Mostra fotografica. "Queste immagini sono prima di tutto, la storia di un viaggio dell'anima.(...) I fumi, i sassi, i muschi, i basalti, le ossidiane, i ghiacci le acque e gli spazi lunari che raccontano, sono attimi di meditazione o di turbamento che hanno risvegliato frammenti di poesia." A.Fabrini.
Terramadre. Impressioni d'Islanda
Nel luglio del 2004 feci un viaggio in Islanda in compagnia di un gruppo
di amici riuniti attorno all’entusiasmo di un cugino geologo e
professore di vulcanologia all’Università di Bologna.
Dirò che in quel periodo e da tempo, il mio animo era molto provato e
che da alcuni anni non riuscivo più a fotografare. Succede che quando si
spegne la luce dentro per qualche caso della vita, anche l’occhio non
riesca più a cogliere il senso delle cose. E per noi umani, se non c’è
senso, non c’è cosa.
Quello che sostanzialmente mi fece decidere fu un riferimento geologico
che non interpretai come dato scientifico ma come l’affiorare di un tema
quasi poetico.
“L’Islanda, diceva il vulcanologo, è una emergenza della dorsale
medio-atlantica ed è l’unica terra emersa al mondo in cui sia visibile
in superficie la spaccatura della deriva continentale, fenomeno che si
può osservare solo nelle profondità oceaniche”. Come dire: lì puoi
vedere gli abissi.
Quel particolare lavorò dentro di me e mi fece sognare. Frugai nei libri
per rispolverare la teoria della tettonica a placche, i fenomeni della
deriva dei continenti, la natura dei terremoti e delle eruzioni vulcaniche.
Partii col sentimento di affrontare un viaggio di grande interesse
naturalistico e scientifico, ma non fu solo questo. Vi trovai, invece,
la poesia che avevo intuito.
Incontrai il principio del mondo o forse la fine del mondo e il tempo
della geologia, quello che si misura in milioni di anni. Mi immersi
nella potenza degli elementi, nel terribile della terra e nella sua
magnificenza. Abitai il silenzio assoluto, quello che tuona e che
risveglia la tua condizione di creatura.
Mi ritrovai, dunque, perdendomi nella potenza di questa terra. In nessun
momento mi sono sentita turista, quasi sempre, un devoto in una
cattedrale. E non faticai a resuscitare dal cuore l’impulso a fotografare.
Queste immagini sono prima di tutto, la storia di un viaggio dell’anima.
Non documentano l’Islanda. Qualunque agenzia viaggi potrà fare di meglio
e di più.I fumi, i sassi, i muschi, i basalti, le ossidiane, i ghiacci le acque e
gli spazi lunari che raccontano, sono attimi di meditazione o di
turbamento che hanno risvegliato frammenti di poesia. Sono una traccia
di assoluto a due ore di volo dall’Italia, ai bordi del Circolo Polare,
dove incontri, senza immergerti, la crepa degli abissi.
Lì scopri che la terra-ferma, su cui tanto facciamo conto, non è che una
modesta zattera di suolo che galleggia su chilometri di magma
incandescente, in una deriva inarrestabile che i sensi non percepiscono
e che la ragione rimuove.
Lì senti che per caso o per amore sei essere vivente.
Lì senti che la terra respira e noi con lei.
Di certo non è ferma. Forse, però è madre.
Anna Fabbrini
Il Contributo critico del Curatore
Coloro che si appassionano al cosa fotografare più di quanto non si
curino del come e del perché fare fotografia, resterebbero delusi da
questa proposta\mostra se non si spingessero un poco più a fondo del
solito per scoprire il piacere di un’analisi ampia
per sua fortuna, e per quella degli spettatori più accorti, Anna
Fabbrini propone anche qui un lavoro che necessita di quella
‘partecipazione attiva’ che già Marcel Duchamp invocava nel Novecento –
per sé e per l’arte in generale – quasi ad auspicare la chiusura di quel
‘cerchio virtuoso’ che si crea tra artista e spettatoremi piace sottolineare come, basandosi principalmente su frammenti
estratti dalla realtà più esplicita\concreta\materica li trasfiguri –
senza bisogno di effetti speciali – in episodi visuali da mettere in
gioco sulla medesima scacchiera delle parole
ed ecco che le due componenti testuali – gli scritti quanto le
fotografie – si offrono alla nostra lettura con pari dignità e quali
spunto di sinergìe la sicurezza del suo ‘fare fotografico’ e quello sguardo che ci propone
con tanta sobrietà, non fanno mai velo a quanto di più sottile e
impercettibile si può trovare, con un po’ di attenzione, anche in questo
suo intenso impegno
una ricerca per immagini e parole che possiamo apprezzare ancor meglio
se la osserviamo “in filigrana” entrando in contatto con le riflessioni
di un’Autrice che utilizza le potenzialità di una ‘poetica’ tra
parola\testo\lettura\immagine\visione\emozione
non a caso, nel suo ultimo libro di scritti autobiografici, "Qui e la'.
Visioni dai luoghi" ci parla di “fotografie della mente”
Emilio de Tullio Luglio 2007
Inaugurazione sabato 29 settembre 2007 alle 17
Museo degli Sguardi - Raccolte Etnografiche di Rimini.
Via delle Grazie, 12 (Villa Alvarado), Rimini
Ingresso libero