Massimo Sorci - Palazzo Ducale Genova
In mostra le immagini dei reportage di documentazione e denuncia sociale come quello sulle difficili condizioni di lavoro dei portuali genovesi (1964) o sul Venezuela all'indomani della caduta della dittatura militare (1969), ma anche lunghi foto-racconti che colgono con singolare intensita' e drammaticita' l'intimo delle persone.
Fotografie
Sarà inaugurata venerdì 26 ottobre alle ore 17.30 a Palazzo Rosso di Genova la mostra “Lisetta Carmi – fotografie”. La mostra, che fa parte del Progetto GenovaFotografia, è ad ingresso libero e proseguirà fino al 9 dicembre.
La rassegna genovese ripercorre in ottanta immagini – che scorrono accanto ad una testimonianza dell’autrice, e ad un testo critico di Uliano Lucas – trent’anni di attività di Lisetta Carmi, outsider nel panorama fotografico cittadino e nazionale, sorta di meteora destinata a stupire e segnare in maniera significativa l’ambiente intellettuale genovese, soprattutto giovanile, negli anni sessanta.
In mostra ci sono le immagini dei reportage di documentazione e denuncia sociale come quello sulle difficili condizioni di lavoro dei portuali genovesi (1964) o sul Venezuela all’indomani della caduta della dittatura militare (1969), ma anche lunghi foto-racconti che si impongono per la capacità di andare oltre alla visione corrente delle cose e di cogliere con singolare intensità e drammaticità l’intimo delle persone. Ne sono esempi la sequenza sul parto realizzata all’ospedale genovese di Galliera (1966), che si discosta da ogni tradizionale modalità di rappresentazione della nascita, le immagini sui travestiti dell’antico ghetto ebraico di Genova (1965-1971) o la sua lettura dei monumenti funebri del cimitero di Staglieno (1966) e ancora i ritratti del poeta Ezra Pound (1966) e i volti mai anonimi del suo libro sulla metropolitana parigina (1965).
La fotografia sembra rappresentare solo una tappa, seppure importante, all’interno di un percorso, umano e culturale, complesso e mai banale. Nata a Genova nel 1924, ultima di tre figli di una famiglia alto borghese (sorella di Eugenio, pittore, dal 1956 e per molti anni consulente artistico allo stabilimento Italsider di Genova Cornigliano, anima di operazioni culturali intelligenti e innovative; e di Marcello, ingegnere alla Finsider), pianista e insegnante di musica, dopo aver appreso i primi rudimenti sull’uso della camera oscura da un fotografo di Berna conosciuto grazie al fratello, Lisetta Carmi si dedica per due decenni, dal 1960, alla fotografia, prima di abbracciare pratiche meditative e filosofie orientali e fondare, in Puglia, un ashram e una comunità attiva nel recupero degli emarginati.
“Ho cominciato a fotografare nel ’60… Dovevano fare a Genova un congresso dell’MSI, io suonavo ancora il piano, ero appena tornata da una tournée in Israele e volevo andare in piazza a manifestare contro Almirante, con i portuali. Ma il mio maestro obbiettò: “Ma come, vai in piazza con i portuali, se ti rompono una mano come fai, non puoi più suonare”. E io risposi: “Se le mie mani sono più importanti del resto dell’umanità allora io smetto subito di suonare il pianoforte”: E ho smesso subito, dall’oggi al domani”
Lo stretto contatto con l’ambiente artistico genovese, assai vivace in quegli anni, e facilitato dall’estrazione sociale oltre che dalla sensibilità dell’artista, è testimoniato, all’inizio del suo percorso fotografico, dal “tirocinio” presso il teatro Duse, e dalla serie di ritratti dedicati a cantanti, intellettuali, artisti genovesi o di passaggio in città, da Emanuele Luzzati a Emilio Scanavino a Victor Vasarely.
Nel 1966, ancora stabile a Genova, riceve il premio Niépce per i ritratti di Ezra Pound, scattati a Rapallo; è dello stesso anno la campagna sul Cimitero di Staglieno, luogo carico di significati e ricorrente nella storia della fotografia genovese, dall’ottocento a oggi.
“…ho visto l’immensa anima di Pound, la sua grandezza interiore, il poeta infinito e disperato, la sua totale solitudine”
“A Staglieno avevo visto l’autoritarismo e l’erotismo che pervadeva la mentalità di questi genovesi dell’Ottocento che volevano immortalare la loro vita…”
Questo lavoro costituisce una sorta di temporaneo addio alla città natale: comincia da allora una serie di viaggi, in Italia e all’estero, ai quali si accompagnano reportages che a volte sono una intensa testimonianza sociale, a volte rivestono un carattere più intimista, ma nei quali l’obiettivo è comunque sempre puntato sopra realtà, collettive e individuali, emarginate e isolate, e solitamente ignorate.
Risalgono al 1964 e al 1965 i due reportages destinati a rimanere impressi nella sensibilità, nella memoria, nell’esperienza di quegli anni: realizzato in collaborazione con il sindacato dei portuali della Cgil, e dedicato al porto di Genova, simbolo della radicale trasformazione economica e sociale in atto nel paese il primo; incentrato sulla vita dei travestiti che abitavano l’antico ghetto ebraico di Genova il secondo, documento che trasuda intensa e coraggiosa partecipazione, schiettezza e onestà nella restituzione di immagini forti, volutamente provocatorie, mai compiaciute e, certamente, mai rubate.
“…ho fotografato tutto, tutto, i portuali che non avevano scarpe e per lavorare si legavano dei giornali sui piedi, che non avevano tute e si mettevano addosso per coprirsi degli stracci scaricati dalle navi; entravano nelle celle frigorifere senza nessuna protezione…”
“Io avevo difficoltà ad accettare la mia condizione femminile, non riuscivo a scinderla dal ruolo di subordinazione in cui vedevo che la donna era costretta dalla società. Con i travestiti ho imparato a vivere senza un ruolo, ho accettato totalmente di essere una donna, ma ho rifiutato il ruolo di donna”
Il tema, e i modi della sua rappresentazione - diretta, obiettiva, solidale -, rappresentano una cesura per la fotografia italiana di quegli anni. Carmi si inserisce, in certa misura anticipandolo, con un percorso del tutto autonomo e personale, nel filone della fotografia documentaria e d’impegno sociale che caratterizza il sesto e settimo decennio del novecento, con grande coraggio - il tema dei travestiti è nettamente in anticipo rispetto alla sensibilità collettiva anche degli strati sociali più “avanzati” -, e grande chiarezza espressiva: doti che sembrano costituire la cifra della sua produzione.
In mostra sono presenti anche i brani più significativi dei reportages condotti dalla fotografa nel cuore dell’Italia nobile e misera degli anni ’60, in Israele (1958 –1967), Messico e Venezuela (1969).
“Io ho sofferto tanto nella mia vita…ed è per questo che sono sempre stata dalla parte di chi soffre e di chi non può parlare… allora è per quello che io ho fatto queste profonde ricerche dentro me stessa, per capire questa identità ebraica che non ha niente a che fare con la religione, ma che è una cosa antica, antichissima, antichissima, anche di sofferenza, perché gli ebrei hanno sempre, sempre sofferto, sempre.”
Fra il 1958 e il 1967 visita anche ripetutamente Israele, per meglio comprendere il significato dell’appartenenza al popolo ebraico e poi nei primi anni ’70 viaggia lungamente in Afghanistan e in India, paesi in cui scopre una visione della vita più affine al suo sentire.
E infine, l’ultima, grande esperienza, l’incontro con Babaji Mahavatar, la fondazione di un ashram a Cisternino, in provincia di Brindisi, per accogliere e aiutare i tossicodipendenti.
“Io ho vissuto cinque vite. Prima ho fatto la pianista, poi ho fatto la fotografa, poi è arrivato Babaji, d allora ho fatto molte fotografie, ma non ho più fatto la fotografa, come facevo a fare la fotografa nel momento in cui stavo costruendo un ashram?…La fotografia era finita, perché avevo trovato un altro mezzo per crescere…il mio mezzo per capire è stato quello di aiutare gli altri, di aiutare i tossicodipendenti che accoglievamo, di dare agli altri quello che io ero, ma sul piano dell’amore e della comprensione, non attraverso la fotografia…
Quando poi, dopo 19 anni, il mio compito all’ashram si è concluso, mi ha chiamato paolo Ferrari, mio alleivo di pianoforte da bambino e oggi psicoterapeuta e scienziato che lavora sulla musica e sulla pittura…e lì è iniziata la mia quarta esistenza, ho ripreso a suonare il pianoforte…
E adesso è cominciato il periodo della totale libertà…”
Gli anni 1997-2004 la vedono collaborare a Milano con lo psicoterapeuta e scienziato Paolo Ferrari nel Centro Studi Assenza da lui diretto. Oggi vive a Cisternino dedicandosi alla propria crescita interiore.
Testi tratti da:
- E. Papone, Per una storia della fotografia a Genova: spunti e materiali, in Attraversare Genova. Percorsi e linguaggi internazionali del contemporaneo. Anni ’60-’70, Milano, 2004
- Lisetta Carmi. Fotografie. A cura di Tatiana Agliani, Maruzza Capaldi, Uliano Lucas. Associazione Culturale Recherche, Bari. 2006
“Nel panorama della fotografia italiana degli anni sessanta e settanta che è stato, a mio avviso, il periodo più stimolante della storia della nostra fotografia, Lisetta Carmi ha avuto un ruolo centrale quanto insolito e sfuggente. Centrale perché a riguardarle oggi, le sue immagini si scoprono tutte inserite in quel momento di rottura, di svolta nella storia della cultura e della società italiana rappresentato appunto dai movimenti antiautoritari e di sinistra degli anni sessanta, dall’imporsi della società di massa e dal nascere di un nuovo modo di raccontare e interpretare la realtà. Insolito e sfuggente perché, pur incarnando a pieno e interpretando con grande forza espressiva questo momento, la carmi sembra viverne al contempo ai margini, in una sua personalissima storia che la porta fuori dai circuiti e dalle dinamiche del fotogiornalismo di allora, fuori dalle tematiche e dai racconti prediletti, tanto che io stesso, imbattutomi sporadicamente nelle sue immagini e nel suo nome in gioventù, l’ho scoperta e conosciuta solo in questi ultimi anni quando, uscendo dal vortice dell’impegno politico e del reportage giornalistico, sono tornato a guardare e a ricostruire le tessere e i percorsi della nostra fotografia. Ho riflettuto allora su questa figura anomale, solitaria, di donna, appartenente a una famiglia della borghesia genovese, di origine ebraica, adolescente durante la guerra, che decide a trent’anni di abbandonare una promettente carriera di concertista e di ricorrere alla macchina fotografica come strumento per conoscere il mondo e se stessa”
Uliano Lucas, in Lisetta Carmi, a cura di Tatiana Agliani, Maruzza Capaldi, Uliano Lucas, Bari 2006
Inaugurazione venrdi 26 ottobre 2007
Musei di Strada Nuova – Palazzo Rosso
Spazi espositivi Auditorium, Genova
Ingresso libero