Domenico Bianchi
Alighiero Boetti
Pier Paolo Calzolari
Paolo Canevari
Gunther Forg
Jannis Kounellis
Mario Merz
Giulio Paolini
Giuseppe Penone
Bernard Roig
Remo Salvadori
Thomas Schutte
Christopher Wool
Peter Wuthrich
Gilberto Zorio
La carta non e' solo superficie bianca su cui disegnare, in modo da far apparire un segno nel vuoto spazio del foglio immacolato. Opere di Domenico Bianchi, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Paolo Canevari, Gunther Forg, Jannis Kounellis, Mario Merz, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Bernard Roig, Remo Salvadori, Thomas Schutte, Christopher Wool, Peter Wuthrich , Gilberto Zorio.
Opere di Domenico Bianchi, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Paolo Canevari, Günther Förg, Jannis Kounellis, Mario Merz, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Bernard Roig, Remo Salvadori, Thomas Schütte, Christopher Wool, Peter Wüthrich , Gilberto Zorio. Da Giovedi 7 febbraio la Galleria Cardi inaugura la mostra ... di carta..., una scelta di opere fatte di carta o nate dalla carta. Lavori che non nascono riproducendosi sulla carta tramite disegno o stampa – non si tratta infatti di rappresentazioni fissate sul foglio, perché diverso è l’uso che viene fatto dei medium e dei materiali, tra cui anche la carta. Alcuni degli artisti – Boetti e Paolini, Calzolari o Zorio, Merz o Penone ad esempio – usano la vergine materia cartacea in senso diverso dalla tradizione assegnando alla carta un nuovo statuto: abbiamo a che fare con una cosa molto più complessa, usata come un medium in quanto capace di ben altre prestazioni da quelle tradizionali. La carta non è solo superficie bianca su cui disegnare, in modo da far apparire un segno più o meno figurativo nel vuoto spazio infinito del foglio immacolato (o nel tutto pieno di quella dimensione quasi impalpabile).
La carta, quella usata dagli artisti presenti in mostra, non è neppure unicamente il supporto ideale dell’incisione: il foglio umile, docile, da pressare al torchio per riprodurre la traccia scavata col bulino. Per Mario Merz ad esempio sono esistiti tanti tipi di carta, o meglio fogli utilizzabili come carta: acetati, sintetici, fogli di giornale, e altro ancora. Materiali su cui intervenire, in modo quasi performativo (action painting), forzando il segno in un viluppo ancestrale di colori con l’energia e la rabdomanzia di uno sciamano. Perché Merz, camminando in un futuro cosmologico, ritrovava attraverso l’arte la strada maestra per abitare realmente qui sulla terra come artista ancora primordialeGrazie a Merz la nostra esperienza del tempo e della vita ci appiono più libere (di spaziare fuori della storia e della cronaca) più remote e più grandi (come quelle di un geco o di una spirale) e quindi anche più minacciose. Per Christopher Wool, il foglio di carta, è semplicemente una parete da scalare o un luogo virtuale. Il disegno (piuttosto cifra o logo o marchio che disegno) può dunque attraversare il mondo come un timbro postale sfidando le leggi fisiche che normalmente regolano la vita terrestre.
La carta scelta da Mimmo Paladino non è carta: semmai una porzione di parete tanto antica quanto il sottosuolo campano. O meglio è come un pezzo di terra (si tratterebbe allora di una necropoli e saremmo in presenza di resti riaffiorati da una tomba regale) o un pezzo di caverna: un cerchio magico comunque, dove si accumulano lacerti e tracce, di uomini e altri esseri ivi fossilizzati, simboli a forma di croce, o collocati con religioso ordine rituale. Pier Paolo Calzolari trasforma la carta in una scultura tridimensionale: quello che è solitamente sottile e leggero riappare solido, pesante, ingombrante. Diventa una montagna intorno alla quale adesso circola un trenino. Forse siamo di fronte ad un paesaggio dell’Appennino: irti colli, speroni rocciosi, grandi viadotti. Il rapporto però è tra lo spazio vago e indefinito del blocco, bianco come un dado di marmo (ma punteggiato di stellebottoni) e il tempo circolare, quello del viaggio intorno al bianco cielo trapuntato di astri e pianeti lontani. Si tratta forse di un viaggio infinito e indefinito ad un tempo, come quello compiuto da un’idea o da un’immagine nella mente dell’artista. Calzolari percorre le strade dell’invisibile ricollegandole a quelle del visibile: la poesia dell’infinito alla realtà del quotidiano.
Per Domenico Bianchi la carta è solo apparentemente una superficie sulla quale distendere colori e tracciare linee; difatti la dimensione che il pittore romano vuole fondare con una serrata organizzazione di piani e di sezioni geometriche è una dimensione fisica oltre che simbolica. Il quadro -o il foglio di carta- non è giammai solo quadro - o semplice foglio. L’opera è qualcosa che attraversa lo spazio simbolico o mimetico tradizionale (come quello prospettico o naturalistico), ripercorre le strade maestre del modernismo (astrazione e minimalismo) per approdare infine al di là dell’arte povera (di cui interpreta la poetica dei materiali) in una prorpia esperienza della pittura. Esperienza che si risolve artisticamente in una scienza del cuore e della mente. E’ quella di Bianchi una tecnica visiva – di scuola italiana – che sbilancia e poi getta lo spettatore verso il remoto e l’infinito, nel microcosmo e nel macrocosmo. Un’opera di Bianchi produce sempre una prossimità visiva e una distanza simbolica (o viceversa): un contatto che è assolutamente aptico e non freddamente virtuale. La carta fin dall’inizio degli anni Cinquanta del Novecento è un materiale come il ferro o il carbone, ma anche oggetto di scambio come un classico ready-made, infine qualcosa di simile ad un lenzuolo sui cui si sono impresse tracce di un contatto fisico. La carta è stata tagliata, sbriciolata, polverizzata, bruciata, accartocciata, appallottolata, impilata, e si sono ammirati fogli sparsi, cataste di carta, blocchi e colonne di carta.
Tutto questo è il risultato di una trasformazione del linguaggio artistico avviata a primi del Novecento: quando la carta non è più semplicemente la superficie prescelta per disegnare o incidere. Basta pensare alle esperienze di Picasso e Schwitters, a Dada, a Cornell e poi a Rauschenberg o a Gutai. Con l’Arte Povera irrompono nel mondo dell’arte materiali viventi e ingombranti, fonte di energia, capaci di trasformazioni in progress, in ultimo materiali scelti anche per il loro vissuto – un vissuto evidenziato dal punto di vista della cronaca e della storia collettiva e universale piuttosto che personale. La carta è uno di questi materiali poveri, assieme al legno e al ferro, al fuoco e alla cera. Jannis Kounellis ogni volta che si avvicina alla carta sembra poterla bruciare perché ogni segno che l’artista traccia è una fiamma che illumina la notte. La carta è uno spazio a disposizione dell’artista perchè questi possa occuparlo fisicamente e restituire col tragico linguaggio della vita e della storia un senso non precario all’arte e della vita presente (ecco il realismo caravaggesco e courbettiano di Kounellis). Il foglio di carta allora è come una nicchia o una porta veramente occlusa da una montagna di teschi (ecco che la verità dell’arte è più vera di quella del teatro). I teschi sono stati accumulati non iconograficamente (come in una vanitas) ma costruttivamente e arcaicamente (come in Cezanne).
Teschi abbandonati dal progresso sul palcoscenico della Storia. Laddove si rappresenta la tragedia del progresso come descritta da Walter Benjamin. Giulio Paolini ha saputo tenere in bilico il linguaggio dell’arte e ogni suo strumento, difatti sospende il linguaggio e lo spettatore tra modernità e classicità. Ognuna delle sue opere è un congegno estremamente sofisticato, sia dal punto di vista concettuale che poetico, anche quando è semplicissimo, minimale, al limite dell’inesistente. Un foglio spostato da Paolini o accartocciato è l’evocazione e la constatazione fisica di leggi universali eterne che riguardano sia la storia dell’arte sia la storia del pianeta terra o dell’universo infinito. L’artista torinese in effetti ci vuole informare di eventi e misure infinite e infinitesimali, guidare alla soglia di un accadimento sconcertante: l’apparizione del doppio, la nascita di un mito, la riapparizione di una dea, l’aprirsi di una porta senza sfondo, l’affacciarsi su di un labirinto, la fuga all’infinito di una prospettiva, il segreto appuntamento con la malinconia, il vago andirivieni della memoria. Oppure l’immagine è un buco nero, il big bang, la via lattea. Il sovrumano e l’incommensurabile sembra offrirsi al nostro sguardo di contemplatori inconsapevoli o meno. L’immagine ci soccorre in questo naufragio. Anche quando si tratta di un foglio di carta e di una manciata di puntine da disegno, oppure di carte da gioco, pagine tagliuzzate e strappate, infine gettate a terra quasi casualmente. Quasi un’opera classica, quasi un’opera contemporanea. Sempre e quasi concentrata sulla natura del sublime e del bello intellegibile. Così le immagini disegnate e dipinte da Thomas Schütte e da Remo Salvadori non sono solo immagini o icone, dato che esse sono sia il risultato di un’esperienza, sia il dato non conclusivo di un processo in corso da sempre o da molto tempo almeno. Alchemico e simbolico nel caso di Remo Salvadori, mnemonico e allegorico in quello di Schütte.
Gilberto Zorio riversa sul foglio gli effetti di esperimenti alchemici il cui significato principale però è anche etico e diremmo politico. Infine per Peter Wüthrich la carta, quella dei libri, o volumi, quella delle riviste e dei cataloghi è elemento basico: come un mattone o una trave che l’artista utilizza per costruire architetture e oggetti di design quasi abitabili e quasi utilizzabili. In principio dunque era la caverna e forse pure la pelle del corpo. Dopo venne la carta. Naque così il disegno. Da un ulteriore scollamento dell’autore dal medium si generò la comunicazione fantasmatica dell’arte; la carta si offriva come seconda pelle e al tempo stesso come schermo. La carta, usata per disegnare o stampare, insomma ci ricorda questa doppia sua remota origine. Se ne allontana. Per ritornare in modi inusuali e inattesi a quell’origine. Così la carta nelle mani dell’artista restituisce un esperienza dei primordi o magari un’esperienza poetica ancora più classica in quanto senza tempo, universale. Oppure al tempo stesso testimonia e avvalla la nascita dell’arte per tutti, a portata di mano di tutti. Basta un poco di carta, un foglio e molta fantasia (non solo concettuale) come nel caso di Alighiero Boetti. Benche il disegno ancora oggi sia poi una forma espressiva fin troppo sofisticata, goduta da pochi eccezionali e speciali amanti dell’arte. Immaginiamoci poi quando un’opera è fatta solo ...di carta... e poco altro ancora. Sergio Risaliti
Galleria Cardi & Co.
Corso di Porta Nuova, 38 - Milano
Orari: 10:30 - 13:30 e 15:30 - 19:30
Ingresso libero