Sala plays Chancey Gardner. Il percorso espositivo ideato dall'artista e' costruito attraverso nuove sculture e piccole installazioni, legate l'una all'altra da una serie di riferimenti da scoprire con pazienza, uno per volta, prestando la stessa attenzione che un giardiniere potrebbe dedicare alla cura delle sue rose.
Il processo creativo sempre piu’ diffuso che vede oggi l’artista sostituirsi al curatore per affrontare direttamente la messa in scena di una mostra, é ben rappresentato dalla prima personale di Andrea Sala alla Galleria Monica De Cardenas. L’esposizione é infatti un esempio di come l’artista italiano abbia raccolto e fatto sua tale attitudine – per altro ben storicizzata - , che accanto al principio della scelta delle opere richiede la capacità di allestirle in una sequenza dotata di senso.
Ed é una storia semplice quella che Sala racconta, costruita attraverso nuove sculture e piccole installazioni, legate l’una all’altra da una serie di riferimenti da scoprire con pazienza, uno dopo l’altro, prestando la stessa attenzione che un giardiniere potrebbe dedicare alla cura delle sue rose.
La metafora del giardino é una prima e possibile chiave di accesso per attraversare un percorso che esplicitamente chiama in causa come alter ego dell’artista Chancey Gardener, protagonista del celebre film Being There (Oltre il Giardino), magistralmente interpretato nel 1979 dall’attore inglese Peter Sellers.
La storia del giardiniere, che dopo la morte del vecchio signore cui aveva prestato servizio per tutta la vita si trova per la prima volta ad affrontare il mondo esterno, diventa per Sala la “chance” per guardare l’universo delle immagini note con occhi nuovi. Come Chancey il giardiniere aveva trascorso l’intera esistenza isolato, senza mai avere alcun contatto e conoscenza del mondo reale, se non quello mediato dai programmi televisivi trasmessi dai numerosi apparecchi sparsi per tutte le sale dell’abitazione, anche Sala gioca con rinnovato stupore con i riferimenti storici e ci ricorda, nella migliore delle tradizioni di Bruno Munari, che “conoscere le immagini che ci circondano vuol dire anche allargare le possibilità di contatti con la realtà; vuol dire vedere di piu’ e capire di piu’.”
Come nel film una catena d’incidenti ineluttabili trascinano Chancey nel cuore della vita politica di una Washington in piena Guerra Fredda, i viaggi di Sala tra l’iconografia del design italiano, le geometrie primarie di Carl Andre’ e di Luciano Fabro, lo strutture modulari di Angelo Mangiarotti o ancora i volumi generosi dell’Architettura Moderna di Oscar Niemeyer sono delle apparizioni improvvise della storia, che costringono l’artista a prendere una posizione e trovare una propria scala di accesso alla realtà.
Sala sceglie di partire da forme semplici - il cerchio, il quadrato, il triangolo - moltiplicate e poi ricomposte in strutture che prendono il nome “Anonimo brasiliano”, “Cerchi”, “Finestre”. E se gia’ negli anni Sessanta Munari aveva ampiamente riflettuto nei suoi libri sulla complessa struttura di queste “forme semplici” e sul tema della natura geometrizzata dall’arte come mestiere, Sala lavora sui colori e sui materiali, ricchi o poveri, a seconda del pezzo. Legno pregiato, marmo, alluminio, combinazioni cromatiche sul rosso, verde, rosa, superfici specchianti.
E come nel film la disarmante semplicità di Chancey diventa la cornice vuota e lo specchio nel quale ciascuno dei personaggi disegna e proietta i propri desideri e paure, nella mostra le opere di Sala funzionano come piccole aree di sosta, aiuole silenziose, che accolgono inquietudini e riflessi di chi guarda. Sala ricerca le cose dietro i nomi. E per questo riesce a rivoltare come un calzino l’architettura, di Niemeyer : l’alleggerisce liberando il monumento non dalla forma, ma dalla scala. Cosi’ i paraboloidi massivi della Cattedrale diventano delle “Palme”, che si tendono come germogli verso l’alto. I collegamenti alla storia di conseguenza giocano in tutta la mostra come corto-circuiti intuitivi e a-storici, che cominciano a frullare nella testa di chi “vede ciò che sa”.
Nato a Como nel 1976, Andrea Sala vive e lavora a tra Milano e Montreal.
Dopo il diploma alla Accademia di Belle Arti di Milano, inizia a esporre il suo lavoro in mostre italiane e internazionali, quali la collettiva “Con altri Occhi” nel 2006 (Milano, Palazzo della Ragione, a cura di Roberto Pinto e Katia Anguelova, con l’opera Walk around, riflessione scultorea sulla pianta della citta’ di Milano), la IX Biennale di Architettura di Venezia nel 2004 (sezione “Notizie dell’interno”, a cura di Mirko Zardini, con AII21, rielaborazione dell’allestimento di Achille Castiglioni per la X Triennale di Milano del 1954), “Exit” nel 2002 (a cura di Francesco Bonami, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, con Untitled [Villa Savoye], maquette dell’omonimo edificio costruito da Le Corbusier tra il 1928 e il 1931).
Interessato alla rielaborazione del segno, alla reinterpretazione del significato della forma architettonica nell’arte contemporanea e alla relazione tra arte e design, ha partecipato al Workshop “Protopiti”, organizzato dalla Fondazione Olivetti di Roma nel 2003 e a Milano alle collettive “ Art and the city”, a cura di M. Gorni e B. Theis ai Cantieri Isola nel 2002 e l’anno precedente alla rassegna “Emporio” a cura di Guido Molinari di ViaFarini.
Testo di Paola Nicolin
Inaugurazione 1 aprile 2008
Galleria Monica De Cardenas
via Francesco Vigano', 4 - Milano
Orario: da martedì a sabato dalle 15 alle 19
Ingresso libero