La magia del colore. La mostra presenta quadri e sculture dell'artista ebrea lituana dagli anni '30 agli anni '60 passando in rassegna tutto il suo percorso creativo. In esposizione alcune delle opere con le tematiche guida del suo immaginario: l'ebraismo, il sogno, la maternita'.
a cura di Franco Bonilauri e Caterina Quareni
“Due cose mi tormentavano fin da piccola; la religione e il sogno: la prima mi è rimasta in eredità dai miei genitori e si è fusa con la loro indomabile Fede che come un grosso pendolo di un orologio, si muove, si dondola (…) e regola la mia vita artistica e morale (…) ma il sogno benché proibito di crederci, affascinava e mi terrorizzava a un tempo. Lo preferivo e lo preferisco tuttora alla brutale realtà”
Giovedì 6 marzo alle ore 18.00 presso il Museo Ebraico di Bologna si inaugura la mostra “Antonietta Raphaël. La magia del colore”.
All’inaugurazione interverranno Giulia Mafai, figlia dell’artista, Paola Barbara Sega, docente di Storia dell’Arte Contemporanea dell’Università di Bologna, Angelo Guglielmi, Assessore alla Cultura e all’Università del Comune di Bologna, Simona Lembi, Assessora alla Cultura - Pari Opportunità della Provincia di Bologna, Netta Vespignani, Responsabile dell’archivio della Scuola Romana.
La mostra presenta quadri e sculture dell’artista ebrea lituana dagli anni ’30 agli anni ‘60 passando in rassegna quindi tutto il percorso creativo della Raphaël. Sarà possibile ammirare alcune delle opere più significative da cui emergono con maggiore evidenza i temi guida del suo immaginario: l’ebraismo, il sogno, la maternità.
Le grandi tele della “Lamentazione di Giobbe” e del “Quarto giorno della creazione” o il più raccolto “Yom Kippur nella sinagoga” attestano la presenza sempre viva nel cuore della Raphaël dell’educazione ebraica impartitale dalla famiglia e, in particolare, dal padre rabbino ortodosso.
La stessa impronta connota anche in maniera significativa tutte le manifestazioni della poliedrica femminilità dell’artista. Una femminilità che si esprime nell’amore per i fiori (in mostra gli olii “Gigli bianchi” e “Garofani rossi e vaso blu”), nel forte senso materno che dà vita alle numerose opere dedicate alle figlie (il quadro “Le due sorelle” e la scultura in gesso“Testa di Giulia”) e a significativi recuperi di temi classici mitologici (il bronzetto “Niobe”) e biblici (la testa in gesso di “Eva”), nella dimensione onirica che porta l’artista ad annotare sul diario i sogni notturni per rappresentarli poi nelle sue opere (“L’incubo”).
Una femminilità, infine, non omologata, che prescinde dalle convenzioni sociali e sfugge dai limiti di qualunque cliché: Antonietta è una donna colta, viaggia da sola, non ama cucinare, porta abiti comodi, come la tuta blu che indossa nel bell’autoritratto presente al Museo Ebraico, o stravaganti che sottolineano la sua “diversità” di orientale. Questo modo di essere in un’Italia cattolica e fascista dove la donna è relegata a un ruolo subalterno a quello dell’uomo, la forza e il rigore che soprattutto le sculture della Raphaël trasmettono faranno dire a Marino Marini nel 1938: “Lei non è scultrice, è scultore, signora: non deve aver paura di chiamarsi scultore”.
Completano la mostra - e il profilo di Antonietta Raphaël – disegni a inchiostro e a carboncino, fotografie e materiale documentario dell’artista (la carta d’identità del 1931, la foto della locandina di uno speciale “Noi donne” dell’8 marzo, vari articoli di giornale).
Chi è Antonietta Raphaël
Antonietta Raphaël De Simon nasce a Kowno in Lituania all’incirca nel 1895 in una famiglia ebraica chassidica. Dopo la morte del padre, nel 1905, lascia la Lituania, terra di feroci pogrom contro gli ebrei, per trasferirsi a Londra con la madre e i fratelli. A Londra studia teatro, filosofia e soprattutto musica.
Nel 1924 si sposta a Parigi e prosegue poi per Roma dove si stabilisce e conosce Mario Mafai. Intraprende qui la via della pittura e insieme a Mafai, che diventerà suo marito, e all’amico Gino Bonichi (Scipione) forma il nucleo della cosiddetta “scuola di via Cavour”, un gruppo di giovani artisti desiderosi di rinnovamento e insofferenti verso il neoclassicismo novecentista imperante.
Nel 1930, a causa di attriti con Scipione, torna a Parigi dove decide di abbandonare la pittura, terreno di rivalità con Mafai, per dedicarsi alla scultura. A partire dagli anni Cinquanta, sollecitata anche da una critica più benevola verso i suoi lavori pittorici che verso le sue opere scultoree, riprende i pennelli alternando dipinti a sculture.
Muore a Roma nel 1975.
“I quadri, anche tardi, rivelano la sua anima di sognatrice, la sua intima solarità, una dirompente joix de vivre, incarnano l’espressione della più folle fantasia disciolta in un modus irruente e spontaneo in cui il riferimento alle origini è narrazione di avvenimenti e atmosfere. La scultura, invece, rappresenta l’altra faccia della medaglia ovvero la metà in ombra, quella più problematica, riflessiva, severa, capace di esprimere l’essenza della sua origine religiosa portatrice delle stigmate dolorose di un popolo condannato alla difficoltà”. (Serena De Dominicis, Antonietta Raphaël Mafai. Un’artista non conforme, Milano 2006, pp. 62 s.)
Inaugurazione ore 18
Museo Ebraico
via Valdonica, 1/5 - Bologna
Orario: dom-giov 10-18, ven 10-16