Museo del Corso
Roma
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WEB
La campagna romana
dal 20/11/2001 al 24/2/2002

Segnalato da

STUDIO ESSECI




 
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20/11/2001

La campagna romana

Museo del Corso, Roma

...da Hackert a Balla. La grande pittura come espressione d'arte ma anche come documento storico. Si tratta della rivisitazione, importante e attuale, di una realtà tuttora viva che la metropoli tende erroneamente a rimuovere dalla memoria collettiva, e dal paesaggio mentale attuale, dei Romani.


comunicato stampa

...da Hackert a Balla
a cura di Pier Andrea De Rosa e Paolo Emilio Trastulli

Fondazione Cassa di Risparmio di Roma

La grande pittura come espressione d'arte ma anche come documento storico.

Si tratta della rivisitazione, importante e attuale, di una realtà tuttora viva che la metropoli tende erroneamente a rimuovere dalla memoria collettiva, e dal paesaggio mentale attuale, dei Romani. Nella rilettura del paesaggio culturale della storia, in quelle evanescenti atmosfere caratterizzate da bufali, mura e canneti, la Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, che in quell'area ha avuto le sue origini con la costituzione della Cassa di Risparmio di Roma nel 1836, riavvia il discorso sull'identità culturale romana, dove la bellezza classica della natura e dei monumenti sposa le ore senza tempo dei patriarchi latini in un'epopea che congiunge Turno, il "pater Aeneas", i butteri e i bonificatori. Il percorso che la Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, per volontà del Presidente Emmanuele Francesco Maria Emanuele, ha avviato nella sua sede espositiva del Museo del Corso, con la recente, fortunata mostra dedicata ai Macchiaioli, continua così con la più ampia esposizione che mai sia stata dedicata alla rappresentazione pittorica della "Campagna Romana".

Le cento opere che per questa mostra sono state ottenute da musei italiani e stranieri e da collezioni private documentano il significato avuto dalla Campagna Romana nella cultura europea ed italiana a partire dall'ultimo quarto del Settecento sino agli inizi del Novecento.

La Campagna Romana, quel territorio che, in pittura, circonda Roma estendendosi a nord sino a Civitavecchia, il Soratte e la riva destra del Tevere, e a sud sino a Terracina lungo il litorale e nella fascia interna va dai monti Tiburtini ai Lepini e agli Ausoni, appariva ai protagonisti del Gran Tour come la terra della solitudine e del silenzio: paludi, prati con orizzonti segnati dal dolce profilo di colline, ampie distese disabitate punteggiate da ruderi di acquedotti e torri, catene montuose fitte di boschi, di forre inaccessibili, burroni scoscesi. A popolarle erano più bufali e buoi, cavalli, capre e pecore che non gli uomini. Una campagna che entrava dentro la città con orti e vigne che occupavano, sino a un recente passato, ampie porzioni all'interno delle antiche mura.

Già nel Seicento, artisti come Poussin e Claude Gelée avevano colto atmosfere e luci della Campagna Romana, ma è con il razionalismo illuminista che teorizza il paesaggio come precisa trascrizione dell'osservazione naturale, che la Campagna Romana diviene oggetto e soggetto dell'interesse diretto degli artisti. Non solo dei pittori, dato che a "lanciare la moda" della Campagna Romana è, per primo, uno scrittore, René de Chateaubriand, il quale nella famosissima Lettera sulla campagna romana del 1804 all'amico marchese di Fontanes descrive il fascino ineguagliabile di questo territorio.

Sul fronte dell'arte, Jacob Philipp Hackert, figura dalla quale prende avvio, non a caso, la mostra, sceglie la Campagna Romana come protagonista di molte sue opere. Ma il primo a cogliere nel profondo tutte le implicazioni presenti nella romantica pagina di Chateaubriand è Jean-Baptiste Camille Corot, che interpreta la pittura dal vero "non come esercizio di trascrizione passiva ma come attività di invenzione formale".

La luce e i colori delle terre intorno a Roma affascinarono un po' tutti gli artisti stranieri attivi a Roma nella prima metà dell'Ottocento, tanto da far nascere la consuetudine di onorare la "grande maestra" con una loro festa annuale a Cervara.

Ideali seguaci di Corot a Roma possono considerarsi l'inglese Charles Coleman e il romano Nino Costa, il primo interessato ad illustrare la condizione umana nei luoghi in cui la natura si mostra più "nemica", come le Paludi Pontine e le montagne Sublacensi, il secondo coinvolto nell'idea di una pittura dal vero come interpretazione spirituale della natura.

Intorno a Costa e al sodalizio In Arte Libertas sul finire dell'Ottocento si riunisce un importante nucleo di artisti sia italiani che stranieri, tutti fortemente interessati alla pittura di paesaggio.

Dalle ceneri di questo sodalizio nasce, ai primi del Novecento, il gruppo del "XXV", che ha tra i maggiori esponenti pittori come Enrico Coleman, Onorato Carlandi, Giulio Aristide Sartorio, Giuseppe Raggio, Filiberto Petiti, Duilio Cambellotti, quasi tutti già da alcuni decenni in fama di artisti dediti a raccontare con sincera e profonda ispirazione e quale motivo dominante della loro produzione la Campagna Romana.

Ultimo grande ed originale interprete di quel vitale rapporto si rivela Giacomo Balla, che traspone con un verismo romantico luce e colore di angoli della Campagna Romana direttamente contigui alla città.

Fonte di emozioni e di suggestioni incomparabili, soprattutto per chi, provenendo da Paesi già da tempo in piena civiltà industriale, trovava qui un mondo che apparteneva, di fatto, a stagioni lontane, la Campagna Romana ha avuto un ruolo determinante nel nascere e nell'affermarsi del "paesaggio di pittura".

La troppo disinvolta antropizzazione del territorio, intervenuta soprattutto in un recente passato, col riscatto per tanti versi benefico delle Paludi Pontine, ma con tutte le conseguenze ambientali connesse, ha mutato radicalmente la fisionomia della campagna Romana; quella, appunto, che le immagini dei pittori presenti in questa mostra ci restituiscono con seducente immediatezza artistica e cromatica.
Le paludi sono state prosciugate, sono nate nuove città, Roma si è estesa a macchia d'olio. Queste immagini rappresentano, insieme alla fotografia successivamente intervenuta, documenti insostituibili di un periodo storico e umano dei luoghi raffigurati. E restano a ricordare l'atmosfera di un forse non invidiabile "tempo che fu".
Per questo la mostra allestita al Museo del Corso diviene anche un suggestivo viaggio nel tempo e nella memoria.

Catalogo: edizioni congiunte Studio Ottocento - De Luca Editore. Con saggi di Claudio Strinati, Marcello Fagiolo, Fulco .Pratesi, Elisa Tittoni, Pier Andrea De Rosa, Paolo Emilio Trastulli, Roberta Tucci e Riccardo D'Anna.

Segreteria organizzativa: Studio Ottocento.

Vernice per la Stampa: 21 novembre 2001, ore 11

Inaugurazione: 21 novembre 2001, ore 18

Orari: dalle ore 10 alle ore 20. Chiuso il Lunedì.
Ingresso: intero L.12.000; ridotto L. 8.000.

Per informazioni: Museo del Corso - tel. 06/6786209.

Ufficio Stampa: Studio ESSECI - Sergio Campagnolo
Tel. 049-663499 - Fax 049-655098

Museo del Corso,
Via del Corso n. 320, Roma

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