Sheba Chhachhi
Atul Dodiya
Anita Dube
Probir Gupta
Subodh Gupta
Ranbir Kaleka
Jitish Kallat
Reena Saini Kallat
Bharti Kher
Nalini Malani
Raqs Media Collective
Raghubir Singh
Vivan Sundaram
Hema Upadhyay
Avinash Veeraraghavan
Adelina von Furstenberg
Deepak Ananth
La mostra presenta i lavori di 15 artisti indiani proponendo un percorso in cui emergono tutte le contraddizioni dell'India contemporanea. Sono scultori, pittori e video artisti, le cui opere sono ispirate a tematiche come l'immigrazione, la salvaguardia ambientale, l'eredita' del Mahatma Gandhi, la perdita dei valori tradizionali, la poverta' e la ricchezza nel mondo globalizzato. A cura di Adelina von Furstenberg.
A cura di Adelina von Fürstenberg
Una nuova importante iniziativa inaugura in autunno all’Hangar Bicocca Spazio di Arte
Contemporanea di Milano. Il 18 ottobre apre infatti URBAN MANNERS. Artisti contemporanei
dall’India, un progetto di Hangar Bicocca in collaborazione con ART for The World Europa,
ideato e curato da Adelina von Fürstenberg.
La mostra presenta i lavori di quindici artisti indiani emblematici - SHEBA CHHACHHI, ATUL
DODIYA, ANITA DUBE, PROBIR GUPTA, SUBODH GUPTA, RANBIR KALEKA, JITISH
KALLAT, REENA SAINI KALLAT, BHARTI KHER, NALINI MALANI, RAQS MEDIA
COLLECTIVE, RAGHUBIR SINGH, VIVAN SUNDARAM, HEMA UPADHYAY, AVINASH
VEERARAGHAVAN - proponendo un percorso in cui emergono tutte le contraddizioni dell’India
contemporanea.
Per la preparazione di URBAN MANNERS Adelina von Fürstenberg ha collaborato con Deepak
Ananth - curatore indiano della mostra Indian Summer, tenutasi all’Ecole des Beaux Arts di Parigi
nel 2005 – ed in particolare per la scelta delle opere di Raghubir Singh e di Vivan Sundaram.
Gli artisti invitati a Milano sono scultori, pittori e video artisti, le cui opere sono ispirate alle
tematiche che contraddistinguono l’attuale società indiana, ma non solo, quali, ad esempio,
l’immigrazione, la salvaguardia ambientale, l’eredità del Mahatma Gandhi, la perdita dei valori
tradizionali, la povertà e la ricchezza nel mondo globalizzato.
L’India odierna non è infatti solo più quella poverissima realtà uscita dalla dominazione coloniale,
nota esclusivamente per l’esportazione delle proprie idee filosofico-religiose. Le metropoli indiane
sono oggi in preda a un forte vento di modernizzazione e, accanto alle strutture locali premoderne,
sorge una società postmoderna e urbana che si distingue da quella in cui l’antica India primordiale
e superstiziosa sussiste ancora.
Allo stesso modo, l’arte postmoderna indiana è una risposta alla contraddizione di fondo che
oppone la città alla campagna, la modernità alla tradizione, la spiritualità al mondo materiale, il
sottosviluppo alla tecnologia più all’avanguardia.
Gli artisti indiani invitati condividono con gli altri artisti, che operano nella contemporaneità e
provengono da tutto il mondo, gli strumenti propri della civiltà globale della comunicazione.
Tuttavia il rapporto nel mondo odierno tra globalizzazione e tradizione in India è ancora più esasperato che in altri paesi, data la presenza di una tradizione di sapienza antichissima e, allo
stesso tempo, di forme di progresso tra le più avanzate.
Guardando queste installazioni si ha la sensazione che gli artisti indiani abbiano raggiunto
un’autonomia e un’indifferenza nell’uso dei materiali e dei mezzi espressivi che li pongono
nell’avanguardia dell’arte contemporanea.
In mostra una serie di opere molto diverse tra loro ma accomunate da un’aura di grande intensità:
alcune sono poetiche come i bellissimi light box con paesaggi immaginari in movimento di Sheba
Chhachhi o le straordinarie installazioni di Subodh Gupta con semplici oggetti di uso quotidiano
come secchi del latte, valigie, utensili da cucina, che si riferiscono allo stato attuale di
trasformazione della società indiana o i personaggi in sincrono col proprio riflesso nel video di
Ranbir Kaleka o ancora il lavoro sulla fragilità della condizione umana di Reena Kallat con dodici
sari su cui è riportato un testo in alfabeto Braille, accompagnati da libri di ricette, suoni e profumi.
Altre più forti ed esplicitamente riferite alla politica, alla guerra e alla violenza come le teche
museali con grandi opere su carta, frammenti di manifesti di film di Bollywood, ma anche ossa
umane e frammenti di arti di Atul Dodiya o le cupe installazioni di Anita Dube fatte di oggetti
industriali, artigianali ma anche organici che danno vita ad agglomerati, simbolo delle città in rovina
o l’installazione con cinquemila ossa sintetiche a forma di lettere dell’alfabeto con cui Jitish Kallat
rievoca l’importante discorso di Gandhi sulla condotta della “disobbedienza civile” da opporre al
brutale “Salt Act” deciso dagli inglesi nel 1930. Ma vi si trova anche un artista più figurativo come
Probir Gupta la cui opera è un atto d’accusa al trionfo della chiesa istituzionalizzata e alla perdita
dei valori cristiani, con un debole Cristo sovrastato da una casta di potenti sacerdoti. O una artista
come Bharti Kher che affronta tematiche come la questione di classe, il femminismo, il
consumismo realizzando sculture di animali a grandezza naturale rivestite dal bindi, la tipica
decorazione tradizionale indiana che le donne portano sulla fronte.
Ma ci sono anche video-installazioni di grande drammaticità come Mother India di Nalini Malani,
un lavoro sul linguaggio della sofferenza espresso dalle centinaia di donne indiane e pakistane
violentate durante le guerre di indipendenza nazionali. O They called it the XXth Century dei Raqs
Media Collective, tre esperti indipendenti di media che lavorano dal 1991 sugli spazi urbani,
ricreando il senso di straniamento delle città moderne e proponendo una riflessione su ciò che
succede quando la modernità incontra la sua ombra. O anche Twelve Bed Ward dove Vivan
Sundaram si misura con la protesta sociale e ambientale installando dodici letti sulle cui reti
poggiano scarpe usate, fiocamente illuminate da altrettante lampade.
E la scena cambia ancora con le straordinarie fotografie di Raghubir Singh, celebre fotografo
indiano scomparso nel ’99, autore di immagini toccanti che rendono pienamente la bellezza del
suo paese e le sue multiformi tinte. O con la splendida scultura di fiammiferi di Hema Upadhyay
che riflette su chi si ritrova senza radici in un’epoca frammentata. O infine con lo slide show di
Avinash Veeraraghavan che presenta movimentate e surreali scene urbane da interpretare
secondo il proprio personale sentire. L’immagine di URBAN MANNERS è una creazione originale
di questo artista.
Lavori tutti di grande impatto e densi di significato, modernissimi e al tempo stesso carichi di
tradizione, che esprimono dunque con forza le due anime dell’India contemporanea, pienamente
restituite anche dall’allestimento della mostra - a cura dell’Architetto Uliva Velo – caratterizzato
da colorate strutture di diverse forme geometriche.
Adelina von Fürstenberg, ha incominciato ad interessarsi all’arte indiana nel 1988 organizzando
Alekya Darshan, prima mostra europea sulla giovane arte indiana al Centro d’arte contemporanea
di Ginevra nella sua sede del Palais Wilson, e da allora ha continuato a seguire attentamente il
percorso dell’arte contemporanea in India ed in particolare quello di questi quindici artisti invitati a
Milano. Nel 1999 con ART for The World ha portato a Nuova Delhi la mostra internazionale itinerante The Edge of Awareness negli spazi della Lalit Kala Academy, collaborando con Peter
Nagy che allora si era appena stabilito in India con la sua galleria Nature Morte. Nel 2004 Adelina
von Fürstenberg ha organizzato all’Indian Habitat Center di New Delhi una mostra di Video Art
europea (tra gli artisti Stefano Boccalini, Dimitris Kozaris, Armin Linke, Gianni Motti) e, tra il 2003 e
il 2005, ha costruito una serie di Playgrounds/ parchi giochi creati da artisti per la Fondazione
Deepalaya, realizzati nelle scuole per i bambini di strada del quartiere musulmano di Kaklaji e della
zona rurale della regione di Haryana.
Design allestimento: Arch.Uliva Velo
Progetto esecutivo dell’allestimento: Arch. Angela Comin e Arch. Lorella Pucci
Ufficio Stampa Hangar Bicocca:
Mara Vitali Comunicazione – Lucia Crespi, tel. 02 73950962, arte@mavico.it
Anteprima stampa: giovedì 18 ottobre ore 12
Inaugurazione: giovedì 18 ottobre dalle ore 19
Un progetto di HANGAR BICOCCA
In collaborazione con ART for The World Europa
Hangar Bicocca, Viale Sarca 336, Milano, nuovo ingresso da Via Chiese
In metro: MM 1 fermata Sesto Marelli MM 3 fermata Zara
Linee di superficie: Linea 727, da Milano Centrale fino alla fermata Chiese-Sarca
Metrotramvia 7, fino alla fermata Stazione di Milano Greco
Linea 51, fino alla fermata Chiese-Sarca Linea 44, fino alla fermata Breda-Emanueli
Orario: tutti i giorni dalle 11.00 alle 19.00, giovedì dalle 14.30 alle 22.00, lunedi chiuso
Ingresso: intero 6 euro, ridotto 4 euro