La mostra accoglie il Presepe drammatico (25 personaggi in legno e gesso creati nel 1996), una serie di sculture e disegni datati 1975-2004 e una selezione di immagini e documenti utili per mettere in luce il talento dell'artista lucano. A cura di Giuseppe Appella.
A cura di Giuseppe Appella.
Martedì 18 dicembre 2007, alle ore 17.00, nelle sale del Museo Fazzini di Assisi, si inaugura la mostra dedicata a Giacinto Cerone, lo scultore, già allievo di Fazzini nell’Accademia di Belle Arti di Roma, scomparso nel 2004.
La mostra, a cura di Giuseppe Appella, accoglie il Presepe drammatico (25 personaggi in legno e gesso creati nel 1996), una serie di sculture e disegni datati 1975-2004 e una selezione di immagini e documenti utili per mettere in luce il talento dell’artista lucano.
Negli ultimi anni della sua vita, Giacinto Cerone, coltivava con maggiore frequenza il metodo dell’interiorità, del ripiegamento intimo. Aveva fissato un rapporto intenso e fecondo con la poesia nel momento preciso in cui considerava raggiunta quell’unità di libertà e di necessità indispensabile al nucleo fondante dell’esperienza artistica e alla capacità di averla sottratta al guscio accademico, a una sorta di sotterranea religiosità del fare che da una parte traeva vitalità dall’idea della “statua” e dall’altra si perdeva nel furore di riconoscersi nel suo destino di scultore quotidianamente assiso sulla propria voragine. L’opera radicata nella vita, dunque, che non diventa mai passato, che si evolve, accompagna e prolunga la quotidianità, ristabilisce i collegamenti dopo le inevitabili cadute, assicura fluidità e segno di appartenenza alle più piccole norme di esistenza chiarendo quanto lo spirito dello scultore contemporaneo confermi e non neghi il principio d’identità.
Cerone, nonostante abbia cercato nei residui esterni al proprio agire le conferme a quanto andava facendo, ha vissuto questa esperienza come procedimento per accettare l’essenziale persistenza della forma nell’ardore espressivo che lo consumava. Una straordinaria attitudine a cogliere le occasioni lo metteva in rapporto diretto con i legni di Pericle Fazzini e di Arturo Martini prima, con le terrecotte, i cementi e le ceramiche policrome di Lucio Fontana poi, per farne i propulsori, se non i suscitatori, del culto per l’antica Ellade e di un interesse per i ritmi dialettici del barocco da cui far scaturire un messaggio nuovo che fosse, al tempo stesso, una diretta manifestazione del suo essere artista. In questo senso, la scultura diventa la coscienza della sua ricerca di poesia, di voler rimanere integro e totale nelle folgorazioni ricevute maneggiando terra e legno, gesso e plastica, vetroresina, alluminio e ghisa, ceramica e marmo, bende e stracci, i materiali in cui, nei due decenni di lavoro, convergevano, di volta in volta, tutte le sue energie, l’abilità di assorbire e superare quanto intorno a lui si muoveva e andava sistemandosi nella sostanza di emblemi araldici, di miti documentabili e flagranti.
Alcuni disegni del 1975-1984, evidenziano le caratteristiche dei suoi interessi e del modo di guardare Fazzini degli studi per la Danza, La Tempesta e il Ritratto del poeta Ungaretti (1933-1936) per arrivare a capire Brancusi o a leggere Boccioni in cui scova l’esigenza, nello stesso tempo meditata e come nata all’istante, di realizzare forme nello spazio mediante la compenetrazione dei piani, così che esse assumano la libertà di oggetti in movimento, senza rimanenti sensibilità di superfici impressioniste. Subito dopo, la natura di mediazione presente nei problemi espressivi di quegli anni, tesi a sciogliere nodi e articolazioni al limite del puntiglio, sposta considerevolmente la soglia di proposizione per una tendenza ad arricchirsi non con la ragione (“La ragione non crea”, diceva Fontana) ma con la totalità delle sue facoltà sviluppate attraverso la somma di conoscenze acquisiste. Ecco, allora, l’impetuosità di Fazzini, l’analisi di Boccioni e la sintesi di Fontana, la meditazione di Licini e la spontaneità di Leoncillo, la costruzione di Melotti e la sensazione di Novelli assunti come valori che debbono concorrere all’articolazione logica di quell’unità funzionale che è la scultura.
Il presupposto, se torniamo a ripensare le tappe più evidenti del suo percorso, negli anni in cui isola la sua fantasia in modi autonomi e anche indipendenti da puntelli internazionali di linguaggio quali Kounellis e Penone, Marisa Merz e Pistoletto che, tra il 1980 e il 1984, ripercorrendo le scoperte dell’uomo, progettano il ritrovamento dell’integrità di una immagine della nostra cultura, il presupposto è la definizione di un canone di purezza che nello stesso uso del gesso, quasi sempre bianco, nutre e prepara l’elemento metafisico, di magia, senza rifiutarsi allo schema neoclassico, alla trascrizione del frammento, al calco, all’archetipo, al dio di legno caro a Pascali, che vince la paura con l’opposto della logica e della coscienza.
La mostra è accompagnata da un catalogo pubblicato dall’Editore De Luca nella collana “Documenti”, dedicata agli artisti che espongono nel Museo Fazzini e dal volumetto Il presepe drammatico di Giacinto Cerone pubblicato dalle Edizioni della Cometa.
Ufficio Stampa: De Luca Comunicazioni, Roma
Tel. e fax 06/44237540 – Cell. 333/8264292 – E-mail: m.deluca33@virgilio.it
Inaugurazione 18 dicembre 2007, alle ore 17
Museo Pericle Fazzini
Palazzo del Capitano del Perdono, Assisi
Orario: 10/13 – 16/19 (lunedì chiuso)
Ingresso (al Museo e alla mostra): euro 5, ridotto euro 3