"Solitudine e frenetica ripetizione delle forme: la poesia metropolitana delle sue opere e' scritta nei toni del grigio, con tratti pittorici nervosi che si intersecano in un preciso groviglio di spazio globale" E. Castellan. Il percorso espositivo si propone come uno 'storyboard' con visioni della citta' dall'alto e in costante movimento.
A cura di Marco Meneguzzo
Statica, immensa e inquietante, la città di Jonathan Guaitamacchi si sviluppa nelle ombre di un sole al tramonto, nel ripetersi alienante di un’architettura urbana che in direzione prospettica tende all’infinito. Solitudine e frenetica ripetizione delle forme: la poesia metropolitana delle sue opere è scritta nei toni del grigio, con tratti pittorici nervosi che si intersecano in un preciso groviglio di spazio globale.
L’iterazione del tema e le modalità di rappresentazione sono il segno peculiare di questo artista che ha saputo imporsi tra le personalità più interessanti, nel panorama dell’arte figurativa italiana e internazionale.
Nato a Londra nel 1961, Jonathan Guaitamacchi si è diplomato all’Accademia di Brera di Milano, dove oggi vive e lavora. Innumerevoli sono le mostre e le rassegne prestigiose cui ha partecipato: fra le più recenti, si ricordano “Auguri ad arte” al Mart di Rovereto, “Camerae Pictae” alla biennale d’arte di Postumia, la biennale di Pechino e lo Scope a New York nel 2005, oltre alle numerose personali in prestigiose gallerie italiane ed estere.
Così, lo stesso Guaitamacchi, descrive la sua opera, sintesi di memoria, intimismo, lirismo e spiritualità: “Ho sorvolato luoghi e città credendo di volare libero ma ho sempre sentito e visto salire in alto il lamento degli esclusi - io dedico il mio lavoro alle miriadi di voci che nella sofferenza nessuno potrà mai sentire - a volte volo aggrappato alla mia immaginazione ma mi ritrovo a dialogare soltanto con la mia dannata impotenza - ogni giorno prego per gli sconfitti - la mia visione è fatta di varchi in cui vedo scorrere le nostre anime prigioniere degli affanni - la mia voce non è altro che una testimonianza dispersa e confusa - la città che ho visto dall'alto è forse il luogo misterioso della mia memoria - il sogno della mia ripetuta ossessione…”.
Il percorso espositivo della mostra, ospitata alla Piccola Galleria, si propone come “storyboard”, visioni urbane, scrutate dall’alto e da un punto di vista in costante movimento, immagini sequenziali di un film che si attua nello sguardo dello spettatore. Queste vedute appartengono al suo universo esistenziale; da Milano a Londra, il filo che le accomuna è rappresentato dalla loro memoria e dalla percezione intima che nasce nell’animo dell’artista. Egli ci esorta ad abbandonare la sola osservazione frontale e le prospettive mutano ad ogni nuovo incontro con l’opera, mostrando la realtà nelle sue molteplici dinamiche.
Le città di Guaitamacchi sono abitate dal cemento e ogni via di collegamento sembra condurci in un labirinto senza traguardo. Seguendo la gestualità pittorica delle sue opere, ci si scontra con l’ortogonalità delle linee, dipendenti da una logica prospettica tesa ad annullare ogni fattore di confine. Il ritmo sincopato dell’architettura e l’apparente astrazione vanno lette come un’organica rappresentazione della spiritualità sottesa alla metropoli contemporanea. Egli oltrepassa la materialità dello spazio urbano per coglierne il segno immutabile ed eterno che persevera, invariato nel tempo e nella diversità dei luoghi. L’architettura si spersonalizza nella ripetitiva proiezione di se stessa, abbandona la sua consistenza per assumere la dimensione dello spazio mentale dove le immagini si susseguono, sbiadite dal ricordo e rincorse dal sentimento che le determina.
Alla pittura di Guaitamacchi si aggiungono contenuti narrativi che l’artista esprime a penna, in versi poetici, annotazioni e racconti, riflessi di un’urbanità che si propone quale metafora dell’uomo e della sua parte più intima. Egli non rappresenta l’individuo nella sua essenza fisica quanto, piuttosto, nella sua proiezione verso l’infinito, nel desiderio di confrontarsi con la morte per superare l’inevitabilità del limite. Tutte le linee tendono al cielo, per catturarne la capacità di esistere pur nell’infinita leggerezza della sua essenza; è l’impulso tutto umano di dominare la massa caotica della materia, il sogno di “sorvolare” le angosce umane, nell’utopia della riconciliazione tra il bianco e il nero.
Elena Castellan
Immagine: London - olio su carta telata 290x180 - 2007
Inaugurazione sabato 7 luglio 2007
Piccola Galleria Arte Contemporanea
Palazzo Sale, Via Verci 20
36061 Bassano del Grappa - VI
da martedì a venerdì 18.00 - 20.00
sabato e domenica 16.00 - 20.00