Filippo Garrone, artista trentacinquenne, più che ricercare e trovare immagini si lascia sorprendere da quelle che affluiscono al suo immaginario. Questo processo di attesa, invece che di aggressione del mondo visivo, è leggibile nella sua opera come valore emozionale, come apertura allo stupore, in un panorama informatico tanto affollato e omologante da indurre sovente al disincanto
Filippo Garrone, artista trentacinquenne, più che ricercare e trovare
immagini si lascia sorprendere da quelle che affluiscono al suo immaginario.
Questo processo di attesa, invece che di aggressione del mondo visivo, è
leggibile nella sua opera come valore emozionale, come apertura allo
stupore, in un panorama informatico tanto affollato e omologante da indurre
sovente al disincanto.
Correndo tra una goccia e l'altra di un'incessante pioggia di immagini
interiori ed esteriori, provenienti dal suo pendolarismo tra la metropoli e
l'eremo, tra il viaggio transcontinentale e la stasi, Filippo Garrone viene
imprevidilmente e senza forzature investito da un'onda visiva che si
articola su più livelli estetici, dando luogo all'istanataneità di una
scena, più che di un'opera d'arte bidimensionale. È come se nel suo
immaginario si attivasse uno schermo visivo dove il quadro si anima al punto
di vista filmatico, materico, sonoro, mentale, senza tuttavia connotarsi
dichiaratamente come performance. Le radici di questa attitudine si possono
individuare nella sua attenzione alla pittura con destinazione Museo e nella
sua attenzione alla scenografia con destinazione Teatro, senza tuttavia
lasciar prevedere uno schieramento rigidamente definitivo da una parte
piuttosto che dall'altra, mantenendosi anzi aperto a soluzioni duali. Ed è
proprio questo il lato seducente del suo lavoro, un lavoro che si lascia
flettere come un giunco, toccare ma non intaccare, su cui si può intervenire
dall'esterno senza spersonalizzarlo, intendo dire che sia nella sua
accezione pittorica che in quella scenografica resta identificabile anche e
sopratutto quando accoglie interventi di sonorizzazione.
Un'attitudine quindi a produrre immagini duali sembra essere iscritta nel
suo DNA, nella scelta di una condizione di slittamento transcategoriale da
una forma linguistica all'altra.
Il ciclo di opere a cui lavora attualmente infatti si articola su due
supporti di pari dimensione, accostati orizzontalmente o verticalmente alla
parete e costituiti, rispettivamente, da un'elaborazione fotografica
digitale e da tela dipinta a olio o acrilico. tradizione e innovazione si
confrontano, interagendo per potenziarsi reciprocamente, mettendo in campo
due livelli visivi e interpretativi, due modalità di accostamento
all'immagine, una più legata a una definizione figurale e l'altra più legata
a una definizione del clima emotivo che investe la rappresentazione duale.
Il delirio di onnipotenza che caratterizza gli esiti istantanei delle
scorribande elettroniche si ridimensiona nell'assunzione quasi artigianale
degli strumenti del pittore e dei tempi dilatati dell'esecuzione dell'opera.
In tal modo Filippo Garrone resiste alle tentazioni di soluzioni
eminentemente grafiche e di consumabilità immediata per misurarsi ancora,
rischiosamente, con l'inconoscibile dell'opera, con la sua resistenza alla
riduzione in una formula suscettibile di riproduzione.
Resta allo spettatore giudicare se la sua opera, un'Opera d'arte nell'epoca
della sua riproducibilità tecnica, citando il titolo di Walter Benjamin, si
alimenta ancora alla luce dell'Aura oppure se è un ritaglio di quella pelle
di serpente, di estensione planetaria, che non cessa di alimentarsi al
ventre sempre acceso di una mater electronica.
Dopo i vasti consensi ottenuti con la messa in scena di Macbeth Remix (in
giro per il mondo dopo le rappresentazioni di Spoleto e Genova, 1998/99),
spettacolo multimediale in collaborazione con Edoardo Sanguineti, poeta e
scrittore, Andrea Liberovici, musicista, attore e regista, Milena Canonero,
costumista prediletta di Kubrick, destinataria di due Oscar, Filippo Garrone
è rientrato nella dimensione di un laboratorio di immagini e di idee,
situato sulla soglia del mondo virtuale e neo-techno da un versante e del
mondo innervato di effetti di realtà dall'altro.
Fino a d oggi la sua opera si presenta come una macchina desiderante,
metafora di un viaggio fantastico per mare, per terra, per aria: giusto
un'insieme di dispositivi atti a produrre affabulazione, nonsense,
paradosso, sogno, poesia dietro un'immancabile velo di nostalgia.
Viana Conti
Sede: Studio Ghiglione-Genova
Inaugurazione: Martedì 18 Aprile, ore 18.30
16123 Genova, Piazza San Matteo 6B rosso -Tel. 010-2473530 Fax 010-2473295