In mostra opere che non lasciano spazio all'improvvisazione, eseguite utilizzando materiali e tecniche diverse, con un'essenzialita' cromatica giocata sulle terre, sui bianchi, sui neri accesi di rosso.
La femminilità, una dimensione interiore legata all’immaginazione, alla memoria, all’inconscio, una forma di conoscenza che nasce dalla sfera intuitiva, dalla capacità di cogliere sottili ma profonde assonanze tra la realtà esterna e ciò che accade nell’anima: sono queste tutte tematiche ricorrenti nell’arte di Grazia Cicchinè, sia sul piano semantico che su quello estetico.
L’essenzialità geometrica dei simboli, il punto, il cerchio, la spirale, il quadrato rimandano ad una dimensione archetipica di matrice junghiana che affascina l’artista. Ecco allora che, come una pietra gettata nel centro di uno stagno determina delle onde concentriche che si propagano, così la valenza autobiografica, affettiva di LindaLuna - la figlia - si espande, fino a diventare goethiano emblema dell’”eterno femminino”, dell’”adolescere” inteso come divenire donna, una delle fasi del ciclo esistenziale che accomuna la figura femminile a quella della Luna.
E’ la donna Eva che con la sua nascita dalla costola di Adamo incarna la separazione spirituale, fisica e psichica dell’aspetto femminile prima fuso con quello maschile nell’androgino preadamitico. Sarà lei, spinta dalla sete di conoscenza, da un amore totale per l’esistenza a voler assaggiare il frutto proibito e a volersi gettare nella vita sperimentando il bene ma anche il male, quindi ponendosi come prima espressione della Sapienza.
E’ la donna Madre, il cui utero è ricettacolo e matrice di vita, simbolo della fecondità ma anche espressione dell’evoluzione ciclica della natura composta da fasi di morte – nascita – rinascita. Il regressus ad uterum, la vita prenatale nel buio del liquido amniotico rimanda inoltre ad una fase psichica di preconscio. Il cerchio lunare, motivo iconografico di fondo di questa mostra, è un simbolo eminentemente femminile perché rappresenta l’os, l’utero e simboleggia i cicli ripetitivi.
E’ la donna Venere, nel mondo classico dea della bellezza, simbolo del fascino e della sensualità, madre di Amore e patrona della primavera, stagione della rinascita e della procreazione.
La Luna da sempre simboleggia l’elemento femminile, lo yin, regola con la sua forza di attrazione le acque terrestri: le maree, la linfa nelle piante, il ciclo della fertilità nella donna, i parti. Rappresenta anche il divenire cosmico, il tramite tra cielo e terra; le sue fasi sono emblema della mutevolezza, della sfera emotiva. È legata alla visione, al sogno, alla fantasia, a tutte quelle facoltà che appartengono non solo al femminile ma anche a quella che Jung definisce l’anima maschile.
Grazia ci offre preziosi contenitori velati, sorta di arcani reliquiari che lasciano vedere all’interno frammenti di vecchi tessuti, metafore dello scambio tra interiorità e mondo esterno ma anche della velata coltre dell’inconscio nelle cui profondità fluiscono i ricordi.
Le velature nere hanno il fascino lunare, rimandano ad una dimensione di mistero e la trama è simbolo del destino, dell’ordito esistenziale. Il tema della luna si lega storicamente con quello della tessitura: gli strumenti della filatura, che si muovono in modo ritmico e circolare, per molte civiltà rappresentano il divenire ciclico proprio delle fasi seleniche e le dee lunari come Ishtar e Persefone hanno il filo quale attributo iconografico perché si ritiene abbiano inventato la tessitura.
I bagliori che si accendono dietro i veli oscuri sono piccoli dischi in rame, metallo legato al femminile, che nella mitologia e nell’alchimia è associato a Venere perché in latino significa “metallo di Cipro”, isola su cui nacque la dea dalla schiuma del mare.
I raffinati involucri velati creati dall’artista hanno un’aura sacrale, rimandano ad un’arte legata al rito magico, all’immaginazione mitopoietica; c’è un forte richiamo alla devozione popolare, ad una religiosità intesa in senso teosofico, che spazia dall’animismo al monoteismo senza un particolare riferimento dottrinale. Le scatole reliquiario sono oggetti di grande forza estetica decontestualizzati: non custoditi in teche ma esposti, inducono il visitatore a passare dall’atteggiamento oculare, passivo, percettivo del “vedere” a quello attivo, mentale, seduttivo del “guardare” oltre il velo per ri-conoscere simboli, segni, archetipi che pre-esistono nel suo inconscio e che si materializzano nell’opera.
Una costante dell’arte di Grazia Cicchinè è la finezza estetica, che non lascia spazio all’improvvisazione utilizzando materiali e tecniche diverse, con una elegante essenzialità cromatica giocata sulle terre, sui bianchi, sui neri accesi di rosso. Permane l’uso del collage composto da frammenti di opere perdute o distrutte, di abiti dismessi, letteralmente “pezzi” del suo vissuto personale ed artistico. I materiali sono particolari: la carta, il tessuto, il filo di ferro che “sutura” forzatamente tagli, lacerazioni.
Non un’arte femminile né femminista: il sentire, il vissuto, l’interiorità di una donna diventano espressione dell’universo femminile attraverso l’opera d’arte, che è tale solo se induce all’evocazione archetipica di immagini eterne, essenziali dell’anima. Daniela Simoni
Inaugurazione: giovedì 6 marzo dalle ore 18
Ass. Culturale Arte Giappone
Vicolo Ciovasso 1, Milano
Orario: 14-19 lunedì e festivi chiuso
ingresso libero