Fondazione di Ca' la Ghironda
Zola Predosa (BO)
via Leonardo Da Vinci, 19 (Ponte Ronca)
051 757419 FAX 051 6160119
WEB
Stelle!
dal 28/3/2008 al 28/4/2008
sab - dom 10-12 e 15-18, o su appuntamento
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Segnalato da

Edoardo Di Mauro




 
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28/3/2008

Stelle!

Fondazione di Ca' la Ghironda, Zola Predosa (BO)

Un'eclettica visione d'insieme della situazione in atto nella scena contemporanea italiana che riunisce artisti appartenenti a diversi ambiti generazionali apparentati da evidenti affinita' elettive. Opere di Alessandro Alimonti, Tomaso Binga, Gaetano Buttaro, Maristella Campolunghi, Theo Gallino, Tea Giobbio, Francesca Maranetto Gay e molti altri.


comunicato stampa

Curatori : Edoardo Di Mauro e Bianca Pedace

Artisti : Alessandro Alimonti, Tomaso Binga, Gaetano Bùttaro, Maristella Campolunghi, Theo Gallino, Tea Giobbio, Francesca Maranetto Gay, Francesco Martani, Sebastiano Messina, Giovanna Picciau, Claudio Spoletini, Laurence Ursulet, Vittorio Valente, Walter Vallini, Roberto Zizzo.

“Stelle!” è una eclettica visione d’insieme della situazione in atto nella scena contemporanea italiana che riunisce in una mostra itinerante artisti appartenenti a diversi ambiti generazionali apparentati da evidenti affinità elettive . Il titolo intende essere efficace metafora di uno stato d’animo che sta insorgendo con gradualità e di cui gli osservatori più attenti e sensibili non possono non cogliere gli indizi. Dal punto di vista teorico, preciso che questa mostra è frutto di una riflessione non mia isolata ma collettiva, rinvengo numerose analogie con una rassegna da me ordinata nella primavera 2006 alla Fusion Art Gallery di Torino intitolata “L’immagine reincantata”. In quel caso il mio sguardo si volgeva verso ambiti relativi alle nuove tecnologie quindi fotografia, video ed immagine digitale. Nella circostanza, pur in presenza di una nutrita rappresentanza in tale senso orientata, il raggio dell’indagine si estende anche ad ambiti quali l’oggettualismo e la pittura, ma questo quasi nulla toglie all’omologia teorica tra queste due occasioni espositive.

È stata proprio l’osservazione delle prove della più recente generazione artistica italiana, esaminata nella sua specificità poetica ed isolata dal contesto di un sistema dell’arte in cui il tasso di alienazione continua ad essere piuttosto elevato, a convincermi della presenza di sempre più consistenti indizi riguardanti una insorgente mutazione estetica e comportamentale. Ho elaborato il termine “nuova contemporaneità” per indicare uno stato d’animo diffuso che sembra volere andare oltre le secche in cui si era ormai incagliato il post moderno. Come sostenuto da uno dei migliori estetologi italiani, Mario Perniola, l’arte vuole proporre nuovamente un senso al suo esistere, a cui egli dà l’appellativo di “resto” od “ombra”, andando oltre l’opposta tautologia nella quale si era incanalata a partire dagli anni ’50 dapprima con la teoria situazionista e con quella successiva del Concettuale incarnato dalla riflessione teorica di Joseph Kosuth, entrambe convergenti nel rifiutare una visione formalistica dell’arte perché inficiante il soggettivismo dell’artista, la sua produzione mentale e teorica come unica portatrice di senso e di verità in opposizione al feticcio dell’opera prodotto a solo uso e consumo della “società dello spettacolo”.

La seconda opzione è viceversa una interpretazione strumentalmente riduttiva della cosiddetta “teoria istituzionale” che considera l’arte categoria principalmente storica e l’opera come oggetto la cui qualità è esclusivamente determinata dal successo che riscuote presso i soggetti istituzionali : musei ed operatori del mercato, riviste specializzate, critici più o meno solidali e compiacenti con le regole imposte. Sono d’accordo sul fatto che l’arte non può essere spiegata a prescindere da ben determinati fattori storici e sociali ma è anche evidente come l’esasperazione di questi presupposti porta ad un disciogliersi del messaggio all’interno dei meccanismi della comunicazione. Il risultato in termini estetici è il cosiddetto “sensazionalismo”, procedimento in cui l’arte intende provocare disgusto e turbamento allontanandosi volutamente dal pubblico ma accrescendo la sua “audience” e costringendo i protagonisti a spararla sempre più grossa : esempio indicativo e citato perché noto ai più Maurizio Cattelan, personalità per cui valgono ormai i parametri di giudizio adoperati per valutare popstar e divi del cinema e non certo i classici criteri di valutazione artistica. Tali fenomeni sono stati introdotti dal nichilismo e dalla “morte di Dio” teorizzata da Nietzsche sul finire del secolo scorso : l’avvento della tecnica svuota progressivamente la civiltà occidentale delle antiche certezze ed anche l’arte conosce lo stesso destino il cui esito finale si ha dopo la seconda metà degli anni ’70 quando viene meno la spinta propulsiva e vitalistica delle avanguardie storiche strettamente correlate al concetto del Superuomo.

La citazione esasperata e spesso sterile delle esperienze del passato, il cinismo dichiarato con senso di supponenza è per molti aspetti espressione di questo rimpianto. Tuttavia in questi anni d’esordio del nuovo millennio si intravede la possibilità di una “terza via” al di là di improbabili volontà di restaurazione di una classicità statica o di un totale annullamento dell’arte nel reale e nella comunicazione : un atteggiamento che, pur partecipando alle vicende del quotidiano, interviene su di esse per gettarvi verità, resistendo al conformismo ed alla massificazione dell’opera per restituire all’arte grandezza progettuale e dignità estetica. Un indizio certo di questo mutato atteggiamento è dato dalla capacità attuale di usare le tecnologie nella loro specificità di linguaggio. Il tutto parte dal ruolo assunto dalla fotografia che, nell’ultimo trentennio, si è riversata massiccia nel panorama eclettico della contemporaneità privilegiando la funzione piuttosto che l’oggetto e diventando gradualmente una delle dimensioni narrative maggioritarie, trascinando con sé il video, suo successore e derivato tecnologico. L’atteggiamento si è manifestato nella duplice accezione di una partecipazione “fredda”, tendente a privilegiare una classificazione impersonale ed asettica dell’esistente e della banalità quotidiana, ed un’ altra dimensione “calda” e psicologica, in cui gli artisti hanno adoperato il mezzo come estensione del proprio io, per calarsi nel reale con atteggiamento di affettuosa partecipazione. Ma questo non è affatto in contraddizione con un uso “artistico” del mezzo, anzi semmai ne rafforza la vocazione di strumento atto a cogliere il reale nell’accezione di un abbraccio interire, di un congiungimento con l’io dell’artista.

Il “reincanto” stigmatizza una nuova fase epocale in cui siamo ormai entrati : dopo la plurisecolare prevalenza del razionalismo introdotto dal Rinascimento e confermato dall’Illuminismo, dominato dal “logos”, le tecnologie immateriali ci hanno introdotti nella civiltà dell’immagine, in cui si assiste ad una ripresa di valori magici e rituali che collegano la nostra epoca ad un passato premoderno con la ricomparsa di antichi archetipi ed una nuova dimensione comunitaria in cui l’individuo vive attraverso lo sguardo e le leggi degli altri. Questo assunto è valido per la nuova immagine tecnologica ma è pressoché del tutto traslabile verso altre opzioni stilistiche come l’oggettualismo, in questo caso con l’introduzione di una cospicua dose di ironia e la volontà di sfidare le arti applicate sul loro stesso terreno e la pittura, tesa verso una dimensione simbolica e narrativa. Le contaminazioni tra linguaggi, oggi sempre più plausibili e necessarie, fungono da efficace collante linguistico. Vengo ora a trattare di alcuni tra gli autori presenti in mostra, dividendo questa compito con l’altro curatore, che è Bianca Pedace. Gaetano Buttaro impiega con lucidità le tecnologie digitali per costruire un’immagine tesa allo scandaglio analitico ed impietoso, per quanto velato da una patina di soffusa malinconia, dei misteri dell’interiorità umana. L’artista, negli ultimi lavori, tende a rivolgere il suo sguardo indagatore su sé stesso, con inquadrature dotate di un movimento volutamente frammentato ed in parte sfocato, che indica la mutevolezza delle sensazioni e degli stati d’animo e la volontà, forse vana, di ricondurle all’unitarietà del Super Io.

Theo Gallino con le sue opere ultime pone in essere un vero e proprio procedimento alchemico, coerentemente con uno stile dove l’aniconicità sa conciliarsi con l’immagine sublimata nell’evocazione dell’ombra, intravista come un fantasma sfuggente bloccato nell’attimo stesso in cui si pone all’ attenzione percettiva. Nelle sue “scatole alchemiche” figure ed oggetti giacciono sofficemente custoditi in contenitori dalle forme variabili, avvolte in un liquido amniotico composto da cera ed anilina. Tea Giobbio riflette sul rapporto tra il suo essere donna ed il mondo tramite un’analisi della condizione del corpo femminile e l’invasiva esteriorità contemporanea o si sofferma, con la delicatezza del bianco e nero, su paesaggi onirici in cui il cielo funge da cornice all’immanenza di soggetti placidamente zoomorfi. Come evidenziato anche da altri curatori nel lavoro della Giobbio è privilegiato il concetto dell’ “assenza”, in quanto il suo corpo, così come il paesaggio, non appare mai nella sua interezza ma si fissa in una situazione temporale di transito e di divenire. Walter Vallini è un creativo a tutto campo, come conviene essere in questa nostra epoca divisa e frammentata che anela una possibile unitarietà.

Le installazioni di Vallini, al confine tra arte e design, sono caratterizzate da un funzionalismo “dolce”, in cui l’oggetto va oltre il suo compito di concreta utilità per relazionarsi con l’ambiente in cui si colloca, contribuendo a determinare le reazioni psicofisiche dei fruitori, con un’operazione dove la “technè” è intesa come capacità di progettare, di aggiungere all’oggetto un’opportuna dose di estro e creatività, emendandolo in buona parte dal suo inevitabile destino di “merce”. Vittorio Valente, che spesso con Vallini ha collaborato nella realizzazione di progetti collettivi, è un’artista dallo stile inconfondibile ed ormai largamente conosciuto ed apprezzato, centrato sullo svelamento dell’intensità e del dinamismo dell’universo biomorfico, della naturale artisticità ed apparente innocenza di temibili cellule, pronte a moltiplicarsi ed a colpirci. Il tutto con una tecnica dove l’oggetto si dispone di preferenza in contesti ambientali ma anche a parete, che si avvale di materiali plastici e di silicone con cui l’artista forgia una gamma inesauribile e mai ripetitiva di soluzioni formali, che invadono lo spazio in cui hanno l’occasione di collocarsi, con la costante capacità di scuotere positivamente i fruitori.

Roberto Zizzo è un’artista che sfida con coraggio i dogmi soffocanti del “politicamente corretto”, oggi così di voga. Zizzo manipola in mille modi e maniere, con il tramite della tavolozza tecnologica adoperata come reale protesi della manualità, il corpo umano, talvolta con uno scandaglio auto-voyeurista di particolari del suo corpo, in altri casi pescando nell’immenso vivaio di immagini anonime fornite da Internet. La sua è un’analisi da un lato rivolta verso le mutazioni prodotte dalle nuove frontiere della ricerca biologica, dall’altro tesa alla critica della mercificazione del corpo nella società contemporanea, dove esso è sempre più sottoposto alle leggi dell’apparire piuttosto che a quelle, ben più profonde ma difficili da conquistare, dell’essere. Francesca Maranetto Gay utilizza il video, la musica e la tecnologia digitale per realizzare immagini in movimento o fissate bidimensionalmente nei frames od in autonome elaborazioni formali, dove protagonisti sono la dimensione interiore ed il trascendente nell’accezione del dialogo con l’altro da sé o della contemplazione del paesaggio nel suo scorrere e divenire. L’artista si pone costantemente in una dimensione di movimento, l’azione e l’agire sono regole per lei fondamentali, nei suoi video assistiamo a dei viaggi transreali con una partenza, un arrivo ed in mezzo un turbinio di sensazioni, come appariva evidente nell’ultimo lavoro, “Video1-Def” presentato in occasione della sua recente mostra personale alla Fusion Art Gallery. (Edoardo Di Mauro, maggio 2007).

Inaugurazione : sabato 29 marzo 2008 ore 17

Museo d’Arte Moderna e Contemporanea Ca’ La Ghironda Zola Predosa (Bo)
via Leonardo Da Vinci 19 Ponte Ronca di Zola Predosa
sabato e domenica 10 – 12 15 - 18 o su appuntamento
ingresso libero

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