Parte 'Segnali viandanti' un nuovo progetto di Public Art costituito da una serie di installazioni audiovisive minime e itineranti da considerarsi come un'unica opera processuale e pluricellulare sparsa nel tempo e per gli spazi verdi delle citta'.
A cura di Veronica D’Auria
Parte da Roma Segnali viandanti, nuovo progetto Public Art del giovane artista Lino Strangis costituito -come scrive l’autore- “da una serie di installazioni audiovisive minime e itineranti da considerarsi come un’unica opera processuale e pluricellulare sparsa nel tempo e per gli spazi verdi delle città”. Particolarità di queste installazioni è quella di essere poste all’aperto, in luoghi di pubblico passaggio, all’interno di una tenda canadese da tre posti. Questa modalità d’installazione, sperimentata già in precedenza da Strangis, acquisisce nell’ambito di questo progetto ulteriori e più calzanti stratificazioni di senso: prima di tutto si approfondisce il concetto di “opera d’arte mobile, nomade, senza fissa dimora”, in secondo luogo va a costituirsi un’intrigante fusione di contenitore e contenuto, rendendo “la struttura architettonica che ospita l’opera parte integrante dell’opera stessa”, in cui il fruitore entra letteralmente e da cui viene “accolto”. All’interno della tenda si troveranno un’installazione audiovisiva monocanale e una serie di stills. Alcune di queste installazioni saranno in site specific in quanto i video ad esse relativi sono legati strettamente ai luoghi in cui si espongono al pubblico. Nel caso di questo primo “accampamento” infatti “i segnali viandanti sono fruibili proprio nel luogo esatto in cui ho assorbito l’ecosistema audiovisivo da cui li ho realizzati, ma in tutto ciò, la cosa paradossale, è che stando all’interno della tenda, se anche si è nello stesso luogo, si vive una dimensione spazio-temporale del tutto diversa”.
“Questo accampamento nasce clandestino, senza permesso” e trova asilo temporaneo negli spazi (all’aperto) del Cantiere Sociale Tiburtino deCOLLIamo (in via degli Alberini, a Colli Aniene, Roma) il quale, fin dalla sua fondazione si trova al centro di molte attenzioni in quanto “sorto” -spiega l’artista- “da un libero atto di riconversione di uno spazio pubblico inutilizzato in un centro polivalente di servizi al quartiere”… Per Strangis installare in questo sito il suo accampamento ha un senso molto particolare in quanto sfaccettato e controverso: appare evidente la forte componente politica dell’azione, che è una vera e propria adesione di un’opera d’arte e del suo autore all’occupazione di un suolo pubblico (altrimenti chiuso) in queste ore in corso e sotto il pericolo di sgombero. “E’ insomma un accampamento abusivo, come la mia opera […] sento fortemente che c’è una analogia tra il senso della mia azione installativa (quindi della mia opera) e quello dell’azione permanente a cui si partecipa svolgendo le proprie attività in questo luogo o assistendovi”.
Ancor più mirato è il piano metaforico dell’installazione video scelta per questa prima tappa dal titolo Auto-Poiesis Activity, la quale ponendo in forma audiovisiva il principio biologico dell’autopoiesi come ciò che accomuna atomi, cellule, organi del corpo ed ecosistemi (vedi Maturana e Varela), riassumibile (semplificando) nell’autoproduzione e autorganizzazione dei sistemi viventi tramite un continuo processo di scambio che ne muta la struttura ma non l’identità, si ricollega metaforicamente alla natura degli spazi (come il cantiere tiburtino) aperti all’interazione ed allo scambio con la popolazione: “proprio come nel corso delle attività nell’esistenza degli enti questi lasciando tracce di sé, vanno mutando l’ambiente da cui sono al contempo mutati, così accade nella struttura del cantiere sociale, organismo continuamente mutato dalle iniziative che accoglie”.
Strangis riprende una performer nel pieno di una quotidiana esercitazione di giocoleria che interpreta come “danza indotta” (rifacendosi ancora una volta all’autopoiesi che esclude ogni finalismo nelle attività degli organismi) in quanto i movimenti del corpo nello spazio/ambiente non sono fini ad essi stessi, pensati direttamente per la danza, ma conseguiti dall’intento di muovere nello spazio un corpo altro che diviene protesi, prolungamento del corpo nella spazialità… Lavorando con i software pone nel medesimo riquadro frammenti temporali della particolare attività coreografica ottenendo un effetto di moltiplicazione di tracce corporali nello spazio-tempo, le quali mutano al contempo continuamente il corpo della performer e l’ambiente stesso rendendo nel linguaggio dell’audiovisione il processo autopoietico. Il tutto proseguendo il lavoro di ricerca (caposaldo della sua poetica) riguardo alla creazione di “metafore concrete dei processi di esistenza”.
La mostra è realizzata con il patrocinio del MLAC (Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università “La Sapienza” di Roma).
Inaugurazione Martedì 1 Aprile 2008 ore 17:30
Cantiere Sociale Tiburtino
Via degli Alberini, Roma
Da Mar 1 a Lun 7 Aprile ore 17:30 – 21:30
Come arrivare: Metro B Santa Maria del Soccorso bus 309 – 450
metro B Ponte Mammolo bus 451