Designer, Grafico, Artista (1924-1995). La mostra mira a dare il senso del percorso compiuto da Sambonet: le sue esperienze, i modelli di comportamento e i riferimenti culturali che hanno animato la sua analisi della realta'. Il disegno, la pittura, la grafica e il design come modalita' con cui egli reinterpreta cio' che percepisce. Un'esplorazione avventurosa, ma anche l'esempio di un rigore morale che investe e trascende la forma immediata delle cose. A cura di Enrico Morteo.
La mostra che si apre a Palazzo Madama fa parte del programma di Torino World Design
Capital ed è un racconto aperto, fatto di relazioni, dialoghi, connessioni e di
apparenti cortocircuiti, alla scoperta della personalità complessa e affascinante di
un grande artista e designer, di un intellettuale oltre i canoni – possiamo dire –
qual è stato Roberto Sambonet.
Pur avendo preso parte da protagonista a quasi tutte le situazioni più
rappresentative della cultura del progetto industriale (commissario della Triennale,
collaboratore de La Rinascente, animatore dell’ADI e del Compasso d’Oro, art
director della prima Zodiac di Olivetti), Sambonet sfugge in effetti al consueto
profilo del designer italiano: non è architetto e rivendica fortemente identità e
formazione da artista; immerso da sempre nell’atmosfera della fabbrica, scopre il
suo talento progettuale fuori dell’azienda di famiglia, durante una lunga permanenza
in Brasile, ed elabora il proprio universo formale lontano della cultura figurativa
dello spazio domestico, a partire da una metodica analisi strutturale della realtà,
sganciandosi così da ogni remora banalmente funzionalista. Disegnatore compulsivo,
cosmopolita, curioso per vocazione, è stato capace di una visione complessa,
coniugando arte e gastronomia, cultura popolare e sintesi concettuali.
La mostra che si terrà a Palazzo Madama dall’8 aprile al 6 luglio, curata da Enrico
Morteo, non mira tanto all’esaustività delle opere esposte – tantissime e in gran
parte provenienti dall’archivio personale del maestro custodito dalla famiglia e da
collezioni private – quanto a dare il senso del percorso compiuto da Sambonet: le
sue esperienze, i modelli di comportamento e i riferimenti culturali che hanno
dunque animato questa sua analisi della realtà.
Perché di questo si tratta: la complessa produzione, le molte invenzioni nell’ambito
del design nascono da una sperimentazione costante di ciò che gli sta intorno: della
realtà appunto, che viene studiata, smontata, destrutturata, indagata nelle
geometrie nascoste “sotto la pelle” delle cose e, dunque, nella sua anatomia.
Il disegno, la pittura, la grafica e il design non sono altro che i diversi modi in
cui egli reinterpreta ciò che vede e percepisce: posti sullo stesso piano nella sua
sperimentazione hanno una loro autonomia artistica e nel contempo fanno tutti parte
di un unico processo creativo e di uno stesso progetto.
La prima sezione della mostra “Altri mondi: gli incontri, i viaggi, le collezioni,
gli scritti”– ci introduce a questa visione, avvicinandoci allo sguardo di Sambonet
e alla sua sensibilità.
In tal senso un aspetto importante della ricerca e della vita di questo artista sono
proprio i viaggi.
La scoperta dei luoghi si accompagna alla scoperta di culture e tradizioni
differenti, di cibi e di sensazioni: è un’esperienza di cui egli lascia tracce
attraverso disegni e dipinti, scritti, riflessioni.
Dalla Svezia alla Cina, dall’Inghilterra alla Thailandia, dagli Stati Uniti al
Messico, al Perù, all’India, Sambonet gira il mondo, accumula ricordi e oggetti:
raccoglie bastoni da passeggio, cappelli, paglie, maschere, sassi. Oggetti che
servirono a raccontare culture lontane in una serie di mostre allestite nei grandi
magazzini La Rinascente.
Particolarmente importanti sono i suoi primi soggiorni brasiliani, tra il 1948 e il
1953. A San Paolo entra in contatto con Pietro Maria Bardi, fondatore e direttore
del Museo d’Arte della città. Qui la sua ricerca pittorica si apre a nuovi
interessi, a nuove curiosità. Aiuto regista durante le riprese del lungometraggio
Magia Verde, percorre l’allora semisconosciuto stato di Bahia, dove forse per la
prima volta Sambonet mette a fuoco il legame indissolubile che unisce gli oggetti ai
luoghi, culture, persone. Sambonet si avvicina alla cultura india: ne studia le
tecniche di tessitura e stampa dei tessuti, le produzioni di oggetti in paglia, le
architetture, senza mai trascurare di registrare con il disegno i luoghi, i
paesaggi, la natura in cui queste culture vivono e di cui sono parte. Di rientro a
San Paolo dirige un corso di stampa per tessuti e ne disegna lui stesso. Coinvolto
da Bardi nell’organizzazione della prima sfilata di moda brasilana, disegna abiti,
sandali, cappelli che sfilano nelle sale del Museo. Prima di rientrare in Europa,
allestisce una propria mostra personale in cui riassume in una serie di quadri e
disegni le esperienze vissute.
La libertà di movimento concessagli in Brasile dal suo status di ospite straniero
gli consente di vivere una esperienza di straordinaria intensità. Ottenuto il
permesso di visitare i reparti di un ospedale psichiatrico, Sambonet conduce una sua
personale ricognizione nei terreni della malattia mentale. I suoi disegni registrano
con straordinaria precisione i tratti del disagio psichico e umano. I volti che
disegna nel manicomio di Jaquerì, poi raccolti nel volume Della Pazzia (Milano
1977), non sono solo un catalogo di patologie: i suoi ritratti sono un viaggio di
umana partecipazione, uno scavo nelle pieghe della malattia e della sofferenza.
Una sofferenza che appartiene a noi tutti, anche se cerchiamo di nasconderla dietro
la maschera della normalità. Non a caso, proprio ai ritratti è dedicata la seconda
sezione della mostra – “Il volto come paradigma di un percorso analitico”. Non solo
i volti di Jaquerì, ma una rassegna dedicata ad un genere che accompagnò l’intera
vita di Sambonet.Veloci caricature in punta di penna, acquerelli di studio, veri e
propri ritratti ad olio: tutti capaci di andare al di là del volto e mostrare
pensieri, emozioni, sentimenti.
Volti come paesaggi, accomunati da un’identica qualità dello sguardo, dalla stessa
capacità
di arrivare alle strutture nascoste delle cose. Non importa se ad essere osservato è
un sasso raccolto in Liguria (Sasso ligure, 1978) o il viso di un amico (Giancarlo
Ortelli, china su carta), se ad essere scomposto è il volto di un anonimo
viaggiatore della metropolitana (olio su tela, 1964) o la struttura nascosta del
pensiero (china su carta, 1961).
La terza e la quarta sezione sono strettamente connesse: il processo creativo e
produttivo appare delineato con chiarezza, laddove si comprende che l’osservazione
analitica della realtà si traduce ora in disegni e dipinti, ora in oggetti, e che i
disegni spesso sono comunque momenti aurorali della progettazione di alcuni pezzi di
design, senza stacchi o cesure. E infatti gli oggetti di Sabonet sono carichi si
storie, di citazioni, di culture.
Ci sono delle tematiche ricorrenti nella ricerca dell’artista vercellese: la luce,
il mare, la natura. Sambonet li guarda e li studia, alla ricerca di quelle strutture
che ne governano la forma mutevole, geometrie del divenire celate sotto l’apparente
complessità del reale.
Così studia la luce nelle sue rifrazioni, nelle geometrie che produce, nelle leggi
fisiche che la regolano; e il mare – nel corso delle sue lunghe crociere in barca a
vela – lo smonta, osservandone i movimenti, la sequenzialità delle onde, il loro
ritmo, le increspature, le forme geometriche che l’acqua disegna.
Forme latenti che egli fa riemergere nei tantissimi disegni, negli acquarelli, nella
grafica – anello di congiunzione tra l’artista e il designer – e poi negli oggetti;
così come fa con le conchiglie, i pesci, i paesaggi, le costruzioni e le
architetture umane.
Allora non è azzardato affiancare alle chine che analizzano le geometrie dei
riflessi sul mare, i triangoli in acciaio che Sambonet progetta per l’azienda di
famiglia o quelli in cristallo disegnati per Baccarat nel ’57; o ai quattro studi di
onda in matita colorata, del 1966, alcuni portaceneri realizzati nel ’71: perché
l’idea, la memoria di partenza è la medesima; non sono i disegni strettamente
correlati all’oggetto, pensati in funzione del prodotto, ma sono parte del processo
interpretativo della realtà.
Nei vasi della serie Préhistoire (1975) in cristallo Baccarat – scientifica indagine
sul rapporto fra vuoto e pieno, declinato attraverso il tema della semisfera
trasparente – così come nella Bol à caviar (1971) sempre per Baccarat, vi è tutta la
sua ricerca sulla possibilità di costruire volumi usando solo la luce; la sequenza
di pentole Center Line (1965) è una teoria sull’uso dello spazio,ma anche un omaggio
alle geometrie di Sonia Dalaunay; nei famosissimi bicchieri Empilage (1971) c’è la
ricerca della regola, la consapevolezza che ogni cosa è parte di altre e di uno
stesso universo.
Nella dimensione del progetto tutto trova un nuovo significato: l’antico e il
moderno, Rinascimento e Bauhaus, Alvar Aalto e la foresta tropicale. Per Sambonet
nulla è mera citazione, ma diventa materiale con cui costruire una nuova realtà.
Del resto egli era solito affermare che dentro la natura, dentro le strutture degli
steli delle piante si possono trovare i modelli e le soluzioni del design o che il
suo progettare una tavola per la Ginori o la Baccarat era come progettare un
quartiere, fare architettura.
Così, parlando della sua Pesciera (1957), forse il suo progetto più celebre, esposta
nei musei di tutto il mondo, egli affermava: “ la pesciera nasce dallo studio della
natura, non come imitazione ma come esempio per andare oltre”.
Una esplorazione avventurosa, ma anche l’esempio di un rigore morale che investe e
trascende la forma immediata delle cose.
Ufficio Stampa
FONDAZIONE TORINO MUSEI
GAM - Palazzo Madama - Borgo Medievale - Museo d'Arte Orientale - Artissima
Via Magenta, 31 10128 Torino
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e-mail: daniela.matteu@fondazionetorinomusei.it
Anteprima per la stampa: lunedì 7 aprile ore 12
Palazzo Madama
Piazza Castello, Torino
Orario: martedì-domenica 10-18, sabato 10-20, chiuso lunedì.
La biglietteria chiude un’ora prima
Ingressi: euro 7,50 ridotto 6,00