LudoColor nasce come risposta ad una precedente mostra, The Irascible, in cui "l'intreccio compositivo dai ritmi incalzanti" e la "dimensione monumentale" dei dipinti dell'artista, sembravano rispondere "all'irruenza del suo ampio gesto" (M. Rossi). Qui la chiave e' il piacere, la conquista della bellezza del colore.
Sia lodata la tavolozza per le delizie che offre […] è lei stessa un’ “opera” in verità più bella di molte opere!
V. Kandinskij
LudoColor nasce come risposta ad una precedente mostra, The Irascible, in cui “l’intreccio compositivo dai ritmi incalzanti” e la “dimensione monumentale” dei dipinti dell’artista, sembravano rispondere “all’irruenza del suo ampio gesto” (Marica Rossi). Dalla fatica di “un’attività critica di selezione” necessaria “per governare quella energia di ribellione che è anche il segreto della sua singolare creatività” al piacere, dunque, della conquista della bellezza del colore: al recupero, secondo le parole di Kandinskij, di quel “punto di partenza” che “è lo studio del colore e dei suoi effetti sugli uomini”.
Negli intenti della mostra, anche l’anelito ad una possibilità conciliatoria che ha visto, alla fine degli anni ’50, Tancredi Parmeggiani poter giungere all’identificazione del segno con il colore, in un personalissimo uso del dripping, in cui le sgocciolature di colore generano, al contempo, una complessa orditura della superficie pittorica.
A parte l’esempio del pittore feltrino però, è doveroso registrare la tendenza culturale dell’Occidente a tenere ben distinte forma e contenuto: per usare le parole di John Gage “uno degli aspetti meno studiati della storia dell’arte sono gli strumenti dell’arte stessa”, atteggiamento che comporta, in tal modo, la negazione di un valore meritorio anche alla “bruta” chimica del pigmento. A tutto ciò si aggiunga un dato culturale importante, come la provenienza dei colori dall’India che “fornisce la melma dei suoi fiumi e il sangue di draghi ed elefanti” che fece presagire a Plinio la possibile corruzione delle austere composizioni classiche, nonché un dato materiale insito nella moderna fabbricazione dei colori: l’essere stati, al loro esordio, un sottoprodotto di processi chimici industriali.
David Batchelor, all’inizio del secolo, si è espresso perfettamente a riguardo: “la cromofobia pervade la cultura occidentale” e Julia Kristeva ha fatto ancora meglio sostenendo addirittura come “l’esperienza cromatica costituisce una minaccia per l’Ego” e sia “una frantumazione dell’unità”: una frantumazione che si registra anche nelle tavole cromatiche del ciclo LudoColor, in cui viene meno quel “coacervo delle linee e dei gorghi tumultuosi allusivi di un’unità verso cui far convergere la molteplicità di inquietanti presenze” e rilevato, invece, dalla Rossi a proposito dei dipinti del ciclo The Irascible.
Se poi Charles Blanc mette in guardia rispetto alla possibile caduta della pittura, a causa della preponderanza del colore sul disegno, proprio come “l’umanità cadde a causa di Eva”, si dedurrà che nella tradizione occidentale il colore possa essere anche “pericolosamente” femminile.
Al riguardo Marica Rossi, parlando dell’Autoritratto dell’artista da giovane, ebbe già a dimostrare la reale frantumazione della figura femminile così rappresentata, frantumazione sorretta dall’altrettanto incespicante scrittura del diario dell’artista che accompagna la mostra e rispetto al quale Anna Bognolo ebbe già a sottolineare il rapporto con quello di esplorazione delle Indie da parte di Cristoforo Colombo; (diario che, al pari di quanto ha già scritto Hans Ulrich Obrist per l’abitudine allo scrivere del pittore Gerard Richter, “scorre parallelamente all’atto del dipingere” e non lo precede, come nel caso di Barnett Newman).
“Uscire dal conosciuto, un partire, un andare al di là delle colonne d’Ercole” (A. Bognolo) e forse proprio perché per la tradizione occidentale “non esiste un principio – guida, né una solida base concettuale su cui si possa fondare una tradizione della pittura a colori, questo significa che ogni sensibilità artistica individuale ha la possibilità di scoprire un mezzo di espressione originale” (Bridget Riley).
Frantumazione è anche l’uso del pigmento colorato, polveroso e crudo di Anish Kapoor agli inizi degli anni ’80: un colore che, per dirla con le parole di Robert Delaunay, “è sia forma e contenuto” e che riesce ad inficiare Aristotele quando dubita che “i colori più belli, sparsi a casaccio non riescono a dilettare l’occhio quanto una semplice figura”.
L'artista roveretana Annamaria Targher è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Verona e laureata in Scienze dei Beni Culturali.
Ulteriori informazioni http://www.annamariatargher.it
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