Fotografie di Eugenio Castiglioni. La forma è del tutto inusuale, oggi, per un’immagine fotografica: rimandi che conducono piuttosto alla preziosità del 'cammeo' o alla artisticità fortemente voluta di dagherrotipi o lastre paesaggistiche ottocentesche. Album di viaggi ottocenteschi, insomma, a documentare e ricordare la natura selvaggia, in cui l’uomo stava faticosamente introducendosi, portando la civiltà oltre i confini che la delimitavano. Su questa sensazione si innesta il titolo, a suggerire il concetto di 'souvenir'.
Fotografie di EUGENIO CASTIGLIONI
Sono, in fondo, indicazioni estranee all’essenza delle immagini quelle che per prime ci
colpiscono, e non a caso, non per nostra scelta o volontà , ma strali comunicativi ben
mirati, scagliati dall’autore stesso. E sono la 'forma' e il 'titolo'.
La forma è del tutto inusuale, oggi, per un’immagine fotografica, pur con rimandi evidenti e
consapevoli più alle 'Belle arti' di Vittore Fossati che ai 'tondi' di Salbitani.
Rimandi, comunque, meno fondanti di altri, che conducono piuttosto alla preziosità del 'cammeo'
o alla artisticità fortemente voluta di dagherrotipi o lastre paesaggistiche
ottocentesche.
L’immagine, ad esempio, dei dintorni di Forte Sperone, con gli alberi in primo
piano a interrompere la visione di fondo, ricorda immediatamente le immagini
di frontiera di Timothy O’Sullivan e Carleton Watkins o le riprese di Edward Muybridge a
Yosemite.
Album di viaggi ottocenteschi, insomma, a documentare e ricordare
la natura selvaggia, in cui l’uomo stava faticosamente introducendosi, portando la civiltÃ
(che parola grossa, meglio forse dire l’insediamento umano) oltre i confini che la
delimitavano.
Su questa sensazione (teniamola lì, in caldo) si innesta il titolo, a suggerire il concetto di
'souvenir'.
Volendo è un’aggiunta non inattesa, le immagini di viaggio sono
sempre souvenir, per chi le ha fatte, ma inducono anche all’identificazione chi le guardi.
Si
aggiunge, in più, oggi, l’idea di qualcosa offerto, in luoghi turistici o di valenza
artistica, 'già fatto' per il visitatore, da portare con sé come ricordo-prova-testimonianza
dell’'essere stato' in quel luogo.
Subentra allora la banalità iconografica, il
gadget, il kitsch, le 'buone cose di pessimo gusto' (le bocce coi monumenti che si coprono di
neve, i piatti con la riproduzione del Duomo di Milano, la torre di Pisa in
plastica e via scivolando nell’orrido).
Questo riferimento ha la 'prova provata' nell’ultima
immagine di Eugenio Castiglioni, il paesaggio/posacenere con tanto di sigaretta
che si consuma.
Ma qui, poi e finalmente, si innesta il 'contenuto' delle immagini (un inciso: l’apprezzamento
della loro qualità è già implicito nell’apparentamento con la qualità dei
rimandi, di più è il caso di esplicitare l’apprezzamento per la qualità della visione e per la
sua percezione, oltre all’intuizione che sta alla base di tutto questo progetto,
come dire sguardo attento e capace unito all’elaborazione di una testa pensante).
E’ Genova
l’oggetto di questi souvenir? Una Genova rappresentata come un fiume di
cemento che si snoda sinuoso a valle del punto di vista privilegiato dell’autore? Una Genova
ripresa alle spalle dell’orrenda centrale della Telecom di Fosso del Legaccio,
costruzione gialla trapezioidale che rimanda alle are sacrificali e ai templi di Montezuma?
Domande oziose a cui non serve dare risposte.
Non resta, piuttosto, che prendere atto di una
sconfitta e di una impossibilità . Impossibilità di ricavare souvenir da una
civiltà come questa, in cui gli spazi incontaminati (quelli di Watkins e compagnia) li abbiamo
ormai contaminati e scempiati tutti, e in cui gli spazi urbani, architettonici e
monumentali degni di memoria sono già stati souvenirizzati da secoli.
Questa è la sconfitta, ma
ogni età ha i souvenir che si merita.
Bruno Boveri
Libreria AgorÃ
Via Santa Croce, 0/e
10123 Torino