In mostra diversi lavori con andamento sinuoso e travolgente. I materiali usati sono poveri, di recupero: juta, cartone, legno grezzo che rinascono, fortificati da fantasia e memoria.
a cura di Lavinia Collodel
"L’onda è per me il modo più sincero di vedere la realtà, la ricerca di un equilibrio nel movimento, della stabilità nella fluttuazione. La percepisco umile e forte, rassicurante e leggera, asseconda e determina i cambi d’umore e i cambi d’amore, permettendomi di rimanere sospesa fra il desiderio di dire tutto e quello di nascondermici dentro". Shirin Amini
Un percorso all’insegna dell’onda. Un andamento sinuoso e travolgente, uno spostamento incerto e contrastato, a volte continuo a volte discontinuo, dei flussi della vita.
Così sono i lavori di Shirin Amini, in questa mostra concernenti gli andamenti periodici dei flussi e riflussi degli accadimenti, della propagazione dei fenomeni.
L’onda che collega i suoi lavori è una congiunzione intrinseca a ciascun lavoro, qualcosa di spontaneo, ma nello stesso tempo cosciente di fronte all’imprevisto. Non vi è nulla di statico, solo dinamismo e ritmo in un approccio sereno alle diverse situazioni.
Lavori diversi, dal 1994 ad oggi, sotto il sottile filo conduttore dell’onda, che travolge o sostiene, e che in ogni caso genera una forte potenza.I materiali usati sono poveri, di recupero, ma elevati da una manualità sapiente per scelta e composizione. Juta, cartone, legno grezzo rinascono, fortificati da fantasia e memoria.
Le stesse fotografie di reportage effettuate negli ultimi quattro anni, in cui prevale l’istinto di congelare un istante di precisa naturalezza, tornano alla pittura fondendosi con essa, come mezzo comunicativo, come ingrediente commisto all’assimilazione tecnica dell’elemento fotografico, ora strumentale alla nuova espressione artistica.
E se i viaggi intorno al mondo sono una costante nell’esperienza di Shirin Amini (dai vari paesi europei al Sudan, dal Guatemala allo Sri Lanka fino al Giappone) ugualmente lo sono i viaggi nella conoscenza interiore acquisita mediante un’autopsia della realtà, ovvero un’indagine diretta dei sensi a cui si è contagiati nel partecipare. ( Lavinia Collodel)
Tutto torna a farsi istante reale di un viaggio vissuto, amato e narrato da Shirin nelle sue produzioni artistiche con i più vari mezzi espressivi, ma sempre attraverso la forma dell’onda.
Onda, sinuosa come un caldo “abbraccio”, come le “dune” del deserto assolato, come il senso di vortice che ci stritola nelle “costrizioni”, come le spire di un bosco incendiato, o la forma solida di uno strumento musicale che si fa donna (“basso”) o come in “noi”, la coppia di note musicali e cromatiche che si rincorrono e fondono nell’eterno confronto e somiglianza tra Musica e Colore (croma, tono, gradazione, armonia, dissonanza….), tra il linguaggio del suono e quello del colore.
Una forma familiare e accogliente, che ci trasmette brio e dinamismo, facendo palpitare la materia che, variamente colorata, ci riconduce ogni volta ad esperienze sensoriali differenti, nel tenue giuoco delle sinestesie percettive.
L’artista conosce sapientemente le tecniche, i materiali e la luce, grazie anche alle sue applicazioni nella fotografia, e si affida all’uso appropriato della tinta, delle dissolvenze cromatiche e luminose, per ottenere trasformazioni graduali e armoniose della forma: così in ”esplosione” la materia si frantuma in evanescenti veline multicolori, il “basso” da strumento musicale diventa una flessuosa femmina dal vestito trasparente e scintillante le cui membra vibrano al suono di una musica eccitante; in “costrizioni”, l’opera più matura e introspettiva, le sinuosità dei movimenti rendono i nostri muscoli allungati o contratti nella dolorosa ribellione alle costrizioni, fino alla staticità della rassegnazione o della morte.
La juta, mezzo espressivo qui quasi sempre preferito, con le sue trame rappresenta un forte legame con i tappeti che nell’immaginario di Shirin, di nobile discendenza persiana, si traduce nel simbolo della solidità, del raccoglimento, della preghiera, della comunicazione e ne ha fatto anche il supporto al “viaggio” fotografico, in cui gli scatti mostrano il tessuto di un itinerario di varia umanità, immortalando scorci estremamente stimolanti ed emozionali. (Daniela De Biase)
SHIRIN AMINI
Nata a Roma nel 1976 da famiglia di origine iraniana.
Artista curiosa e dal multiforme talento, dopo il diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Roma nel 2004, continua ad esplorare le arti visive attraverso i suoi vari linguaggi, spaziando dalla fotografia alla pittura, dalla scenografia alla grafica.
Fotografa di reportage di viaggi, dal Guatemala al Giappone, dallo Sri Lanka a Cuba (è attualmente esposta alla “Casa delle Letterature” una sua mostra sul Sudan), così come di musica (fotografa degli eventi live di MTV). E’ autrice di diverse copertine di dischi per alcune case discografiche tra cui Emi Virgin, Universal e Sony Bmg, oltre che di numerosi servizi per campagne pubblicitarie, tra cui “no excuse“, voci contro la povertà.
Segue master di fotografia (TPW toscana photographic workshop - 2007) e si specializza nel colore frequentando workshop come “Sporcarsi le mani con il colore” di Cromoambienteroma e “Il colore negli istituti sanitari” di Cromosanità (2003-2004), dove scopre l’uso del colore funzionale, che con la luce contribuisce al comfort ambientale. Da sempre fortemente interessata anche alle possibilità terapeutiche dell’arte ha effettuato studi sulle medicine alternative, in particolare sugli effetti della cromoterapia e l’utilizzo dei materiali naturali nelle strutture ospedaliere.
Inaugurazione mercoledi 12 dicembre 19.30
Lian Club
via degli Enotri, 8 Roma
Ingresso libero