Antonacci si diversifica per le più ristrette dimensioni ma non per la qualità delle opere esposte: capolavori dell'arte europea di primo Novecento la cui comparsa in una galleria privata costituisce un avvenimento per il mercato.
Chi, quando pensa a Chini, ha ancora in mente il pittore delle nature morte e dei paesaggi versiliani, l'artista risolto nell'etichetta di pittore liberty o post-macchiaiolo, visitando questa mostra dovrà ricredersi: Chini fu qualcosa di più.
Nella prima parte della sua carriera, quella che precede il fatidico viaggio in Siam, fu non un pittore liberty, ma il pittore liberty per antonomasia, l'incarnazione del nuovo mito dell'Art Nouveau: l'artista universale che abbatte le tradizionali barriere tra arti maggiori e minori con una versatilità capace di esplicarsi in ogni campo della creazione artistica. Ma, soprattutto, Chini fu un pittore costantemente capace di superarsi, mai adagiato sui successi raggiunti. All'apice della fama, coglie al volo la straordinaria opportunità di viaggio offertagli da re Rama per aggiornare completamente il suo linguaggio. Quando, nel 1911, si imbarca da Genova alla volta di Bangkok, l'esperienza liberty appartiene già al passato. La necessità di rappresentare le intense emozioni che il nuovo mondo gli procura suggerisce a Chini soluzioni inedite e lo proietta nel contesto di quell'impressionismo psicologico che, scrive Fabio Benzi: “In Europa e in America fece proseliti fra artisti grandissimi, come Bonnard, Vuillard, lo stesso Matisse, Corinth, Prendergast, Grant, Moll, etc., mentre in Italia fu appannaggio di personalità originali ed eccentriche, disparate e spesso, come fu per Chini, fraintese o sottovalutate: come De Pisis, Semeghini, Tosi e Cavaglieri”.
La profonda consonanza tra Chini e alcune delle esperienze di maggiore spicco dell'arte europea del Novecento è ampiamente documentata dalle opere esposte:
ad esempio Le Frodi, del 1904. Un recente ritrovamento di eccezionale importanza per ricostruire il lacunoso catalogo delle opere simboliste eseguite dal pittore nel primo decennio del Novecento, quelle che gli danno notorietà internazionale e lo collocano tra i maggiori artisti d'avanguardia del suo tempo.
Canale sul Me-Nam, del 1912, e altri esempi di paesaggi e scene siamesi che sono tra i brani più lirici e poetici della pittura internazionale di quegli anni.
Mesù l'attrice, del 1913. In assoluto, uno dei dipinti più suggestivi del periodo siamese (1911-1913). L'attrice Mesù, in realtà un danzatore travestito, è rappresentata in un'atmosfera sognante, resa ancor più magica dal ricorso ad una sontuosa tecnica materica (il copricapo incorpora persino dei frammenti di vetro e specchio).
La Primavera che perennemente si rinnova, uno dei diciotto pannelli monumentali (cm 400x200) eseguiti per decorare la Sala Mestrovic alla Biennale di Venezia del 1914. L'opera, giustamente nota come una delle realizzazioni più significative del liberty italiano, nasce dalla confluenza tra astrazioni orientaleggianti e secessionismi viennesi, una combinazione felicissima all'insegna della quale si sviluppa la ricerca di Chini al suo ritorno in Italia.
Non mancano, a illustrare la versatilità dell'artista prediletto da Luchino Visconti, alcuni esempi di scenografie. Chini svolse infatti, oltre all'attività di pittore, affreschista, grafico e ceramista, anche quella di scenografo, intrattenendo un significativo sodalizio con Giacomo Puccini, il perfetto parallelo in musica del suo “impressionismo psicologico” in pittura.
Inaugurazione 16 maggio 2007
Galleria Francesca Antonacci
via Margutta, 54 - Roma
Orario: dal lunedì al venerdì 10.00-13.00 16.00-19.30; sabato 10.00-13.00
Ingresso libero