Palazzo Bricherasio
Torino
via Teofilo Rossi (angolo via Lagrange)
011 5711811 FAX 011 5711850
WEB
Arman
dal 23/1/2008 al 23/2/2008
Lu: 14.30 - 19.30; mart-dom: 9.30 - 19.30; giov e sab: 9,30 - 22.30

Segnalato da

Paola Varallo



approfondimenti

Arman
Luca Beatrice



 
calendario eventi  :: 




23/1/2008

Arman

Palazzo Bricherasio, Torino

L'antologica ripercorre attraverso circa settanta opere il percorso artistico di uno dei principali esponenti del Nouveau Realisme, gruppo formatosi nel 1960, mentore il critico e teorico Pierre Restany. Rifiutando la pittura, i nuovi realisti si dedicano a operazioni che toccano la scultura in termini provocatori e che meglio si possono definire con il termine di assemblage, coniato proprio per definire queste operazioni di collage tridimensionale. A cura di Luca Beatrice.


comunicato stampa

a cura di Luca Beatrice

Il 2008 si apre a Palazzo Bricherasio con l’arte contemporanea del francese Arman. Dal 25 Gennaio al 24 Febbraio le sale espositive ospiteranno un’antologica, curata da Luca Beatrice e organizzata in collaborazione con il MAMAC (Musèe d’Art Moderne et d’Art Contemporain) di Nizza, che ripercorrerà attraverso circa settanta opere il percorso artistico del principale esponente del Nouveau Realisme, costituitosi il 27 ottobre 1960, mentore il critico e teorico dell’arte Pierre Restany, che con l’Italia intrattenne sempre un rapporto particolare. Rifiutando la pittura, i nuovi realisti si dedicano a operazioni che toccano la scultura in termini provocatori e che meglio si possono definire con il termine di assemblage, coniato proprio per definire queste operazioni di collage tridimensionale. Le opere dei Nouveaux Réalistes sono infatti costruite per accumulazione, compressione, inscatolamento in strutture di plexiglas o impacchettamento degli oggetti più diversi.

Mentre in America la cultura pop ha pervaso la sensibilità comune, ponendo l’enfasi sul potere visivo e sensuale dell’arte come merce, espressione del nuovo, dei mass media, dell’economia in grande ascesa, del trionfo del bene di consumo, in Europa il Nouveau Realisme ne rappresenta in qualche modo l’essenza critica, il dubbio che al di sotto della patina luccicante e glamour della Pop Art si celasse a stento un lato oscuro, le proprie contraddizioni, germi che anticipano un atteggiamento contestatario destinato a sfociare in altro rivolgimento epocale, quello intorno al 1968. Su questa tendenza Arman precisa i propri principi estetico-formali, ma soprattutto matura quelle esperienze e quei contatti che lo porteranno a compiere uno tra i percorsi più lucidi in seno alla cultura visiva contemporanea.

La mostra racconta l’evoluzione del rapporto di Arman con l’arte e il suo atteggiamento così
incline alla sperimentazione continua e all’idea tutta moderna del superarsi progressivo di un’opera con l’altra.

Abbandonato il cavalletto, i suoi primi lavori su carta della metà degli anni ’50 segnano il definitivo distacco dalla pittura tradizionale. Dai Cachets, timbri su carta moltiplicati ossessivamente, si passa alle tracce e impronte delle Allures. E’ nel corso degli anni ’60 però che il suo destino artistico raggiunge uno stile nuovo e potente: sono di questo periodo le prime Distruzioni. Rompere gli strumenti rientra per Arman in un discorso teorico volto a colpire l’oggetto in quanto ingranaggio della sfera consumistica. Discorso portato alle estreme conseguenze con l’esplosione delle automobili, grande passione di Arman anche perchè simbolo di tecnologia e velocità, di progresso e morte. Far esplodere una macchina esprime senza dubbio la volontà di fermare di colpo un processo produttivo, anche se sezionando e svuotando il motore Arman ne vuole vedere l’anima. In mostra saranno presentate anche numerose Accumulazioni, vera e propria ossessione per l’artista francese che si traduce in una forma scultorea definita. Accumulare significa soprattutto scegliere un oggetto ed evidenziarlo come un virgolettato in un testo. Si tratta di opere in cui la geometria, la ricomposizione formale attraverso l’ordine, l’eleganza della superficie dettata dalla brillantezza o uniformità cromatica hanno un ruolo predominante. Infine le Inclusioni, in cui l’oggetto è imprigionato, sottratto al tempo, al suo processo evolutivo, al suo contesto originario. Arman si prende la libertà di cristallizzare un momento, impedendo all’oggetto di progredire o essere corrotto dagli eventi.

L’opera di Arman non può avere confini limitati, non è pura pittura, non è pura scultura. Lui stesso si definisce perfettamente presentandosi come “un peintre qui fait de la sculpture”.

Luca Beatrice

Arman. Tra storia e attualità

A due anni dalla scomparsa (è morto a New York nell’ottobre 2005), Arman appare sempre più evidentemente come un artista la cui influenza culturale, linguistica e formale tende a espandersi nel tempo, arrivando addirittura a influenzare le generazioni attive oggi, che ne rileggono gli spunti più innovativi ed eversivi. Si riscontra cioé, a oltre mezzo secolo dal suo debutto (metà anni Cinquanta), a cui è seguita nel 1960 la fondazione del Nouveau Realisme, un’interessante propensione a riconsiderare l’importanza della gestualità, provocatoria eredità di quei tempi che comprende il definitivo distacco dalle poetiche dell’informale, l’inclusione dell’oggetto “reale” all’interno dell’opera d’arte, lo sguardo verso la performance o l’azione come forma estetica del futuro. Il panorama odierno è nuovamente frastagliato e sensibile alle rotture, soprattutto grazie all’ingresso nel contesto artistico di nuove realtà extra-occidentali. Arman si evidenzia, fin dall’inizio, come un “genio” irrequieto e nomade. Fa parte del suo carattere il continuo bisogno di fare, viaggiare, cambiare residenza, accumulare e distruggere, entrare in contatto con altri artisti con cui instaurare dialoghi profondi e amicizie importanti. Un modo di essere condiviso con la sua generazione, un gruppo di persone mai ferme e pienamente rappresentanti lo spirito del tempo, dell’avanguardia, del cambiamenti.

I primi lavori di Arman non si discostano troppo dalla pittura astratta in stile Poliakoff – De Stael. Ma dura poco. Già nel 1953 si interessa alla grafica e alla stampa, ovvero a un meccanismo di ripetizione, studiando in particolare la tipografia dell’olandese Hendrik Nikolaas Werkman, designer della rivista Art d’aujourd’hui. Nel 1954 scopre il cosiddetto Cachet, forma post-pittorica ottenuta mediante l’impressione su carta con tamponi a inchiostro da ufficio. La sua personale d’esordio, alla Galerie Haut-Pavé di Parigi nel 1956, accosta le ultime pitture astratte ai primi Cachets, che rappresentano la negoziazione della definitiva uscita dall’arte di matrice espressionistico-gestuale per approdare a metodologie oggettuali in direzione del concettuale. L’insistere di Arman sul carattere tipografico e sulle date dei timbri postali anticipa le esperienze di Mail Art degli anni Settanta e, allo stesso tempo, riprende la pubblicistica del Situazionismo (manifesti, proclami, libri ecc…). Un linguaggio che si estenderà fino alla grafica “punk” di Jamie Reid, non a caso formatosi sulle pagine delle prime avanguardie di cui riadatta gli stilemi in chiave popolare e iper-trasgressiva. Appena successive ai Cachets sono le Allures (1958-’59), tracce, impronte di oggetti inchiostrati o colorati, per una pittura che ha perso completamente peso, interrogativo cui lavora in sincronia altri artisti aderenti al Nouveau Realisme -Yves Klein, Gérard Deschamps, Jean Tinguely- e che esperisce ulteriormente il bisogno di lasciarsi alle spalle la lunga stagione dell’informale.

Vero e proprio “marchio Arman” –e vertice creativo nella storia appena cominciata del gruppo messo insieme da Pierre Restany- è l’invenzione delle Accumulations, dove si manifesta tra le righe, come contraltare al Pop ortodosso e ottimista della versione americana, il criticismo sull’oggetto e sugli sprechi nella società neoconsumista. Il primo confronto reale tra queste due differenti “ideologie” soggiace in una delle mostre “chiave” dell’epoca, ordinata presso la Sidney Janis Gallery di New York nel 1962 (e di lì a poco Arman stipulerà un contratto d’esclusiva con la prestigiosa galleria, nonché l’inizio del suo rapporto stabile con gli Stati Uniti, dove prende l’abitudine di soggiornare circa sei mesi l’anno). The New Realists presenta immagini e oggetti prelevati nell’ambito della cultura di massa e della vita quotidiana. Da una parte il Pop: una bombola di gas (Dine), fumetti (Lichtenstein), barattoli di zuppa Campbell (Warhol), biancheria femminile (Oldenburg). Dall’altra il Nouveau Realisme: un frigorifero (Tinguely), dei manifesti pubblicitari (Hains, Rotella), dei rubinetti (Arman). Sintetizzando, da una parte la rappresentazione, dall’altra la presentazione. Nel saggio di Kaira Cabanas, “Maigres et poussieréreux”: les Nouveaux Réalistes à New York pubblicato nel catalogo Nouveau Realiste per l’ultima mostra al Centre Pompidou (Parigi, 2007), si raccontano le forti divergenze d’opinione che scatenò il confronto fra queste due visioni del reale nell’arte, fomentato in parte da quello spirito nazional-campanilistico che sempre divide francesi da americani.

A ben vedere le Accumulations hanno forse un’altra origine più privata per Arman. Ovvero il suo eterno incontro-scontro con il genio di Yves Klein, punto di riferimento, stimolo, continuo rispecchiarsi l’uno nell’altro, ma anche ragione di forte competizione. Arman e Klein si conoscono a Nizza nel 1947 durante un corso di judo e si frequentarono molto in quegli anni, fino alla prematura scomparsa di Yves “le monochrome” avvenuta nel 1962. Per amicizia e stima Klein introduce Arman nella sua galleria parigina, Iris Clert, dove aveva compiuto l’operazione più estrema fino ad allora mai inscenata nell’arte, ovvero la celeberrima mostra “del vuoto” (aprile-maggio 1958). Di contro, forse per reazione, Arman, nell’ottobre 1960, installa il progetto dal titolo Le plein: aiutato da Martial Raysse ostruisce l’ingresso e stipa le sale della Galerie Clert con oggetti di scarto. La mostra, che viene chiusa in anticipo a causa del deterioramento di alcuni materiali, presenta anche le prime Accumulations. Da niente a tutto, forse ci vorrebbe un analista per spiegare il senso di tale operazione. Resta il fatto che Arman amava molto l’amico Yves, al punto da dedicare a lui e alla moglie Rotraut Uecker, artista aderente al GruppoZero, la celeberrima coppia di Portait Robot per il loro matrimonio officiato a Parigi il 21 gennaio 1962 presso la chiesa di Saint-Nicolas-des-Champs. Nel Portrait Robot di Klein, in particolare, è contenuto l’abito da cavaliere dell’Ordine di San Sebastiano completo di spada e cappello, un rullo per le antropometrie, una pistola per l’idropittura e alcune fotografie. Particolare curioso, Christo decise ugualmente di omaggiare gli sposi con un ritratto, un dipinto molto classico, in cornice d’oro, che non rivela certo quello che sarà il linguaggio del celeberrimo “impacchettatore”, esposto in permanenza nella “sala Klein” al MAMAC di Nizza.

Già Rauschenberg, che Arman aveva conosciuto a Parigi nel 1960 complice Ileana Sonnabend, era solito inserire nelle sue opere, i Combine Paintings, oggetti che dopo aver esaurito il loro ciclo produttivo e vitale venivano sottratti alla consunzione del tempo e riportati dall’artista, con un gesto demiurgico, in una sorta di “non-tempo di eternità”. Se per l’americano si deve parlare di neo-dadaismo, per il francese l’utilizzo dell’oggetto si lega a doppio filo con l’urgenza dell’attuale e non ha nulla di duchampiano. Arman infatti unisce nella sua opera l’organico all’inorganico, anima critica dello sviluppo industriale, del boom economico, persino delle icone di allora. Come si è detto, fin dai primi anni Sessanta, il rapporto tra Arman e l’America si fa sempre più intenso e continuo. Nel 1961 realizza la sua prima personale a New York da Cordier-Warren Gallery con grandi Accumulations tra cui Home Sweet Home II, accrochage di maschere a gas. L’anno dopo soggiorna tre mesi a Los Angeles per la mostra alla Dwan Gallery, dove compie il gesto provocatorio di farsi aiutare dai visitatori nella costruzione di una Poubelle (e poi ci si stupisce oggi per l’arte relazionale!): il pubblico può gettare i propri rifiuti in una teca di plexiglas e completare con il proprio intervento il lavoro. Quando è a New York, Arman affitta una stanza al Chelsea Hotel. Naturalmente conosce Andy Warhol, ne rimane affascinato, fino a omaggiare anche lui di un Portrait Robot, dove nell’accumulo indifferenziato si riconoscono i tipici oggetti d’affezione del guru pop americano (sigarette, dollari, Coca Cola). Ricorda Nathalie Leleu ancora nel catalogo Nouveau Realisme del 2007 l’episodio in cui Arman riferisce di una cartolina di New York inviatagli da Raysse, e firmata da Tinguely e Niki de Saint-Phalle, che diceva “Vieni presto, c’è un tipo di nome Warhol che copia le tue accumulazioni!”. Le eventuali affinità non si riscontrano tanto sul piano formale, dove i due artisti risultano invece assai diversi, quanto sulla predisposizione condivisa a lavorare per serie, puntando entrambi alla ripetizione infinita: “Il ricorso alla ripetizione e all’accumulazione affermano una rottura nell’economia dell’opera, alternativa rispetto alle convenzioni pittoriche tradizionali tali quali si dichiaravano tanto dal nascente lato Pop quanto dal Nouveau Realisme”.

Le Poubelles si manifestano in qualche modo come l’estensione del corpo contemporaneo. Per dirla con il filosofo pre-materialista Ludwig Feuerbach “l’uomo è ciò che mangia”. L’Arman dei primi anni Sessanta è molto attento nell’evidenziare lo spreco come conseguenza del consumo irrazionale e bulimico che corrisponde all’eccitazione consumistica di allora e del presente. Arman anticipa di molto l’atteggiamento “ecologista” perseguito nell’arte da decenni, anche in quanto scelta etico-politica. Curioso che alcuni artisti oggi attivi su temi analoghi siano nati proprio nell’epoca (tra il 1960 e il 1968, ovvero dal baby-boom alla contestazione) in cui si evidenziava la contraddizione tra l’enfasi del sistema e il sopraggiungere della crisi, e che gli stessi abbiano cominciato a operare proprio quando il secondo miracolo economico, quello degli anni Ottanta, lasciava il posto a una ben diversa situazione di ristrettezze inaugurata nel decennio successivo. Un lavoro come quello della piemontese Enrica Borghi, che utilizza la plastica in chiave favolistica-narrativa, con grandi sculture anche “abitabili” che rimandano al corpo femminile, non a caso è allestito nelle sale del MAMAC di Nizza proprio accanto a una celeberrima accumulazione di Arman, The Birds (1981).

Altro elemento di modernità assoluta, l’amore di Arman per la macchina, che legge come simbolo di tecnologia e velocità, di pericolo ed erotismo, di progresso e morte. Oggetti di design dalle forme perfette, il cui passo verso l’immortalità è direttamente proporzionale all’atto della propria distruzione. La prima automobile, una MG spider bianca, fatta saltare con la dinamite nei pressi di Essen in Germania, è del 1963. A quei tempi la macchina incarnava il ritrovato benessere, la gioventù, la libertà, la velocità e naturalmente l’incidente. Il significato dietro l’esplosione di una macchina è senz’altro quello di fermare di colpo un processo produttivo, dunque l’atto risulta di per sé più scandaloso che spaccare un violino, se si pensa al significato sociale dell’oggetto. La scelta del vandalismo pone l’artista fuori dal vecchio schema marxista del rispetto del lavoro, esattamente ciò che fa oggi Santiago Sierra, esperto in azioni di sabotaggio come bloccare una strada, dar fuoco all’asfalto o portarne via un pezzo, rigare con una chiave la fiancata. Tra la prima auto dinamitata e l’ultima, di Arman, una Spitfire ancora bianca a Vence nel 2001, ci sono tante altre azioni e immagini che, se non direttamente ispirate, dimostrano più di un legame tra l’universo contemporaneo e l’artista francese: la foto di Willie Doherty, Incident II, Hijack, un relitto abbandonato nella periferia di Derry, Irlanda del Nord, l’auto della polizia di Tom Sachs che contiene un kit per danneggiarla (sogno di tutti i teppisti), Peace Keeper di Nari Ward, che ha rivestito un carro funebre di grasso e lo ha imprigionato in una gabbia.

Attaccato alle “cose di casa” come da tradizione francese, Arman stabilisce in particolare con la casa automobilistica Renault una storica collaborazione che si potrebbe quasi definire “estetico-patriottica”, cominciata con una prima Coupe nel 1961 e proseguita in due lavori del 1967. Art-Industrie, assemblage con materiali e pezzi di ricambio di serie e la bellissima Accumulation Renault, ottenuta con scocca e parti di carrozzeria verniciata, che sconfina nel design contemporaneo ed è senz’altro tra le espressioni più fredde e minimaliste nell’intero suo percorso. Nell’episodio successivo, En bloc. Accumulation Renault n° 163 (1969) l’automobile torna scultura dopo essere stata compressa e ridotta a rottame nelle esperienze coeve di César e John Chamberlain. Sezionando e svuotando il motore, Arman in qualche modo vuole vederne l’anima, con un gesto estremo che ricorderà, parecchi anni dopo, quel taglio così definitivo di Damien Hirst a sancire la differenza tra spazio esterno e interno (la traumatica divisione della mucca e del vitellino di Mother and Child). La stupenda carcassa d’acciaio, intonsa come passata attraverso un intervento chirurgico di restyling, ha allo stesso tempo forme mostruose e sembianze antropomorfe. Motivo spesso ricorrente nell’arte contemporanea, ma mai apparso così definitivo e irreversibile come in Arman, sia che si tratti di Bertrand Lavier, del motore Citroen DS dell’italo danese Thorsten Kirchhoff, o della riduzione a metà dello stesso modello di Citroen da parte di Gabriel Orozco.

Il tema della frammentazione e della divisione dell’oggetto ha toccato in Arman anche le motociclette, nella serie Cavalcade Fragmentée (1999-2002), letteralmente citato nel lavoro Miracolo italiano di Damiàn Ortega (2004), dove una Vespa viene sezionata pezzo per pezzo e poi riallestita come in un kit di montaggio.

L’accumulare, il mettere in fila, l’enumerare, il riorganizzare oggetti tutti uguali corrisponde in Arman a una vera e propria ossessione, che Georges Perec avrebbe definito come la mania di “pensare/classificare”. Spesso ciò si traduce in una forma scultorea definita, altre volte invade lo spazio, ad esempio vetrine di gallerie, negozi e spazi pubblici. Le Accumulations hanno certamente dato il là ad alcune opere contemporanee di cui si è molto parlato negli ultimi anni: la spettacolare istallazione di sedie presentata alla Biennale di Istanbul del 2003 da Doris Salcedo e Silent Mass Violent Whispers del giamaicano Nari Ward, un globo di marmitte d’auto e indumenti collocato davanti all’ex Casa del Fascio di Trieste, che include anche una registrazione di raffiche di bora. Ma per Arman il coup de theatre è soltanto un effetto secondario: prima viene la geometria, la ricomposizione formale attraverso l’ordine, l’eleganza della superficie che risponde ad alcune precise categorie come la levigatezza, la brillantezza, l’uniformità cromatica. Nell’epoca contemporanea, invece, concetti prevalenti che soggiaciono alle nuove accumulazioni, sono l’entropia, il caos, la casualità. Per Arman accumulare significa soprattutto scegliere un oggetto ed evidenziarlo come un virgolettato in un testo. Dunque adotta cose secondo lui interessanti per forme e suggestioni ancora una volta principalmente denotative –è il caso della accumulazione di macinini da caffè La villane de grand-mére, 1962, impossibile non pensare a Kounellis- mentre gli ultimi anni puntano soprattutto sul significato hic et nunc, sul valore sociologico, territorio che comunque Arman ha esplorato negli assemblaggi di oggetti nuovi anticipando di molto le esperienze degli anni Ottanta. Ad esempio Cinq au cube, (1966), accumulazione di pentolini in acciaio inox rimanda immediatamente al ciclo Luxury di Jeff Koons, dove l’artista americano cinicamente affermava che la brillantezza artificiale di questo metallo corrispondeva agli stucchi dorati dell’era Luigi XVI.

Solo in rari lavori è presente l’elemento antropomorfo ed esplicitamente realistico. Le Venus di Arman sono manichini riempiti di oggetti che citano le Poupées di Hans Bellmer, ma possono anche essere viste come una versione pop della Venere pigmentata di Yves Klein o anticipare le sculture della femmina-oggetto di Allen Jones. Ma questi sono solo rimandi iconografici: più interessante appare il ruolo della plastica, che negli anni Sessanta era considerata da una parte riflesso della tecnologia –molti oggetti venivano realizzati con il seducente e leggero moplen a sostituire materiali più tradizionali e ormai passati- dall’altra parte il suo limite, perché la plastica inquina, non si ricicla, pone problemi di smaltimento. Inoltre, appiattisce le differenze e ci rende, inevitabilmente tutti simili. Arman non scioglie l’ambiguità: immondizia ma con le unghie rosse, truccata a festa. Negli anni Novanta, in ogni caso, diversi artisti hanno continuato a lavorare sul manichino come espressione di una società post-umana in cui è possibile scomporre e ricomporre il proprio corpo e dove ognuno può scegliere ciò che vuole fino ad autodeterminarsi. Forse anche in questo caso, Arman ha giocato d’anticipo.

Attualità di Arman, infatti, l’assunto del testo che si legge non solo nelle suggestioni formali che egli è stato capace di articolare nel suo percorso, quanto nell’intenzione che emerge dal significato di alcuni gesti. Un altro importante ciclo dell’artista nizzardo, cominciato nel 1961, si identifica con la parola Colère (oggetti distrutti o violentemente danneggiati, il primo di questi atti, la Colére de contrabasse fu filmato dal canale americano NBC) e fonde il residuo scultoreo-oggettuale con l’esigenza della performance teatrale. Rompere gli strumenti, sezionare un violino spaccandolo in vari punti, azioni cominciate negli anni Sessanta, le Combustions, la prima realizzata nel 1963 ad Amsterdam su una poltrona Luigi XV (atto simbolico, scagliarsi contro il passato, la storia, la tradizione) fino alla distruzione “con rabbia” di un televisore: sono atteggiamenti da rockstar che avvertono la necessità di un gesto plateale per attirare a sé gli altri, per far esplodere l’energia che l’opera d’arte trattiene e dispiegarne la forza. Se a metà anni Sessanta Jimi Hendrix, Pete Townshend e Keith Moon degli Who distruggevano gli strumenti a ogni fine concerto lanciando i pezzi ai fans adoranti, Arman attribuisce ai resti del proprio vandalismo un valore di feticcio. E il feticcio, è noto, funziona solo quando il sistema lo considera tale. Non è comunque estranea al discorso teorico di Arman la questione del sabotaggio –una sorta di Fight Club antelitteram- a colpire la merce in quanto ingranaggio della sfera consumistica. L’esatto contrario di Rauschenberg, che raccoglie i resti e li inserisce nelle sue pitture, Arman vuole essere il responsabile primo, dunque l’artefice, il poeta, di queste distruzioni.

Infine le Inclusioni, altro tema forte e ritornante nella lunga carriera di Arman, dove
l’oggetto è imprigionato, costretto a non poter più progredire né a corrompersi. Con un gesto profondamente laico, Arman si prende il diritto di decidere quando interrompere un processo, anche se attuato prevalentemente su cose inanimate che comunque sono metafora di un qualcosa che riguarda l’essere vivente –e che Damien Hirst svilupperà brillantemente a partire dai primi anni Novanta. Saltano dunque il ciclo vitale, la biologia, la crescita, il degrado, la corruzione e, di conseguenza, la morte, diversamente che in Daniel Spoerri il quale preferisce fissare un frammento, bloccarlo, cristallizzare l’evento, attuare una glaciazione del reperto. Spoerri toglie l’aria, colloca sotto vuoto, eppure paradossalmente basterebbe una rottura del sistema protettivo a rimettere tutto in gioco. In Arman l’inclusione è definitiva: l’arbitrarietà dell’uomo (e dell’artista) si è sostituita a quella di una qualsiasi entità suprema, se mai esistesse. Il tutto si gioca qui, esistendo, nel credo laico dell’arte.

Catalogo: Casa Editrice CUDEMO, Bordighera, Editori anche del catalogo ragionato di Arman

Inaugurazione 24 gennaio 2008

Palazzo Bricherasio
via Teofilo Rossi - Torino
Orari: Lu: 14.30 - 19.30; mart-dom: 9.30 – 19.30; giov e sab: 9,30 - 22.30
Ingresso: Intero: euro 7,50, Ridotto: euro 5,50; Bambini (6-14 anni): euro 3,50

IN ARCHIVIO [76]
Carlo Zauli, scultore
dal 13/5/2011 al 27/6/2011

Attiva la tua LINEA DIRETTA con questa sede