Il Fantastico...In mostra opere pittoriche di 2 giovani artiste che reinterpretano il quotidiano alla luce di un loro personale "fantastico", che non vuol necessariamente dire impossibile.
A cura di Cristina Madini, Tiziana Di Bartolomeo, Stefania Santi
Fantastico non vuol necessariamente dire impossibile; il sogno non è antitesi della veglia né l’artista lo è rispetto alla persona comune.
Solo quando troppo la nostra vita si fa dipendente dalle scadenze, dalla programmazione, dalle ambizioni immediate si apre un baratro con lo spazio del fantastico perché quella libertà di sognare sembra un lusso pericoloso, improduttivo.
Cristina e Stefania sanno percorrere lo stretto filo che sospeso sopra il paesaggio quotidiano che sembra immutabile, quello fatto di consuetudini e percorsi obbligati. Passando così alte sopra tutto questo mondo (che è quello che ben conosciamo quando non ci sostiene lo slancio della fantasia) forse possono provare una certa vertigine, la paura di precipitare dentro la realtà che stanno superando con tanta leggerezza. Questo è senza dubbio il rischio di chi si porta in alto, come se l’invidia di ciò che è pesante potesse far vacillare quell’ardita traversata sul filo.
Per noi spettatori, non c’è rischio, tuttavia, perché i dipinti in mostra sono come il resoconto di esplorazioni felicemente portate a termine. Possiamo semmai entusiasmarci per questo gioco del superamento dei limiti che la mediocrità sempre vorrebbe porre all’animo umano e, in proprio, tentare qualche passo di danza interiore.
Cristina Madini
Secondo un’altra versione del mito, nel Vaso di Pandora (scoperchiato incautamente), invece di una raccolta di guai vi erano i doni che gli dei avrebbero potuto fare all’umanità ma che, con l’imprudente decisione dettata dalla curiosità, si persero per sempre.
Se immaginassimo l’artista come creatura dotata di una sensibilità particolare atta a percepire queste grazie che, ormai ineffabili, aleggiano ancora nel mondo, ci si formerebbe l’impressione che le opere di tale sciamano dovessero essere in qualche modo legate all’atto di tentare l‘impossibile cioè di fissare entro limiti ben definiti quello che ha come destino di sfuggirci sempre. Come fermare la nostalgia per qualcosa che forse si rivelato proprio al m omento di perderla? Come dare corpo al desiderio per ciò che ci manca quando solo avendola potremo veramente riconoscerla? Come estrapolare dal piccolo giro delle cose quotidiane quel segreto rimuginare di affetti che prende corpo nei sogni?
Cristina Madini si applica a ricevere queste lievi indicazioni che il vivere ci offre per dare loro un posto d’onore e non semplicemente l’attenzione di un attimo soprappensiero. La sua pittura dalla grammatica semplice ha la stessa sintassi diretta delle fiabe e, come le favole, alcuni punti fermi che sempre ritornano perché sono immagine dei nostri percorsi interiori. L’uso del colore è schietto e, quindi, anche disinibito; i titoli a volte conferiscono ai dipinti la natura intermedia di poesie concrete e le serie di quadri permettono, nel caso di esposizioni, di ottenere quella dilatazione nel tempo che possiede l’evento teatrale.
Come si vede, la pittura di Cristina Madini tende a farsi quasi comportamento, come un abito si attaglia all’artista accompagnandola nelle varie dimensioni dei suoi interessi che, evidentemente, l’artista non desidera confinare nella specializzazione ma ama estendere a tutte le occasioni del vivere comprendendo, fra queste, anche il rapporto con lo spettatore non ancora conosciuto ma già interpellato dal suo invito.
Stefania Santi
Gli oggetti non sono persone, i nomi non sono cose reali né le immagini si identificano con ciò che descrivono eppure gran parte del fascino dell’arte si fonda su quest’ambiguità: noi ci prestiamo a vedere, dietro i segni, le cose vere.
L’emozione della pittura che Stefania Santi sta praticando si fa strada attraverso i limiti del mezzo tecnico (la tela piatta), i limiti fisici dei colori (che non possono farsi vera luce come il colore, in fondo, è) e l’enigma degli oggetti.
In mancanza di persone fisiche, nei suoi quadri tutta l’aspettativa dello spettatore si concentra sulle cose e questa, come se altro non aspettassero, sprigionano la loro intima carica di suggestione. Nel silenzio, come si dice poeticamente, si sente crescere anche l’erba, si scopre che l’universo ha un’inesauribile vitalità che si ripropone ad ogni livello di indagine,dal microscopico a quello infinito. Anche la nostra anima non si contenta di restare chiusa nello spazio angusto di situazioni e sentimenti ben noti, deve provare la libertà di posarsi su tutto e ricevere da tutto una risposta in termini che essa comprenda.
Nei piccoli universi di Stefania Santi la difficoltà di interrogare le cose viene semplificata dal lavoro dell’artista che è quello di elaborare già in partenza i dati oggettivi per cominciare a far trasparire la loro carica di sentimento che può essere amorevole oppure enigmatico, può dare la felice sensazione di riappropriarsi di un ricordo oppure si offre come premonizione. La realtà degli oggetti, dunque, si trasforma in una soglia che è possibile varcare, il muro diventa sipario.
Il quest’opportunità di recuperare la ricchezza di senso lo spettatore, senza accorgersene, sente tonificarsi il suo rapporto con la realtà, come se, di fronte ad una folla anonima, gli individui che incontriamo cominciassero a rivolgerci la parola in modo familiare.
Inaugurazione 12 gennaio ore 11
Biblioteca Elsa Morante
Via Adolfo Cozza 7, Roma
Orario: lunedi, martedi, mercoledi 9 - 13, 15 - 19, giovedi, venerdi 9 - 19, sabato 9 - 13
Ingresso libero