Milano Istantanea. Il viaggio metropolitano dei due fotografi si esplica, in questa mostra, in diverse modalita' espressive e contribuisce alla costruzione di quell'epopea che vede le trasformazioni urbane protagoniste del Paese che cambia.
Milano Istantanea
A cura di Pio Tarantini
La città visibile
di Pio Tarantini
Le trasformazioni urbanistiche e architettoniche in corso o già avvenute negli ultimi anni nell’area metropolitana milanese non sono paragonabili, per quantità e caratterizzazione, a quanto sta avvenendo in molte aree urbane del mondo intero in tempi di mercato globale: tuttavia – semplicemente tenendo conto del passaggio storico in corso, definibile come una sorta di nuova rivoluzione industriale che ha modificato i processi di produzione – una grande e importante area come quella del capoluogo lombardo si è profondamente trasformata, negli ultimi anni, da vecchia “città-fabbrica” in “città dei servizi”.
Questa sostanziale modificazione strutturale economico-produttiva ha comportato una altrettanto importante trasformazione delle infrastrutture e quindi della “visibilità”, della fruizione visiva quotidiana della città e dell’hinterland. Di tutto questo la fotografia è stata sempre testimone eccellente, tanto più ai nostri giorni in cui molte precedenti esperienze di indagine fotografica sul territorio sono servite da esempio spingendo nuove generazioni di fotografi a dedicarsi al paesaggio in tutte le sue possibili declinazioni. Se nell’immediato dopoguerra e nei primi anni cinquanta i paesaggi urbani erano quelli legati al neorealismo, a un bisogno di maggiore aderenza alla realtà italiana così come era uscita dai disastri della guerra, nel decennio successivo – gli anni che precedono e caratterizzano il “boom” economico – si fa strada la necessità di superare in un certo senso il realismo un po’ poetico tipico dell’esperienza visiva, anche e soprattutto cinematografica, del primo periodo.
Pur restando fortemente ancorati alla realtà molti fotografi – tra tutti Paolo Monti – cominciano a porsi il problema di un approccio più organico e meno occasionale alla documentazione del paesaggio. Le esperienze dello stesso Monti negli anni sessanta e settanta apriranno la strada in Italia a una nuova generazione di fotografi caratterizzata dall’attenzione per il paesaggio che verrà fotograficamente raccontato, come è giusto che sia, con stili diversi: da quello sperimentale e sociale di Mario Cresci a quello più tradizionale e suggestivo di Mimmo Jodice; da quello più analitico-descrittivo, nel bianco e nero di Gabriele Basilico e nei “freddi” colori di Guido Guidi, a quello ironico e poetico di Luigi Ghirri. Su queste principali impostazioni formali si sono sviluppate molte altre esperienze di fotografia del paesaggio: lavori collettivi e personali che hanno coinvolto decine di fotografi in numerosi progetti – da quelli nati quasi spontaneamente come “Viaggio in Italia” (1984) a quelli istituzionali come “Archivio dello Spazio” della Provincia di Milano (1987-1997), queste due ormai esperienze “storiche” – e che hanno prodotto nell’ultimo quarto del secolo appena passato una mappatura certamente non completa ma indicativa del territorio italiano.
Ho ritenuto doverosa questa premessa, spero chiara nella sua azzardata sintesi, sullo stato di alcuni aspetti nel campo delle trasformazioni urbane e in quello della documentazione fotografica del territorio, nel momento in cui si presenta una mostra di due autori più giovani rispetto ai “capiscuola”. Si tratta di Gianni Maffi (nato nel 1957) e Massimo Prizzon (1948), ambedue con notevoli esperienze di documentazione e ricerca fotografica, che propongono la loro doppia visione di una Milano “tangenziale”: nel senso letterale del termine – molte immagini infatti sono state realizzate sulle o sotto le autostrade tangenziali che avvolgono la metropoli lombarda – e tangenziale nell’altro senso, metaforico, di una città visivamente in bilico tra i palazzi-grattacielo e una periferia urbana complessa, affascinante nell’oscillare tra la bruttura e il rinnovamento architettonico.
Si può partire, per questo breve ma intenso viaggio visivo metropolitano, dalle immagini in bianco e nero di Prizzon in cui alcuni palazzi e torri, impropriamente chiamati grattacieli, sono inquadrati da un punto di vista poco praticato: quello dal basso, del passante che, stando proprio sotto un alto edificio, alzi gli occhi al cielo in una spericolata verticale che gli consenta di portare lo sguardo fino alla cima dell’edificio stesso. Pratica di osservazione appunto inusuale, anche per la scomodità fisica che comporta, ma che rende molto bene l’idea dei rapporti di grandezza tra la dimensione umana e quella gigantesca della simbologia architettonica di potere declinato nella versione urbanistica. L’altro gruppo di immagini di Massimo Prizzon ci porta invece in ambienti urbani completamente diversi: lo sguardo infatti si posa, questa volta con una prospettiva più orizzontale, sotto i pilastri dei viadotti che si intrecciano nella periferia della città. La potenza delle strutture viarie si estrinseca qui in paesaggi a volte desolati in cui i pilastri dei viadotti sono quelli delle moderne cattedrali del trasporto, della mobilità individuale, che lo spettatore intuisce passargli sulla testa, invisibile e presente al tempo stesso. Prizzon non fa vedere il caos e la costrizione claustrofobica dei flussi automobilistici sulle tangenziali ma inquadra quello che c’è sotto, le strutture portanti e le aree circostanti con quel sapore di abbandono, di malinconia di luoghi in cui anche la natura pare arretrare di fronte al dilagare di colonne e travi in cemento.
Sopra l’autostrada invece “passa'' l’occhio fotografico di Gianni Maffi che con una macchina panoramica si immerge letteralmente nel traffico delle tangenziali cogliendo scorci caratterizzati dalle dinamiche di visioni veloci, in transito: il “mosso”, lo sfocato, la visione inclinata diventano parte importante del linguaggio perché traducono visivamente la precarietà e velocità della visione di un fruitore di autostrada. Sono visioni alle quali tutti siamo abituati nella pratica di vita urbana ma che Maffi ripropone fotograficamente con sapienza e risultati formali suggestivi in un bianco e nero “destrutturato” dove i dettagli dell’inquadratura si mescolano e nello stesso tempo si esaltano.
Tutto il contrario insomma dell’altro gruppo di immagini proposte per questo progetto dallo stesso Maffi quando fotografa numerosi luoghi periferici – nuovi quartieri, nuove strutture, piazzette e slarghi marginali, ponti e luoghi ferroviari – nei colori alterati delle ore notturne. In queste immagini il cielo nero fa da sfondo a edifici colorati dalle luci artificiali con forti dominanti che variano in genere dal giallo al rosso. La città diventa spettrale, luogo di ulteriore inquietudine e fascino, madre di situazioni che lo spettatore immagina spostate più sul fronte del fantastico che su quello realistico. Le luci blu che contornano una avveniristica multisala, una torre a fungo in lontananza, la dinamica di finestrini di un treno che passa veloce in una stazione periferica, e così via fotogramma per fotogramma, trasportano lo spettatore fuori del tempo e dello spazio così come questi possono essere più facilmente connotati dalla luce diurna. Il viaggio metropolitano di Prizzon e di Maffi si esplica, in questa mostra, in queste quattro diverse modalità espressive e contribuisce con quattro altri mattoncini alla costruzione di quell’epopea fotografica che vede le trasformazioni urbane protagoniste del nostro Paese che cambia all’inizio del nuovo secolo.
Inaugurazione giovedì 7 giugno dalle 18.30 alle 20.30
VR gallery
via Santa Marta, 8 - Milano
Orari di apertura: lunedì 15.00 - 19.00
da matedì a venerdì 11.00 - 19.00
sabato su appuntamento
Ingresso libero