Galleria Christian Stein
Milano
corso Monforte, 23
02 77099204 FAX 02 76281141

Fausto Melotti
dal 30/3/2008 al 9/5/2008
martedi' - venerdi' 10-19, sabato 10-13 e 15-19

Segnalato da

Galleria Christian Stein




 
calendario eventi  :: 




30/3/2008

Fausto Melotti

Galleria Christian Stein, Milano

Opere (1939-1973). Una mostra di sculture e bassorilievi eseguite in due diverse stagioni della sua vita: due gruppi di lavori distinti per tecnica, materiali e linguaggio, a riprova dell'apertura concettuale di Melotti, che con la stessa convinzione e ispirazione frequentava il mondo delle figure e quello dei simboli astratti. "Melotti ha abbracciato la natura delle cose in un'estensione che collegava all'intuizione logica la percezione sensibile e quasi mitica della realta'" Sergio Risaliti


comunicato stampa

Lunedì 31 marzo alla galleria Christian Stein di Corso Monforte 23 inaugura una mostra di sculture e bassorilievi di Fausto Melotti. Sono opere eseguite in due diverse stagioni della sua operosa vita d’artista (Rovereto 1901-1986): due gruppi di lavori distinti per tecnica, materiali e linguaggio - a riprova dell’apertura concettuale di Melotti che con la stessa convinzione e ispirazione frequentava il mondo delle figure e quello dei simboli astratti.

Le tre sculture, tutte di carattere figurativo, sono state realizzate dall’artista tra la fine del 1939 e gli inizi del 1940. Si tratta di tre modelli in gesso alti un metro circa, rappresentanti la Decorazione, la Pittura e l’Architettura: da queste invenzioni vennero ricavate le grandi statue commissionate dalla VII Triennale di Milano per il vestibolo del Palazzo dell’Arte, opere già distrutte alla fine della manifestazione ( lo si apprende da una lettera di Agnoldomenico Pica).
In questi tre gessi sono decifrabili i riferimenti culturali di Melotti che in quel decennio (1930-1940) frequenta prima gli esponenti dell’astrattismo italiano, poi Arturo Martini e Marino Marini, e s’informa sull’arte europea - soprattutto attraverso Sartoris che era in contatto con Klee, Kandinsky, Cocteau e Strawinsky. Negli stessi anni l’artista raggiunge Parigi e La Sarraz in Svizzera, dove in occasione di una premiazione incontra Raoul Haussmann, uno dei fondatori del gruppo dadaista di Zurigo. A Parigi visita l’Esposizione Universale e ha modo di ammirare le opere di Cézanne, Picasso, Matisse, Zadkine. Nella Ville lumière conosce personalmente Kandinsky. Il padre dello “spirituale nell’arte” e del Cavaliere Azzurro (almanacco fondato nel 1912) e autore di opere e di testi assai importanti per lo scultore italiano che sente come suoi i richiami al mondo della musica e dei ritmi geometrici. L’incontro avviene nello studio parigino del nostro artista che mostra a Kandinsky le proprie opere e questi esclama: “ Ici arrivés, n’est plus question de sculpture. C’est l’art”.

Fin dai primi disegni databili tra il 1925 e il 1929, il mondo di Melotti è abitato da figure femminili e forse in questo vagheggiamento dell’“eterno femminino” si riscontra il suo sodalizio con Lucio Fontana, conosciuto nell’aula di Adolfo Wildt, professore di entrambi gli artisti all’Accademia di Brera. In ognuna di queste figure femminili scopriamo ancora oggi i lineamenti e le pose di muse e di vestali, esseri mitici senza tempo, incarnazioni di un mondo spirituale e fisico che contemporaneamente sprofonda nella parte ctonia della natura e si innalza verso la dimensione più immateriale e luminosa del trascendente. Melotti prima degli anni Quaranta ha già realizzato una Madonna con bambino (1930) e soprattutto Euridice (1933), risultato paradigmatico di questo periodo, in cui già si prefigurarano le note misteriose e struggenti della futura poesia dei teatrini. Il femminile per Melotti è anche la voce della procreazione e della rigenerazione, il tramite fra l’azione e la contemplazione, tra l’interiorità e la forma creata. In molti casi le figure femminili, le piccole teste, i volti di donne dai lineamenti felini o estatici, evocano il tema della danza e del canto.
L’Architettura, la Decorazione e la Pittura stanno sedute e incastonate in una sorta di mandorla metafisca, una nicchia medioevale rivisitata in termini modernamente sintetici (Melotti fu vicino al mondo del razionalismo italiano e frequentò, assieme al cugino Carlo Belli, il “Gruppo 7” di Pollini, Terragni, Rava e Figini). Le tre figure sono vestite di morbidi panni, che aderiscono bagnati o si gonfiano increspandosi come se le sete fossero agitate da un vento mediterraneo. Melotti ha qui ricercato un genere di arcaicità sostanziale e non stilistica, di valore assoluto ma pur naturalmente vitale: gesti e soluzioni formali che Martini ad esempio poneva al centro della lingua plastica “perché la scultura trasformi la creta in mari in tempesta”. Le tre entità sono personificazioni delle arti, da percepire non solo come mestiere e disciplina, ma come esperienza misteriosa e noumenica. In questo senso certi dettagli fungono propriamente da simboli e arrichiscono di significati letterari le figure: un vaso, cubi, e altri particolari significativi. La pittura in particolare rivela dettagli dechirichiani. Nella parte inferiore del corpo, tra gli arti divaricati, è modellato a bassorilievo un paesaggio iniziatico: è forse un bosco sacro, di quelli che De Chirico incastrava tra le pieghe ioniche dei suoi manichini. Sembra di riconoscere il profilo di una fonte e di un tempietto, una scalinata, ulivi e allori. La vestale della pittura è bloccata in posa estatica e le braccia sono stese in un abbraccio spirituale, le palme rivolte verso l’alto, lo sguardo anche. La figura sta contemplando verosimilmente il sole (Apollo) e lo scorrere delle nuvole bianche (il proteiforme del divino).

Con sprezzatura formale e conoscenza intima della classicità - intesa in questi anni anche come mondo di misure e di ritmi visivi e musicali - Melotti ha qui dato un senso tutto moderno a quel villuppo di sentimenti e immaginazioni che un artista italiano sapeva essere magicamente sospesi tra naturalismo e metafisica. E proprio da questo mondo scaturirà poi l’altro suo mondo, quello dei teatrini, dei contrappunti spaziali e cromatici, delle città invisibili, il favoloso e il fantastico, il lirico e il drammatico di certe sue invenzioni filiformi, aeree e vibratili. Così egli passava dall’arte alla poesia e viceversa: con leggerezza e arguzia, come chi conosce il ritmo del gioco e le sue coloratissime variazioni.

La Decorazione, l’Architettura e la Pittura saranno attorniate da opere degli anni Sessanta e Settanta (1965-1973), grandi superfici di acciaio inox lucidato e specchiante: tavole iper-moderne movimentate da lamiere ritagliate in forme geometriche, da losanghe, cerchi e triangoli, da tondini piegati in linee sinuose e per questo musicali, da sfere sospese e bloccate come in attesa silenziosa, da barrette intrecciate a creare una griglia o una rete, il senso del vuoto e dell’immaterialità. In tutte queste opere i simboli e le strutture geometriche in realtà agiscono come canoni musicali e non solo spaziali e volumetrici: sono alla base dell’armonia (la logica classica dell’arte che contempla la relazione tra arte e musica). Armonia su cui è possibile organizzare un catalogo aperto di variazioni fino a spingersi nel mondo della dissonanza - alla ricerca di contrappunti e di intrecci dodecafonici che l’artista conosceva e sperimentava in quell’epoca. Il mondo poetico più noto di Melotti, quello dello scultore che con spazi teatrali abitati da creature del mito o della favola evoca mondi arcaici e metafisici, qui si incrocia in un concerto quasi sinfonico a quello pià austero e geometrico del compositore astratto: è un’astrazione però che dissimula dietro il vocabolario di segni geometrici un simbolismo sacrale, di antica discendenza magico-alchemica.

Nel suo esoterismo l’artista trentino però non si compiace da erudita di segni e di formule criptiche: la sua semantica è misteriosa ed ermetica perché nasce da un sentimento profondo del linguaggio simbolico. Scrive a questo proposito Germano Celant: “Il suo astrattismo va assunto in una prospettiva spiritualista e metafisica, con riferimenti alla simbologia del sacro e del magico. E sebbene appaia dissacratorio da un punto di vista figurativo, esso ammette sempre all’origine lo spirito e il verbo, il suono o l’afflato con cui l’universo è stato costruito”. Come a dire che cerchi, triangoli, ellissi, curve - oppure piani e prospettive aeree e trasparenti costruite complicando le dimensioni e le profondità o alluse con tratteggi e segni grafici - sono in realtà le forme corrispettive di una lingua universale e cosmica. Linguaggio scultoreo attraversato dal vento e dalla luce che fin dall’inizio vive sospeso tra il simbolico e l’informale, tra l’astratto e il naturale.

Tutto questo mondo plastico aveva già trovato la sua aurorale formulazione in opere astratte come i bassorilievi in gesso e le sculture realizzati intorno al 1935, dove si evidenziano riferimenti sia a Carrà o Morandi, sia a Vantongerloo e van Doesburg. Va ricordato inoltre che lo scultore in giovane età aveva frequentato la facoltà di Fisica e Matematica a Pisa e si era poi laureato al Politecnico di Milano nel 1924 in ingegneria elettronica. Il moto imprevedibile di oscillazioni visive, la costruzione di universi continui, paralleli o contrapposti è ancor più evidente quando al plastico e al visuale si sommano le vibrazioni tattili di catenelle o le parabole virtuali di pendoli. Si assiste a un passaggio dallo spazio al tempo che ancora una volta evidenzia l’interesse e la passione di Melotti per la musica: arte studiata da giovane e coltivata per sempre, qualcosa di personale e di speciale che travalica un mero aggiornamento avanguardistico e concettuale.

Sulla rivista “Quadrante” Carlo Belli ha scritto: “Il sogno è questo, raggiungere l’ordine, origine e meta di tutte le cose… Fausto ha avuto in comune con me il periodo d’una adolescenza indimenticabile, tonificata da una disciplina estremamente formativa: la musica. Egli conosce le leggi del contrappunto… Egli conosce la geometria nei segreti della sua struttura logica e ama la formula come istituzione di sintesi estrema. L’arte è istituzione matematica… Io amo queste sculture di Fausto Melotti perché le comprendo nella loro logica silenziosa e musicale. Melotti imbalsama le sue forme in un fluido cristallino, trasparente. Si capisce che questo è il risultato di una inesorabile calibrazione”.

Dunque per l’artista la musica e la poesia furono depositarie di segreti cosmici, di leggi e ritmi universali, di regole e proporzioni auree che si organizzano e si manifestano sempre diverse nel tempo e nello spazio. Fausto Melotti amava citare Costantin Brancusi, artista rumeno arrivato all’essenziale coniugando la conoscenza sacrale ed esoterica del cosmo a quella arcaica della natura. Pure Melotti ha abbracciato la natura delle cose in un’estensione che collegava all’intuizione logica la percezione sensibile e quasi mitica della realtà. Questi bassorilievi allora sono spartiti da leggere e da contemplare. E’ il ritmo il punto di riferimento poetico e formale del nostro artista: la melodia segreta con la quale il demiurgo ha costruito il mondo visibile. A questo spettacolo egli si è sempre rivolto felicemente meravigliato. Forse perché - noi diciamo - doveva acquietare una sua inspiegabile malinconia.

Sergio Risaliti

Immagine: La Neve. Milano, 1973

Inaugurazione lunedì 31 marzo ore 19

Christian Stein
Corso Monforte 23 Milano
da martedì a venerdì ore 10–19, sabato ore 10–13/15–19

IN ARCHIVIO [5]
Luciano Fabro
dal 27/10/2015 al 25/3/2016

Attiva la tua LINEA DIRETTA con questa sede