Il taglio delle immagini di Berengo Gardin, che ha cominciato il suo lavoro fotografico sulla Sardegna gia' negli anni '50, nasce dalla verita' documentaristica, che nella fotografia trova lo spessore di una continua poesia, 'interpretata' dalla gente comune.
Reportage in Sardegna 1968-2006
Immagini di un’isola sospesa nel tempo, sguardi in bianco e nero tra realtà e memoria. È un viaggio affascinante il “Reportage in Sardegna 1968-2006” del grande fotografo Gianni Berengo Gardin, che da giovedì 14 giugno diventa una mostra preziosa, da visitare nel luminoso foyer di platea del Teatro Lirico.
Curata da Imago Multimedia con il coordinamento di Luca Sorrentino, la mostra si inaugura giovedì 14 alle 19 alla presenza dell’autore, con un intervento del critico d’arte Alessandra Menesini. Si potrà visitare sino al 26 luglio. L’apertura è dal martedì al venerdì dalle 10 alle14, e dalle 18 alle 20, il sabato: dalle 10 alle 14, con chiusura domenica, lunedì e festivi.
La mostra “Reportage in Sardegna 1968-2006”, che conta una cinquantina di pannelli fotografici, nasce dal libro omonimo che Gianni Berengo Gardin, fotografo tra i più apprezzati nel panorama internazionale, ha pubblicato a dicembre 2006 per Imago Multimedia. Il volume, che diventa catalogo dell’esposizione, è curato da Daniela Zedda.
Il taglio delle immagini di Berengo Gardin, che ha cominciato il suo lavoro fotografico sulla Sardegna già negli anni ’50, nasce dalla verità documentaristica, che nella fotografia trova lo spessore di una continua poesia, “interpretata” dalla gente comune. Sono volti, sorrisi, persone, gesti. Calati in momenti del quotidiano, nei tempi del lavoro, nei riti della festa. Il fotografo ligure ha approfondito il suo reportage sardo alla fine degli anni ’60, e nel 2006 è tornato nell’isola per rileggere con il suo obiettivo nuovi dettagli, ritratti, espressioni.
Forse è troppo bella per lasciarsi guardare, la donna di Desulo mentre trascina decisa l’asino carico di cose di casa. E basta un riflesso della mano per coprire il volto, per difendere la propria identità. Invece, penetrante come una lama ben temprata, lo sguardo della vedova di Lula si offre al fotografo per imporre la sua figura antica.
L’epica dell’identità sarda rimanda al tempo antico, lontano fin nella preistoria, per ritrovare le origini intatte di un popolo che ha resistito per millenni a ogni contaminazione etnica e culturale conservando storie e tradizioni che ancora si possono osservare allo stato di natura. Segrete corrispondenze suscitano le foto di Gianni Berengo Gardin: i tre pastori della Marmilla piantati nella terra fin dalla preistoria rimandano ai bétili mammelluti di “Tamuli”, come la circolarità della Tomba dei giganti di “Coddu Ecciu” parla la stessa lingua del “ballu tundu” campestre a Lula. L’identità in Sardegna è una coscienza infelice. Lacerata. Segreta. Incompiuta. Antica.
«Non è meraviglia che troviate illesi fra coteste genti i modi che leggiamo nella infanzia delle prime età […] Di certo, che per questa via vi si riscontrebbero di molte costumanze che accenna la Genesi, l’Esodo, il libro d’Giudici, e de’ Re, e molte oscurità de’ profeti si chiarirebbero agevolmente»: l’idea che la Sardegna potesse essere un laboratorio per lo studio dal vero delle antiche civiltà ha la sua consacrazione con i due volumi del gesuita Antonio Bresciani, usciti nel 1850 con un titolo emblema: Dei costumi dell’isola di Sardegna comparati con gli antichissimi popoli orientali. C’è nella tradizione dei gesuiti l’idea di scoprire e colonizzare nuovi mondi selvaggi, terre lontane. Bresciani trova le sue Indie dietro l’uscio di casa. «Qual meraviglia ora, che il padre Bresciani ti racconti con lo stesso stile un assassinio ed una passeggiata?»: stroncato da Francesco De Santis, famoso scrittore poligrafo del suo tempo, L’ebreo di Verona fu romanzo di grande successo, Bresciani è segnato per sempre al ludibrio politico letterario dalla sprezzante battuta, «nipotini di padre Bresciani», con cui Gramsci nei Quaderni volle stroncare la rigogliosa schiera di letterati del suo tempo, da Papini a Ojetti, Curzio Malaparte insieme a Bacchelli, Ansaldo e Repaci, tutti affetti appunto da «gesuitismo letterario». Vendetta barbaricina! (…) Pasquale Chessa (testo tratto dal libro “Reportage in Sardegna 1968-2006”)
Biografia
Nato a Santa Margherita Ligure nel 1930. È la seconda guerra mondiale che lo conduce verso la fotografia. Da bambino, portava l’uniforme nei "sabati fascisti": sognava di vincere il concorso che prometteva ai due giovani migliori della classe di fare la guardia davanti a Palazzo Venezia ed essere ricevuto dal Duce! Sua madre gli fece prendere coscienza che la democrazia era un’alternativa al fascismo. Il suo inizio è un atto di sfida verso l'occupazione tedesca che, nell'Italia del '43, obbligava a consegnare alle questure, non solo le armi tenute nelle case, ma anche le macchine fotografiche. Lui, tredicenne, in un moto di ribellione adolescenziale, invece di far consegnare la macchina decise di andare in giro a fare foto. Uno zio ebreo, che viveva negli Stati Uniti, molto amico di Cornell Capa (figlio di Robert Capa) gli inviò un libro della Farm Security Administration (FSA). Era un reportage fotografico (tra il 1935 e il 1944), ben distante dal reportage ancora provinciale dei quotidiani italiani, che aveva l’obiettivo di testimoniare la situazione sociale ed economica degli agricoltori americani. Vi erano fotografie di Paul Carter, John Collier Jr, Jack Delano, Walker Evans, Dorothea Lange. Sono state le loro immagini a formare l’occhio di Berengo Gardin. Per caso, quando mostrò le sue foto a un amico in un bar, il redattore capo del giornale Il Borghese lo notò e gli comprò tutte le foto. Ma, se quello fu il primo "contatto", la sua carriera iniziò anni dopo.
Gli fecero da maestro le immagini dei reporter americani di Life, le stesse esperienze della Farm Security Society. Nel 1954 decise quindi di andare in Francia, a Parigi.
Vi incontrò Willy Ronis, Doisneau, Boubat, e lo chiamano di già “il Cartier-Bresson italiano”. Le sue iniziali “GBG” fanno l’eco a quelle di “HCB”. A Parigi apprezzò Bresson, ed in generale tutti i fotografi della Magnum, e fece suo l'utilizzo del piccolo formato (Leica 35mm) per la semplicità e immediatezza d'uso.
Trovata la sua strada, inizia le collaborazioni con diverse testate giornalistiche. La sua è una passione, prima che un lavoro. Negli anni del Dopoguerra si trasferisce così a Venezia, dove entra a far parte del circolo fotografico La Gondola, fondato e diretto da Paolo Monti e, su invito di Italo Zannier, del Gruppo Friulano per una Nuova Fotografia. Del 1962 sono i suoi primi lavori come professionista, con i quali, abbandonato ogni interesse per la "mondanità" della fotografia di moda e pubblicitaria, si dedica definitivamente al reportage, all'indagine sociale, alla documentazione e descrizione dell'ambiente. Prosegue nel frattempo la collaborazione già iniziata nel 1954, con Il Borghese di Longanesi e Il Mondo di Pannunzio. Grazie ai numerosi volumi per il Touring Club Italiano e per l'Istituto Geografico De Agostini, documenta gran parte delle regioni e delle città italiane e diversi paesi europei.
Con oltre cinquanta mostre personali e un centinaio di volumi pubblicati, Gianni Berengo Gardin è ormai una delle maggiori personalità della fotografia internazionale. La qualità del suo lavoro ha ottenuto i riconoscimenti della critica più prestigiosa. E' stato infatti citato, unico fotografo, da E. G. Gombrich nel suo libro The image and the Eye (Oxford 1982) e da Italo Zannier nella sua Storia della fotografia italiana (Bari 1987) come "il fotografo più ragguardevole del dopoguerra". Cecil Beaton lo ha incluso nella mostra da lui organizzata nel 1975, dedicata ai geni della fotografia dal 1839 ad oggi. Nel corso degli anni collabora con le maggiori testate nazionali e internazionali (Domus, Epoca, L'Espresso, Time, Stern, Harper's Bazaar, Vogue, Du, Le Figaro ecc.).
Il suo modo caratteristico di fotografare, il suo occhio attento al mondo e alle diverse realtà, dall'architettura al paesaggio, alla vita quotidiana, gli hanno decretato il successo internazionale e lo rendono un fotografo molto richiesto anche nel mercato della comunicazione d'immagine. Molte delle più incisive fotografie pubblicitarie utilizzate negli ultimi cinquant'anni provengono dal suo archivio. Procter&Gamble e Olivetti più volte hanno usato le sue foto per promuovere la loro immagine.
Berengo Gardin e la vita quotidiana
Afferma che non smetterebbe mai di fare il fotografo per nessuna ragione al mondo. Perché crede di avercela nel sangue, la fotografia. Gli piace molto anche il rapporto con la terra. Zappare la terra, lavorarla e prendersene cura con lavori manuali. Forse perché incomincia ad essere non più tanto giovane e così gli piace fare quelle cose che prima ha trascurato. Qualche volta si domanda se non ho sbagliato tutto nella vita.
“Oggi abbiamo tutti la mania di voler accelerare la nostra vita, correndo dietro a mille cose, e perdendo il senso della pacatezza e della ponderazione”.
Uno, dieci centomila sono i rimpianti di una vita. Avrebbe voluto fare tante cose in fotografia che non è riuscito a fare. Avrebbe voluto fare dei reportages veri, non dei mezzi reportages... in economia. E ha grande invidia per quello che fa Salgado (ancora lui!!). Messaggi da dare nel secondo millennio? In un mondo che diventa sempre più elettronico, con il dilagare di internet, Berengo Gardin si dedica sempre di più a diventare un contadino, andare a lavorare la terra e piantare bei alberi di limone che gli danno molta più soddisfazione che stare davanti ad uno schermo di vetro.
Il fotografo Berengo Gardin
È stato per anni fotografo di architettura pura, allievo di Gabriele Basilico. Ha lavorato per il Touring Club facendo libri di architettura e di storia dell'architettura. Oggi invece non fa quasi più niente di architettura, eccetto per Renzo Piano. I due hanno un rapporto di lavoro ma anche di amicizia, si conoscono da tanti anni e lavorano molto bene insieme; pur essendo un architetto, Piano non pretende le foto nude e crude di architettura, ma sempre con la presenza dell'uomo. Per Piano ha realizzato anche foto di architettura pura o del particolare di un trave disegnato in un certo modo o di un bullone o di un tirante disegnato dal designer. Per Piano fotografa sia l'aspetto tecnico, che interessa a loro, ma anche l'immagine di reportage nell'architettura. L'architettura vive con l'uomo.
Tecnica e stile
Immagini che scavano nel passato. E frugano nelle tasche dei ricordi. Composte, equilibrate, belle. Berengo Gardin non è mai banale. Non fa uso di filtri e di procedimenti chimici deformanti in fase di sviluppo e stampa. Le sue fotografie sono apparentemente semplici, prive di qualunque artificio. La loro forza espressiva deriva invece dalla composizione severa, dall’attenta presenza di corpi liberi, dalle prospettive scomposte e ricostruite come se linee e vie di fuga fossero piccoli mattoncini a incastro. Racconta con fedeltà e senza mai peccare di presunzione. Le sue composizioni del reportages in Sardegna assecondano l’andamento della terra e i gesti dei pastori, mentre le sue visioni ci restituiscono l’altra faccia della verità sociale del tempo.
È facile vederlo in giro, mentre passeggia in manifestazioni di fotografia. La macchina sempre in spalla, gli occhi piccoli ed attenti, un fare discreto di chi, per professione e per carattere, ha imparato a “non dare nell'occhio”.
Gardin è una persona sensibile ai problemi sociali, le sue non sono foto di denuncia, fini a se stesse, ma dettate dalla voglia di rendere appieno l'uomo nella sua quotidianità, indagare nelle zone scure e scarsamente battute per ribadire, con l'uso dell'immagine, dignità dimenticate o realtà d’emarginazione. Ma non bisogna cercare fra le sue "parole non scritte” segni di disperazione o degrado gratuito; lui è un uomo positivo e le sue vogliono essere foto di speranza. Discreto, sensibile, umile quel tanto che basta per prenderlo in simpatia, dimostra attraverso le sue immagini una fotografia "classica", attenta alla forma e di grande stile. Dalla sua fotografia traspare una grande voglia di comunicare. "Una foto non varrà 1000 parole" dice, "ma almeno 300, si!".
Alcune mostre
Berengo Gardin ha esposto le sue foto in centinaia di mostre che hanno celebrato il suo lavoro e la sua creatività in diverse parti del mondo: il Museum of Modern Art di New York, la George Eastman House di Rochester, la Biblioteca Nazionale di Parigi, gli Incontri Internazionali di Arles, il Mois de la Photo di Parigi, le Gallerie FNAC. Nel 1991 una sua importante retrospettiva è stata ospitata dal Museo dell'Elysée a Lausanne, e nel 1994 le sue foto sono state incluse nella mostra dedicata all'Arte Italiana al Guggenheim Museum di New York. Ad Arles, durante gli Incontri Internazionali di Fotografia, ha ricevuto l'Oskar Barnack-Camera Group Award. Nel luglio del 2005, in occasione a Milano dell’inaugurazione di FORMA, un spazio internazionale interamente dedicato alla fotografia, Gianni Berengo Gardin è stato scelto come autore per la mostra inaugurale con un’antologica sulla sua opera.
Inaugurazione:giovedì 14 giugno 2007, ore 19.00
Teatro Lirico
via Sant'Alenixedda - Cagliari