Pizia Arte
Teramo
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Graziano Spinosi
dal 20/12/2001 al 16/1/2002
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Segnalato da

Patrizia e Manuela Cucinella



 
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20/12/2001

Graziano Spinosi

Pizia Arte, Teramo

''Quel che mi sembra di poter rilevare, in questo mondo tenuto insieme da un filo quasi magico, nelle sculture come nei quadri di Graziano Spinosi, è la traccia di un rapporto inesaurito con la memoria di sé e del proprio cuore. Inesaurito perché inesauribile: è l'origine, il cordone ombelicale, il legame d'affetti e parentale, ma anche il filo d'Arianna, la possibilità di una via di fuga verso la salvezza, il ritorno a casa. E quale sia davvero questa casa, se quella con tetto sotto cui vivere e dormire, o quella celeste, cui tutti faremo ritorno, non è dato sapere.


comunicato stampa

Presso Pizia Arte a cura di Patrizia e Manuela Cucinella mostra personale dello scultore Graziano Spinosi.''Quel che mi sembra di poter rilevare, in questo mondo tenuto insieme da un filo quasi magico, nelle sculture come nei quadri di Graziano Spinosi, è la traccia di un rapporto inesaurito con la memoria di sé e del proprio cuore. Inesaurito perché inesauribile: è l'origine, il cordone ombelicale, il legame d'affetti e parentale, ma anche il filo d'Arianna, la possibilità di una via di fuga verso la salvezza, il ritorno a casa. E quale sia davvero questa casa, se quella con tetto sotto cui vivere e dormire, o quella celeste, cui tutti faremo ritorno, non è dato sapere.

Perché, poi, il filo diviene elemento costruttivo, ma costruttivo di un mistero formale, nel senso della forma che Spinosi dà alle sue sculture, opere, creature, figlie. Mistero che ti fa porre la domanda sull'origine di quelle forme, se nate dal lavoro di animali incantati, o dal pensiero segreto dell'uomo creatore. Far discendere il filo di Spinosi da qualsivoglia scuola informale non sarebbe del tutto pertinente, perché si definirebbe solo l'aspetto esteriore, non la sostanza, il cuore reale dell'opera, che è altro.

Intendo dire che vi è un sentimento nel suo fare che prevarica tutte le soluzioni di superficie: i materiali utilizzati vibrano di una energia che smentisce nettamente ogni impostazione di apparente immobilità.
Spinosi non vuole creare confusione. I Wire sono tessuti pettinati, non cardati: l'ordine sembra penetrare nell'informe, stabilirne la ritmica, chiara, definita, quasi una partitura musicale settecentesca. Qualche volta, e cromaticamente, può intervenire una suggestione di ruggine, ma è questione di grammatura, una semplice corda vibrante come un'arpa eolica. Se poi il filo diviene barra, la musica diventa pianistica, netta, un po' altisonante, ma di perfetta quadratura.

Questo filo, Spinosi, lo aveva in sé già da anni, se solo ci si riferisce a uno dei suoi Libri, l'uno o il due, del 1982. Non era filo di ferro, ma corda; eppure stabiliva la stessa ritmica visiva, l'uno in special modo, quel senso di pettinatura di cui dicevo. Anche dava, come il filo di ferro oggi dà, quel senso di attaccamento, desiderio di esclusiva e priorità, cordone ombelicale che non si vuole recidere se non costretti.

Che è poi, credo, l'idea portante dei Nidi. Avevo detto casa, ma anche recipiente, e recipiente per eccellenza, ventre materno, marsupio, simbolo di un luogo dentro cui stare, o in cui starsene accucciati insieme. I Nidi si collocano alti, tentano lo slancio monumentale, ma conservano una intimità sorprendente, si tengono nel formato, si contengono in gambe che paiono rami alla ricerca di un luogo in cui impiantare radici, per sempre stare. A volte paiono pronti al parto, allo sgravamento da un peso contenuto con armonia.La traccia della mano è quasi assente; l'impronta che Spinosi imprime alle sue opere è quella di una perfezione perseguita e ottenuta. Però, si badi, forma e non formalismo è la cifra che serve a una lettura corretta del suo ostinato oggettivare. Queste sculture, Nidi e Foresta del presente o Sensi del passato, Libri oppure Nature Morte, e anche Santi pennelli, sino alle numerose Patocche - di cui più avanti voglio ancora dire -, aspirano alla mimesi, cercano di essere oggetto. Ma anche questo è ciò che inizialmente appare. Poi, a lettura approfondita, ti accorgi e devi fare accorgere che il suo racconto passa attraverso il piacere di un modellare e tentare i diversi materiali; quindi all'interno del sistema scultoreo, ancorché egli eviti i materiali tradizionali, preferendo quelli del linguaggio delle avanguardie.''

''Ma non c'è ostentazione, in tal senso, non sfoggio intellettualistico, non presunzione di idealismi tautologici… Anzi, la lingua di Spinosi è una lingua semplice, distinta nella sua formulazione, la senti e la accogli subito nel cuore come il canto di una musica che conosci pur essendo nuova, una musica che è simile a una ninna-nanna che conforta e non inquieta oltre la misura del lecito. Un po' come una fiaba, che a tratti può intimorire, ma alla fine di sicuro rassicura.

Qualche volta, poi, vi è il garbo di una discreta formulazione ironica. Ma affettuosa, gentile, anche amorosa. Non è questo il caso delle Patocche? Omaggio dichiarato a tutti gli artisti che Spinosi ha prediletto nel corso della sua passione d'artista. Opere amorose, eppure, mi si perdoni la parola troppo tonda, consustanziali all'artista di cui dichiarano l'appartenenza. Queste scarpe, pantofolose e un po' da ''albero degli zoccoli'', povere per quel gusto di materiali da recupero, sostengono il peso del corpo d'opera degli artisti omaggiati. Basti ricordare quelle di Van Gogh, le straordinarie di Artemisia Gentileschi, le pittoriche di Savinio, le fantasmagoriche di Yves Klein… E via dicendo.
Anche qui, nelle Patocche, Spinosi dispiega a volte il suo filo - che sia un filo conduttore è ormai chiaro e fuori discussione - che può divenire spinato, di raffia, di rame o da cemento armato, egli sembra avvolgervi le idee, i ricordi, i sorrisi come le lacrime di un tempo e della vita. Dunque un filo, un semplice filo, cos'è mai un filo? Con il filo le donne di tutti i tempi hanno cucito e costruito metafore, hanno dato il senso della vita e, Parche, hanno filato e infine tagliato. Quindi ecco cosa è un filo: metafora della vita, del tempo che gli umani si sono dati, e, sul versante negativo, dei lacci e laccioli da quali, spesso, è tanto difficile liberarsi per poi prendere, infine, il volo necessario alla crescita, alla nostra evoluzione.
Ma Graziano Spinosi non tesse celle. Non so come egli riesca a non dare mai, con il filo di ferro, il senso della prigione. A dare, al contrario, un senso di libertà naturale, di territorio degli alberi e delle loro cortecce e degli uccelli e dei loro nidi. Natura non priva di mistero; anzi: tutta ricolma dei propri misteri: culla, nido appunto, boschetto adorno in cui trovare rifugio in ascolto di suoni del vento. Vento che ha in sé il segreto dei segreti e io lo immagino aggirarsi tra gli alberi di Spinosi, penetrare tra filo e filo, diffondere suoni di non chiara origine, sibili, schiocchi, sinfonia di strumenti a fiato. Ecco: poesia, dunque; ma per quale fonte essa scaturisca e prenda a scorrere non sapresti dire. Così, d'improvviso, un movimento subitaneo di esordio e ce l'hai davanti, chiara e leggibile, evidente in maniera impudica, eppure inesplicabile.''
Arnaldo Romani Brizzi

Pizia Arte
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