Palinsesti della materia. Spazio e tempo nella scultura. Le memorie lucane e pugliesi, la Magna Grecia e la 'luce' di quel Mediterraneo che ha illuminato il mondo. Le tradizioni e i riti di una societa' ancestrale, la pietra leccese corrosa.
Palinsesti della materia. Spazio e tempo nella scultura
a cura di Loretta Fabrizi
Il rapporto dialettico tra la fi sicità della scultura e le tensioni psichiche e immaginative dell’artista rappresentano
uno dei grandi “problemi” della scultura in generale. Lo scultore ha a che fare con la durezza della materia
che gli resiste e lo stesso suo corpo è “pietra che resiste” (Paul Feyerabend). Dare forma ad un’idea
signifi ca scontrarsi con una serie di resistenze che la tecnica risolve solo in parte. Scultura e materia, scultura
e tecnica, scultura e necessità espressive e comunicative: in questo corpo a corpo, il linguaggio della
scultura si defi nisce come oggetto fi sico, portatore di specifi ci valori di forma e nello stesso tempo come
“macchina” per narrare, che reinventa continuamente i propri contenuti nel rapporto che stabilisce con chi
guarda.
Corpo della scultura, corpo della scrittura. Non è un caso che entrambe esprimano una originaria,
comune radice onomatopeica che traduce lo scavo dello strumento sulla pietra. Prima di essere ciò che
rappresentano e che raccontano, scultura e scrittura sono un corpo linguistico e in quanto tale sottoposto
alle trasformazioni interne al linguaggio nel corso della sua evoluzione storica. Dalla struttura del discorso
come lo voleva Platone – un corpo ben formato con testa, ventre e coda – discende la composizione fatta di
relazioni, di proporzioni e di equilibri propria dell’arte occidentale, nonché la sua organizzazione essenzialmente
narrativa, che sviluppa un insieme progressivo di elementi signifi cativi che si rinforzano e si spiegano
vicendevolmente.
Il progetto della “modernità” ha superato la rappresentazione affermando la specifi cità del
mezzo e la valenza del signifi cante formale, non rinunciando tuttavia completamente all’idea di corpo plastico
come unità strutturata, chiara e analitica. La “contemporaneità” ha recuperato invece il fattore esperenziale,
trasformando la scultura da medium statico e idealizzato a medium materiale e temporale, contestando l’idea
stessa del mezzo, in modi vari e diversi assorbito nel reale. Di fronte all’imponente scenario delle pratiche
artistiche contemporanee che tendono a polverizzare l’esperienza estetica nella comunicazione mediatica,
quale spazio per la scultura e per gli artisti che continuano ostinatamente a praticarla? Dopo l’happening,
la performance, l’installazione, che senso ha ragionare ancora in termini di “rilievo-piano-volume-superfi ciepieno-
vuoto”?
Quali le ragioni della scultura?
Oltre due secoli e mezzo fa, cercando di defi nire la scultura e di individuare la categoria generale
dell’esperienza a cui essa si rifà, G. E. Lessing (Laooconte, 1776), opponendo una sostanziale distinzione,
affermava che le arti visive, avendo a che fare con lo spazio – nella scultura si tratta del dispiegamento dei
corpi nello spazio – sono essenzialmente statiche. Tuttavia i corpi non esistono solo nello spazio ma anche
nel tempo e ogni organizzazione spaziale contiene un’asserzione implicita sulla natura dell’esperienza temporale.
Se rileggiamo la storia della scultura moderna e contemporanea alla luce delle categorie interpretative
del reale che caratterizzano il nostro attuale presente, emerge con chiarezza che è il tempo, quello reale.
Gentilissimi amici,
sabato 21 luglio 2007 a partire dalle ore 19,00 presso il Museo Nazionale archeologico di Metaponto, vi
segnaliamo la cerimonia di inaugurazione della mostra di sculture
Salvatore Sebaste
dell’esperienza, di un senso che non precede ma nasce col farsi dell’opera e dell’esperienza che se ne fa, il
connotato distintivo della presenza di un sentimento del presente che va oltre ogni distinzione disciplinare,
stilistica, tecnica. Nella scultura di Salvatore Sebaste questo sentimento del presente si defi nisce nella prevalenza
assegnata ai valori di superficie.
Nella puntuale e dettagliata ricostruzione della produzione scultorea di Sebaste fatta da Anoall
Lejacard (Fugacità e trasformazione delle forme, 2007) è possibile riconoscere una specie di riassunto della
scultura italiana del secondo dopoguerra: dalla prime prove lungo la direzione dell’arcaismo e primitivismo
martiniano nella resa della fi gura umana, al postcubismo intriso di quei fremiti materici e carnali destinati ad
esplodere con l’Informale e la sperimentazione aperta sulle forme e sui materiali operata da Manzù, Fazzini,
Minguzzi, Fabbri, Mastroianni, Leoncillo, Consagra, Mirko; e da Edgardo Mannucci, il grande marchigiano a
cui chi scrive non può non fare riferimento. Di qui la scultura materica e scabrosa, sottoposta a un processo
di corrosione che lasciava lievitare la superfi cie in una rete di segni animata e viva, con cui veniva espresso
tanto il sentimento di vitalità originaria, organica, cosmica, quanto l’inquietudine e il tormento esistenziale di
quella generazione di artisti testimone della tragedia dei poteri contro l’uomo, dell’uomo contro l’uomo.
Una
temperie artistica che ricade su Sebaste, in cui vengono assorbite e fi ltrate le componenti del proprio, personale
vissuto: le memorie lucane e pugliesi, la Magna Grecia e la “luce” di quel Mediterraneo che ha illuminato
il mondo. Le tradizioni e i riti di una società ancestrale, la pietra leccese corrosa che reca i segni di una storia
millenaria, le botteghe artigiane e la tradizione dei cartapestai, lo straordinario appello ai sensi del barocco
leccese. Tutte componenti che “caricano le valenze estetiche di un interesse antropologico dando vita a una
semantica archetipale” (Anoall Lejacard) cui l’artista fa costante riferimento e che si concretizza nella tematica
mitica e nell’evidente strutturazione totemica delle sue sculture.
L’abbandono ai temi mitici va letta come
possibilità estrema di restituire all’individuo una consapevolezza storica che lo possa ricongiungere alle forze
naturali, mentre nell’espressione potentemente sintetica, ieratica e frontalizzata dell’oggetto totemico si
esprime il senso profondo della protezione alla violazione e all’appropriazione dell’oggetto e del suo omologo
umano. Spesso è una scultura frontale quella di Sebaste – come in Pietro Consagra – in quanto tentativo
di uscire dalla tradizione della statuaria “lingua morta” e favorire il senso dello spazio con la presenza delle
aperture, dei trafori e del colore che esalta il rapporto di naturalità.
Si diceva della scultura in quanto corpo e del corpo della scultura. Il fi losofo contemporaneo Jean-Luc
Nancy (Corpus, 1992) sostiene che <>. Noi non abbiamo un corpo ma “siamo” un corpo, vibrazione, apertura, estensione infi -
nitamente rinnovata e singolarmente plasmata, libertà materiale di tinte, toni, luminosità. Corpo che ha luogo
al limite, evento di pelle: la pittura è l’arte dei corpi – dice Nancy – perché è pelle da parte a parte.
Questo senso della superfi cie in quanto pelle, incarnato, limite che apre, che distanzia, luogo dove
l’anatomia fa posto all’evento (tremare, ridere, godere, soffrire…) è una delle conquiste plastiche del ‘900.
Punto di incontro tra la superfi cie del corpo, il limite, la frontiera tra ciò che pensiamo come interno e privato
ed esterno e pubblico, è il luogo della signifi cazione. Superfi cie crivellata di segni, di accidenti, protuberanze,
scavi, incisioni, grumi, impronte, tracce che evocano forze magiche, primitive, gesti antichi, antichi rituali
e il senso di mistero che da questi promana.
Le forze interne che condizionano le fi gure sono ovviamente
anatomiche, secondo un vocabolario primitivista, arcaico, stilizzato, geometrico, le forze che provengono
dall’esterno vengono dall’artista, la manipolazione, l’artifi cio, i processi di realizzazione. Come ha rilevato
Rosalind Krauss (Passaggi, 1998), mettere l’accento sulla superfi cie – piano di rappresentazione che oggi
potremmo identifi care con lo schermo – e sul modo in cui il senso vi è in parte impresso da fattori esterni è
una questione fondamentale della scultura di Rodin e di Rosso, i due più importanti scultori alla svolta tra
Otto e Novecento. Essa rivela una tensione tra la struttura interna dell’oggetto- scultura che richiama il corpo,
e i processi esterni di formazione che ci danno appunto la sensazione di guardare un oggetto foggiato dal
“passaggio” delle forze naturali e umane sulla superfi cie della materia.
Negli scriptoria medievali la penuria di papiri e pergamene induceva spesso l’amanuense a cancellare
dagli antichi manoscritti, lavandoli e raschiandoli, il testo originario per sostituirlo con un altro. Palinsesto
è il multistrato della storia, sedimentazione, frammento irriducibile al suo disegno originario ma che preme
sulla nostra coscienza presente con la forza della memoria affi orante. Il palinsesto è l’ottica con cui osserviamo
il nostro passato; la stessa natura, il paesaggio, vanno letti come palinsesto, come fatti non solo fi sici o
geografi ci ma storici, sociali e culturali. Il paesaggio in effetti, è una metafora di come funziona la memoria,
nel senso che nel corso del tempo cancella ciò che vi si è verifi cato, nasconde, assorbe, e rivela per indizi,
tracce, impronte, residui. Raffaele Nigro (2005) chiama appunto le superfi ci di Sebaste “metafore della memoria”:
superfi ci defi nite dagli spessori materici che si addensano e si distendono. Escrescenze e scrostature,
tessiture di segni sopra fondi sabbiosi, argille screpolate e muri di calcina, dove la tattilità, la policromia,
il polimaterismo, la trattazione pittorica della superfi cie si defi niscono come costanti di una ricerca che trova
nelle opere in cartapesta un punto di confl uenza, in cui il pittore e lo scultore si congiungono in una via unifi -
cante motivata da un’unica sostanza espressiva.
Tuttavia la scultura di Sebaste dà la sensazione di una struttura interna dell’oggetto, che è vero si
frammenta ed articola dislocandosi, ma che rimane sostanzialmente unitaria. Qui abbiamo la fusione dei
due modi di essere di un oggetto: l’essenza strutturale e l’esistenza contingente che possiede nello spazio
reale di fronte alla mutevolezza del contesto e di chi guarda. Opposizione tra un centro statico e un esterno
cangiante e in movimento. Ecco che pur nella frammentazione, l’opera tenta di andare oltre il carattere parziale
delle informazioni per una percezione globale dell’immagine “trasparente al suo nucleo” (Krauss). Una
sola veduta si pone come momento di una circolazione continua intorno all’oggetto, svolto nel tempo e nello
spazio, ma unifi cato dalla trasparenza al suo nucleo. Nella dialettica tra struttura e superfi cie della scultura di
Sebaste, l’esperienza del tempo è dunque riassunta e trascesa nel corpo di un racconto cui un artista intriso
di Mediterraneo non può e non deve rinunciare.
Museo Archeologico
via Aristea (Localita' Metaponto borgo) - Metaponto (MT)
Ingresso libero