Museo del Risorgimento - Istituto Mazziniano
Genova
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Garibaldi. Il Mito
dal 31/1/2008 al 23/3/2008

Segnalato da

Massimo Sorci




 
calendario eventi  :: 




31/1/2008

Garibaldi. Il Mito

Museo del Risorgimento - Istituto Mazziniano, Genova

Genova garibaldina e il mito dell'Eroe nelle collezioni private. La mostra valorizza la ricca documentazione sul movimento garibaldino conservata all'Istituto Mazziniano, integrata da altri documenti e cimeli provenienti da Archivi, Biblioteche, Musei e raccolte private.


comunicato stampa

Verrà inaugurata venerdì 1° febbraio alle ore 17.00 presso il Museo del risorgimento – Istituto mazziniano la quinta mostra della rassegna “Garibaldi. Il Mito”.

Dopo Palazzo Ducale, la Galleria d’Arte Moderna di Genova Nervi, la Wolfsoniana e l’Accademia Ligustica, anche il Museo del Risorgimento ricostruisce, in occasione del bicentenario della nascita di Garibaldi, il mito dell’epopea garibaldina. E lo farà con una mostra – “Genova garibaldina e il mito dell’Eroe nelle collezioni private” – che evidenzia lo stretto legame che unì la Liguria e, in particolare, il suo capoluogo con la formazione morale e culturale dell’eroe, con le vicende della sua epopea che si intrecciano e si identificano con la storia del nostro Risorgimento.

La Mostra si propone di valorizzare la ricca documentazione sul movimento garibaldino a Genova conservata all’Istituto Mazziniano, integrata da altri documenti e cimeli provenienti da Archivi, Biblioteche, Musei genovesi e nazionali e raccolte private. Protagonisti saranno personaggi legati a Garibaldi, le società operaie – vere fucine di rivoluzionari – i Carabinieri genovesi, ma soprattutto l’ambiente popolare genovese, vicino a Garibaldi e a Mazzini.

Non vuole essere una semplice esposizione di fatti , ma ha l’ambizione di suggerire il clima psicologico determinato dalla particolare influenza della personalità di Garibaldi vista attraverso la forza del mito che lo circondava e che poteva esprimersi in forme diversificate: giornalismo, satira politica, iconografia a stampa, oggettistica.

Questo secondo aspetto della mostra assumerà particolare rilievo grazie al diretto contributo della Fondazione Spadolini di Firenze e del dottor Luigi Tronca di Brescia, sensibile collezionista di cimeli garibaldini. Una sezione della mostra sarà dedicata alle due collezioni con una scelta di opere, tra le quali alcune “inedite”.

Nel complesso la mostra presenta oltre 600 unità espositive, che spaziano dai grandi quadri (come “La partenza dei Mille” e “Veduta fantastica dei Monumenti d’Italia” di Tetar Van Elven) alle bandiere, alle armi garibaldine, alle camicie rosse e alle uniformi dei Carabinieri genovesi, fino agli oggetti d’arredo che testimoniano l’origine del mito dell’eroe sin dalla metà dell’Ottocento non soltanto in Italia, ma anche nei paesi anglosassoni e in Francia.

Numerosi gli oggetti appartenuti o usati da Garibaldi , dalla sua giubba rossa, alla camicia ricamata da Anita, fino a rasentare il feticismo di chi ne ha conservato le pantofole o – è il caso di un popolano genovese – le bocce con le quali ha avuto l’onore di giocare… e vincere con l’eroe. Infine, ultima arrivata, una pistola che la Società Ligure di Storia Patria ha donato a Garibaldi in occasione di una sua visita a Genova.

Genova e Garibaldi
Genova fu costante punto di riferimento per Garibaldi: qui ebbe la prima esperienza da rivoluzionario nel 1834, quando a salvarlo furono semplici popolane. Condannato a morte fu costretto all’esilio in Sudamerica. Quando tornò nel 1847, i genovesi lo accolsero come salvatore della patria tributandogli grandi onori. Da allora a Genova Garibaldi troverà l’ambiente ideale per maturare e organizzare le sue maggiori imprese, poiché poteva contare su un’ampia rete di amicizie formata non solo dalle camicie rosse, ma anche da gente comune, piccoli borghesi e popolani.

Dopo la caduta della Repubblica Romana, Garibaldi, approdato in territorio sardo, il 7 settembre fu arrestato a Chiavari e trasferito prigioniero al Palazzo Ducale di Genova. Sotto la pressione dell’opinione pubblica, fu rimesso in libertà, a condizione che abbandonasse l’Italia, dove fece ritorno solo nel 1854. Nel maggio del 1860 tutta la città fu complice per l’impresa dei Mille in Sicilia, proteggendolo e divenendo punto di riferimento per la raccolta di fondi e l’organizzazione delle spedizioni d’appoggio successive. Solo Genova poteva essere il centro dell’organizzazione della spedizione dei Mille, non tanto per la sua posizione strategica, quanto soprattutto perché il governo non poteva intervenire per fermarla senza rischiare una rivoluzione. Ultimata la spedizione, Garibaldi donò alla città la bandiera che egli stesso aveva definito dei “Mille” perché fosse custodita a Palazzo Tursi e ne uscisse solo in particolari circostanze patriottiche e con la sua approvazione.

Garibaldi era di fatto cittadino genovese: quando nel 1859 la sua città natale fu ceduta alla Francia, Garibaldi – straniero in patria – accolse con entusiasmo la cittadinanza che Genova gli offrì. Alla notizia della morte di Garibaldi il 2 giugno 1882, l’intero Consiglio Comunale deliberò di dedicargli il nome della strada più prestigiosa di Genova, Strada Nuova, la Via Aurea dei Genovesi. Questa presenza di Garibaldi nella nostra città è testimoniata nel Museo del Risorgimento, che già nell’attuale percorso dedica ampio spazio alla documentazione e alla iconografia garibaldina, con una sezione multimediale relativa alla spedizione dei Mille.
E’ altresì testimoniata in molti luoghi genovesi legati ai momenti più significativi della sua epopea che di per sè costituiscono un “museo” all’aperto che sarà valorizzato nell’ambito della mostra mettendo in relazione i contenuti con i luoghi della città, che testimoniano l’ampia rete di amicizie spesso costituita da gente comune, senza la quale avvenimenti fondamentali del nostro Risorgimento non avrebbero avuto modo di concretizzarsi.


Genova garibaldina
Quando il 21 aprile 1860 Genova concesse la cittadinanza a Garibaldi, dopo che la sua Nizza era stata ceduta alla Francia, così l'Eroe dei due mondi ringraziò il Municipio genovese: “Io sono veramente pieno di gratitudine per l'autorevole titolo di cui volle fregiarmi il nobile Consiglio comunale della città che fu culla dei miei maggiori e per cui giustamente nutro l'amore di figlio”. Non erano parole retoriche. La ligusticità della famiglia Garibaldi era fuori discussione: la madre, Rosa Raimondi, era di Loano, il padre, Domenico, era originario di Chiavari, e lo stesso Giuseppe nacque nel territorio dell'antica Repubblica, anche se nel 1807 tutta la Liguria era sotto il dominio francese. Il legame di Garibaldi con la gente ligure si identificava nei tratti del suo carattere e nel suo agire: la tenacia, la forte disposizione all'attività, lo spirito d'intraprendenza, il lavoro inteso come dovere, la parsimonia, il vivere con poco e di poco, il fascino del mare, l'ostinato impegno a rendere fruttifera la terra.

“Agricoltore”, come egli stesso si definì, scelse di vivere nell'isola di Caprera, una terra ostile, scabra, rocciosa, avara come quella ligure. Genova, in particolare, per la sua antica tradizione repubblicana, simboleggiava quell’aspirazione alla libertà che Garibaldi perseguì per tutta la vita. Garibaldi rappresentò l'anima popolare del movimento risorgimentale;agiva d’ impulso, senza alchimie e calcoli politici, obbedendo solo alla sua coscienza, con lo stesso animo istintivamente avverso all'ingiustizia e al sopruso con cui a Genova la componente popolare reagì ogni qual volta vide in pericolo i valori che la sostenevano. Qui Garibaldi trovò l’ambiente ideale per maturare e organizzare le sue maggiori imprese, poiché potè contare su una ampia rete di amicizie, formata non solo dalle sue camicie rosse, ma anche da gente comune, piccoli borghesi e popolani, persone che non passarono alla storia per aver partecipato ad imprese epiche, ma sulle quali Garibaldi poteva fare affidamento in ogni circostanza. Questa Mostra è cadenzata con momenti particolari della biografia garibaldina legati a Genova: il moto del 1834; il ritorno dall'esilio nel 1848; l'arresto e l'inizio del secondo esilio nel 1849; il momento culminante del distacco da Mazzini nel 1854, l'organizzazione della spedizione dei Mille. Ma al di là degli avvenimenti storici si snodano tanti altri episodi, che denotano l’interesse e l’amore di Garibaldi per questa città.

Collezione Spadolini

La selezione di opere qui esposta fa parte della “Fondazione Spadolini Nuova Antologia”, che possiede la sua ricchissima biblioteca e un cospicuo patrimonio storico e artistico, di cui il fondo garibaldino è uno dei nuclei portanti. La passione di Giovanni Spadolini per Garibaldi risale agli anni dell’infanzia, quando nel 1933, il padre Guido donò al figlio il volume illustrato “La vita di Giuseppe Garibaldi narrata al popolo da Epaminonda Provaglio”. Moltissimi i libri che nel corso della vita Spadolini ha raccolto su Garibaldi, integrati anche di recente con donazioni, e la nutrita collezione di cimeli, oggetti e, in particolare stampe e caricature, relativi alla vita, alle gesta e alla popolarità dell’eroe dei due mondi. L’intero fondo consta di circa 400 pezzi che tendono a mettere in evidenza il “generoso e appassionato difensore dei fondamentali diritti di libertà del cittadino”, il fascino incredibile che era riuscito a suscitare attraverso la sua limpida onestà e i suoi impeti generosi.

Giovanni Spadolini nasce a Firenze il 21 giugno 1925 e muore a Roma il 4 agosto 1994. Fin dall’infanzia rivela la sua straordinaria passione per la storia e per la cultura. Laureatosi in Giurisprudenza nel 1947, intraprende l’attività giornalistica che, insieme alla ricerca storica e alla politica, è uno degli ambiti ai quali Spadolini si è dedicato nell’arco della sua vita. A 29 anni assume la direzione del “Resto del Carlino” e nel 1968 è chiamato a dirigere il “Corriere della Sera”, che lascia nel 1972, avviando la collaborazione alla “Stampa” di Torino, durata fino alla morte. Dal 1954 ha diretto e animato la rivista culturale “Nuova Antologia”. Nel 1950 a Spadolini viene assegnato l’incarico di professore di Storia contemporanea alla Facoltà di Scienze politiche di Firenze. I suoi studi si rivolgono, in particolare, alla revisione del Risorgimento nel contesto italiano ed europeo.

Nel 1972 Spadolini viene eletto senatore, dopo essersi presentato come indipendente nelle file del Partito Repubblicano Italiano nel Collegio di Milano. Soltanto due anni più tardi entra a far parte del governo Moro come Ministro-fondatore del ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Nel 1979 diventa Ministro della Pubblica Istruzione e, dopo la scomparsa di Ugo La Malfa, è Segretario nazionale del Partito Repubblicano, aprendo i quadri a esponenti del mondo della cultura. Nel 1981 il Presidente della Repubblica Sandro Pertini lo chiama a formare il primo governo laico dalla proclamazione della Repubblica. Nei successivi governi Craxi, Spadolini è Ministro della Difesa. Nel 1987 viene eletto a larghissima maggioranza Presidente del Senato, seconda carica istituzionale dello Stato, ricoperta con continuità fino all’aprile 1994.

Sorretto da una straordinaria memoria, consumato da una autentica passione per la storia e la cultura, Spadolini faceva propria la lezione mazziniana del “dovere”, del lavoro continuo e operoso come imperativo morale. Per trasmettere alle nuove generazioni questi valori, Spadolini istituì nel 1980 la “Fondazione Spadolini Nuova Antologia”, nominandola erede universale di tutti i suoi beni, della ricchissima biblioteca e del patrimonio storico e artistico.

Collezione Tronca

“L’emozione che provavo quando da bambino ascoltavo da mio nonno, nella sua casa di Palermo, i racconti dell’entrata dei Mille nella ‘capitale’ ed i ricordi tramandati a lui dallo zio Capitano dei Garibaldini e dal nonno materno, testimoni diretti di quella lontana giornata del 27 giugno 1870, ha costituito la scintilla della mia passione per la storia del Risorgimento. I lunghi anni dedicati allo studio mi hanno permesso di ascoltare le urla, i colpi di arma da fuoco, il frastuono concitato delle battaglie: queste emozioni mi davano il senso della storia. Ecco come è cominciata la mia Collezione. Ho desiderato possedere un ritratto di Garibaldi, di quell’uomo che aveva ispirato migliaia di giovani, anche stranieri, tra cui anche un mio antenato – spero sepolto, come tanti nobili siciliani, nelle catacombe del Convento dei Cappuccini a Palermo – ad accorrere tra le sue fila, immolandosi, armati alla meglio, in scontri impari, quasi irreali contro eserciti regolari, soverchianti di numero ed armamento. Il sangue, tanto sangue, versato attorno a Garibaldi dai suoi uomini per l’Italia, ma soprattutto per lui, aveva lo stesso colore delle camicie che si era portato dal Sud America, originale simbolo di una nuova Italia desiderosa di cambiare, in un rinnovato e più moderno spirito, anche i suoi colori.

Trovai a Bergamo il primo ritratto, affascinante nella suggestione dello sguardo riprodotto dal pittore. Da allora nacque anche un’attenzione per tutto quello che Garibaldi aveva rappresentato per gli Italiani, prima e dopo la spedizione dei Mille, e non solo per essi. Mi stupivano le innumerevoli riproduzioni che incontravo sfogliando libri antichi e moderni, cataloghi di mostre e di aste, giornali attuali e dell’epoca, girando per musei e negozi. Mi colpiva l’iconografia che riproduceva l’Eroe in mille aspetti, con camicia rossa o in divisa da Generale dei Cacciatori delle Alpi, su tela, su carta, su tessuto, in bronzo, in marmo, in gesso, in ceramica e finanche in oro, in corallo, in avorio. In ogni casa italiana, ma anche in molte case inglesi, francesi e di altre nazioni, veniva custodita, quasi venerata, qualche sua effige, dal ritratto in divisa da Generale piemontese nelle famiglie nobili di fede monarchica, alla litografia acquerellata in camicia rossa nelle famiglie repubblicane meno abbienti; senza contare i tanti oggetti che lo ritraggono, dai piatti alle pipe, dai ricami ai busti, dagli orologi alle bottiglie.

Un interesse, il mio, che progressivamente aumentava, fenomeno tipico dei collezionisti, e mi “imponeva”, nel tempo, di capire come lo vedessero, anzi lo volessero vedere, le generazioni contemporanee e successive. Non cercavo il cimelio, ma l’espressione iconografica, creata per coloro che volevano avere accanto un’immagine del Generale, e non importava che fosse di pregevole o di povera fattura. Garibaldi era un generale diverso dagli altri: non si limitava ad elaborare piani e strategie militari, non gli bastava studiare il terreno e le possibili mosse del combattimento, cosa che sapeva fare egregiamente. Garibaldi combatteva, guidava personalmente gli attacchi; era lui che andava avanti e con lui i suoi generali e poi i suoi ufficiali e quindi i suoi garibaldini. Nessun altro esercito, sia pure volontario, volle e seppe vivere l’orgoglio di prendere nome dal suo Generale. Tutto questo ha emozionato i contemporanei dell’Europa e d’Oltreoceano, che guardavano alle vicende italiane percependo la componente di fascino che avvolgeva il nostro Risorgimento. È questo lo spirito della mia Collezione, una costante, attenta, continua ricerca di espressioni, nel desiderio di capire quanto e come Giuseppe Garibaldi fosse amato”.

Francesco Paolo Tronca

Inaugurazione 1 febbraio 2008

Museo del Risorgimento - Casa Mazzini
via Lomellini, 11 - Genova

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