Istituto Giapponese di Cultura
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Clay Work
dal 22/5/2007 al 5/7/2007

Segnalato da

M.Cristina Gasperini



approfondimenti

Kaneko Kenji



 
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22/5/2007

Clay Work

Istituto Giapponese di Cultura, Roma

Quarantaquattro opere, rappresentative delle nuove tendenze della produzione ceramica giapponese, divise in quattro sezioni, forme recipienti, immagini figurative, composizioni geometriche e forme organiche, firmate dai maggiori ceramisti contemporanei.


comunicato stampa

Ceramica Giapponese Contemporanea

a cura di Kaneko Kenji

Clay Work è una panoramica sulla ceramica giapponese degli ultimi trent’anni: concettualità e forme dirompenti, ciascuna in rotta con la tradizione o in armonia con le coeve correnti d’avanguardia. La mostra presenta autori celebri in patria e all’estero, oltre a far parte della collezione itinerante della Japan Foundation. Quarantaquattro opere, rappresentative delle nuove tendenze della produzione ceramica giapponese, divise in quattro sezioni, forme recipienti, immagini figurative, composizioni geometriche e forme organiche, firmate dai maggiori artisti contemporanei. Il termine Clay Work, mutuato direttamente dall’inglese, in giapponese indica la ceramica artistica: ad hoc dunque per un’esposizione che prevede quattro sezioni a seconda delle caratteristiche delle opere, dai recipienti, agli oggetti, alle forme geometriche, alla funzionalità.

1. Forme recipienti

Takiguchi Kazuo, Domon Kunikatsu, Fukami Sueharu, Miyashita Zenji, Yanagihara Mutsuo, Yoshikawa Seido. Gli oggetti di artigianato sono generalmente considerati una combinazione di arte e funzionalità. Il concetto di Clay Work invece trascende l’aspetto pratico a favore della plasticità; fuggendo i vincoli imposti dalla necessità di utilizzo, non pochi ceramisti creano forme recipienti, l’archetipo fittile presente in nuce nel proprio approccio materico. Forse perchè, se un oggetto non è cavo, non può essere sottoposto al processo di cottura, cui è destinato in quanto yakimono (“ceramica cotta”). E anche perché il processo creativo, sia esso al tornio, manuale, o per mezzo di altre tecniche, tende a coinvolgere la delimitazione di uno spazio interno con la terracotta. Così il plasmare ceramico sottintende in genere la forma recipiente. E dall’esplorazione di tutte queste implicazioni, gli artisti creano oggetti in forma di vaso.

2. Immagini figurative

Araki Takako, Sasayama Tadayasu, Nakamura Kinpei, Matsuda Yuriko, Mishima Kimiyo, Miwa Ryosaku, Yanagihara Mutsuo, Ito Kosho, Kumakura Junkichi, Suzuki Osamu. Gli oggetti di artigianato sono generalmente considerati una combinazione di arte e funzionalità. Il concetto di Clay Work invece trascende l’aspetto pratico a favore della plasticità; fuggendo i vincoli imposti dalla necessità di utilizzo, non pochi ceramisti creano forme recipienti, l’archetipo fittile presente in nuce nel proprio approccio materico. Forse perchè, se un oggetto non è cavo, non può essere sottoposto al processo di cottura, cui è destinato in quanto yakimono (“ceramica cotta”). E anche perché il processo creativo, sia esso al tornio, manuale, o per mezzo di altre tecniche, tende a coinvolgere la delimitazione di uno spazio interno con la terracotta. Così il plasmare ceramico sottintende in genere la forma recipiente. E dall’esplorazione di tutte queste implicazioni, gli artisti creano oggetti in forma di vaso.

3. Composizioni Geometriche

Kaneko Jun, Koie Ryoji, Nakamura Kohei, Hayashi Hideyuki, Hayashi Yasuo, Miyanaga Tozan III, Morino Akito, Morino Hiroaki (Taimei), Yamada Hikaru. Gli oggetti di artigianato sono generalmente considerati una combinazione di arte e funzionalità. Il concetto di Clay Work invece trascende l’aspetto pratico a favore della plasticità; fuggendo i vincoli imposti dalla necessità di utilizzo, non pochi ceramisti creano forme recipienti, l’archetipo fittile presente in nuce nel proprio approccio materico. Forse perchè, se un oggetto non è cavo, non può essere sottoposto al processo di cottura, cui è destinato in quanto yakimono (“ceramica cotta”). E anche perché il processo creativo, sia esso al tornio, manuale, o per mezzo di altre tecniche, tende a coinvolgere la delimitazione di uno spazio interno con la terracotta. Così il plasmare ceramico sottintende in genere la forma recipiente. E dall’esplorazione di tutte queste implicazioni, gli artisti creano oggetti in forma di vaso.

4. Forme Organiche

Akiyama Yo, Imura Toshimi, Hayami Shiro, Maeda Tsuyoshi. Gli oggetti di artigianato sono generalmente considerati una combinazione di arte e funzionalità. Il concetto di Clay Work invece trascende l’aspetto pratico a favore della plasticità; fuggendo i vincoli imposti dalla necessità di utilizzo, non pochi ceramisti creano forme recipienti, l’archetipo fittile presente in nuce nel proprio approccio materico. Forse perchè, se un oggetto non è cavo, non può essere sottoposto al processo di cottura, cui è destinato in quanto yakimono (“ceramica cotta”). E anche perché il processo creativo, sia esso al tornio, manuale, o per mezzo di altre tecniche, tende a coinvolgere la delimitazione di uno spazio interno con la terracotta. Così il plasmare ceramico sottintende in genere la forma recipiente. E dall’esplorazione di tutte queste implicazioni, gli artisti creano oggetti in forma di vaso.

Nella seconda metà degli anni Ottanta la produzione di installazioni e opere ceramiche di grandi dimensioni si fece sempre più cospicua. Per designare tali creazioni, artisti e critici furono concordi sull’inadeguatezza della definizione togei (“opera in ceramica”); la soluzione migliore venne individuata nel termine Clay Work, mutuato direttamente dall’inglese. Se il senso letterale della parola originale copre tutte le possibilità creative della materia, in Giappone essa venne a significare, come si diceva, le installazioni e i lavori tridimensionali di grandi dimensioni. Anche le opere in ceramica cruda vennero dette Clay Work.

Nel 1946, il mondo della ceramica giapponese si risvegliava dalla Guerra: una caratteristica del periodo postbellico fu la nascita di nuovi movimenti che portarono alla formazione di grandi scuole o di piccoli o grandi gruppi di artigiani artisti, ciascuno impegnato nella creazione di un proprio stilema dell’arte ceramica. Qualcuno perseguì le tecniche tradizionali, altri privilegiarono la creatività, ma su tutti sortì un effetto dirompente l’aspirazione di alcuni alla non funzionalità della ceramica. In particolare il gruppo Sodeisha, composto di ceramisti con base a Kyoto. Yagi Kazuo, Kumakura Junkichi, e Suzuki Osamu ne furono i fondatori, intorno alla metà degli anni Cinquanta. Tali artisti elaborarono un metodo rispettoso dei processi della tradizione ceramica: il tornio, la decorazione, la smaltatura, la cottura e la rifinitura. Se da un lato il loro lavoro rappresenta l’arte ceramica nella sua convenzione, esso è anche arte pura, frutto di un’espressione del sé: dicotomia che produce opere non ascrivibili alla tradizione, e tantomeno alla sfera artistica. Le ceramiche Sodeisha incarnano una nuova teoria della plasmazione che si erge giusto nel mezzo, e che io definirei “plasmazione artigianale”. Ancor di più va evidenziato che la loro filosofia di arte e artigianato non attiene solo alla non funzionalità, ma rappresenta un modo chiaro di definire l’essenza della creazione individuale di opera artigianali come creazione artistica. Si tratta di un processo voluto dal materiale—la logica del materiale, per dirla con Hashimoto Masayuki, forse uno dei più importanti artisti contemporanei a lavorare il ferro. Seguire la logica del materiale per trovare una modalità di espressione del sè definisce in generale il lavoro di autori individualisti.

La plasmazione artigianale e l’arte pura, contemporanea, interagiscono allo scopo di formare un legame mutuale; il risultato può ragionevolmente dirsi creare il mondo contemporaneo dell’arte plastica. Così, l’arte ceramica esplora universi sempre più nuovi.

Negli anni Settanta emerse una nuova generazione: Yanagihara Mutsuo, Nakamura Kinpei, Morino Hiroaki, e Koie Ryoji, le cui opere erano poderosamente ispirate all’arte contemporanea giapponese, sviluppatasi in risposta all’influenza dell’arte americana impostasi nel Dopoguerra, tanto che molti si recarono negli USA allo scopo di condividere esperienze artistiche e capirne la cultura.

Tali conoscenze tuttavia non fecero degli artisti giapponesi così pedissequi fautori dell’arte contemporanea. L’effetto fu alquanto inaspettato: i soggiorni in America diedero loro ancora maggiore consapevolezza delle proprie radici, e della loro sensibilità individuale.

In questo modo le identità del tutto giapponesi e la ceramica, giapponese per definizione, non poterono che emergere, e divenire la chiave interpretativa delle opere. Nakamura Kinpei ha fatto della “Spiegazione del gusto giapponese” il proprio leit-motif, mentre l’interesse marcato di Yanagihara per la cultura giapponese tattile ne ha prodotto ”Inversion” e altre opere. Le ceramiche di questi artisti hanno una struttura duale: ne presentano la creatività individuale, mentre chiariscono le risposte degli autori all’interrogativo ancestrale sull’essenza della ceramica. Koie ha preso parte ai movimenti sulla nuova ceramica, influenzato, dalla metà degli anni Cinquanta alla metà dei Sessanta, dall’arte moderna e dalla Sodeisha. La sua produzione, foriera di messaggi dichiaratamente pacifisti e antiatomici, si confronta tuttavia con alcuni quesiti tecnici di vario genere, dalla natura della ceramica alla temperatura necessaria affinché una materia divenga ceramica.

I membri della Sodeisha si diedero a riflessioni critiche sulla forma, nel tentativo di creare una nuova dimensione artistica. In tal senso, Yagi produsse ceramiche nere, cotte a temperature relativamente basse, allo scopo di controllare il processo e arginare i cambiamenti indotti dal calore sul prodotto originario. Anche Koie si è dedicato alla fase della cottura, con una caparbietà senza precedenti. Per elevarla al rango di metodologia artistica, diede fuoco a legno, lamine metalliche e terra. Gli artisti rivoluzionarono completamente il processo classico, dal tornio, all’asciugatura, fino a smaltatura e rifinitura, giungendo alla tecnica artistica contemporanea. Il tratto distintivo della loro produzione, che dunque la differenzia dall’arte contemporanea convenzionale, è nel suo basarsi su un solo tipo di materiale. Tale limite significa che le forme sono create attraverso un processo altamente specifico.

La creazione ceramica o artigianale, dopo il raggiungimento di importanti traguardi in termini di forma, conosce sviluppi importanti dagli anni Ottanta in poi, in particolare nell’ultima metà, quando compaiono nuovi artisti che producono opere di grandi dimensioni. Fukami Sueharu utilizza i macchinari e le tecniche di fusione proprie della produzione di massa, e le promuove a strumenti fondamentali nella creazione di opera fortemente individualizzate. La sua porcellana possiede smalti translucidi blu chiaro, e presenta forme precise e levigate. Akiyama Yo fiammeggia tavole di terracotta asciugata naturalmente, dando origine a spacchi e fenditure, e creando forme di vario genere.

Negli anni Novanta apparve una generazione di artisti ancora più giovani: Imura Toshimi, Maeda Tsuyoshi, e Morino Akito. Imura riprese lo stile della ceramica nera di Yagi e Akiyama e si spinse oltre, fino realizzare forme potenti dalle tensioni complesse. Allora come oggi, Maeda crea e modella elementi connessi, praticando dei fori con le dita nell’impasto. Le opere, originalissime, portano il titolo ”La Mancanza”, in omaggio al sensuale interscambio tra le mani e la materia che connota l’atto demiurgico. Morino crea forme che ricordano barche o piroghe rudimentali, la cui superficie levigata è tutt’altro che primitiva, ma che anzi possiede qualità estetiche dalle suggestioni squisitamente contemporanee.

Queste, in sintesi, le nuove direzioni espressive intraprese dagli artisti giapponesi della ceramica oggi.

Istituto Giapponese di Cultura
via Antonio Gramsci 74 - Roma
Ingresso libero

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