American way. L'artista con le sue tele ci fa pensare al cinema degli anni '40, alla letteratura hard boiled e soprattutto alle grandi citta' americane.
L’America di Baruffi è qualcosa che tutti possediamo dentro di noi a livello inconscio. Per questo abbiamo la sensazione del dejà vu, attraversa il nostro nervo ottico e resta nella memoria a cullarsi un bel po’. Sentiamo che sono immagini che ci appartengono anche se magari facciamo fatica a capire dove e come cono entrate e far parte della nostra vita. Attraverso il cinema e la musica, i nord americani hanno conquistato le sinapsi mondiali. Ci hanno “colonizzato l’inconscio” come dice il protagonista di “Nel corso del tempo” di Wim Wenders e continuano a farlo, ma un po’ meno. Baruffi attinge ad un immaginario a cui lui stesso si è nutrito durante la sua vita e il suo lavoro oltreoceano, durante il suo lavoro e comunque grazie al suo desiderio di confrontarsi con quella macchina visiva che è la città americana. Questa è alla fine la vera protagonista della serie di lavori, la città con le sue innumerevoli vite che ci restano attaccate per sempre.
Ma da dove nasce questa memoria? Certamente sappiamo che ci sono state di mezzo altre occasioni per costruirla, oltre alla pittura. Il cinema, quello nero degli anni ’40-’50 in cui gli eroi se andava bene erano angeli dalla faccia porca. Ma anche la letteratura hard boiled ha soffiato sul fuoco di un immaginario che continua a non staccarsi dai nostri occhi. Ma soprattutto la grande città, quella il cui centro storico si chiama down town, che non è proprio la stessa cosa.
Andrea Baruffi è questo che canta con la malinconia di un blues. La città con il suo “rush hour”, con la sua povertà sempre in agguato dietro i cartelloni pubblicitari, con le sue strade infinite e i grattacieli che salgono dove noi non arriveremo mai. La città che vive sempre giorno e notte, che vomita tutti i giorni milioni di persone per strada che vanno a lavorare o a cercare di farlo. La città con le sue oasi verdi, con le sue facce pulite che sembrano provenire da un supplemento domenicali e così infatti è.
Andrea Baruffi, designer, artista e illustratore, con uno stile sobrio, pulito, efficace, illustra un’idea di stile di vita americano inserito nello spettacolo pirotecnico della grande città, della metropoli. Il suo non è uno sguardo nostalgico anche se si avverte un certo affetto per quello che dipinge, una sorta di malinconia di non essere vissuto allora come in un quadro dell’immenso ( e amato) Hopper. La sua è un’arte che sa descrivere e sa cogliere i momenti migliori di un’immagine, il suo focus. L’artista sa anche sviluppare perfettamente le composizioni dei soggetti con punti di fuga, tagli e inquadrature che sanno colpire l’attenzione.
E’ un’arte che arriva diretta, che vuole essere quello che si vede e non vuole fare degli sconti a nessuno. Il sogno americano non esce a pezzi da questi lavori, ma è sempre meno sogno. La vita (americana) sarà pure meravigliosa, ma la fatica è tanta e il sorriso bianchissimo non sempre riesce a mascherare dubbi e difficoltà. L’arte non è propaganda, il suo sguardo è sempre critico, anche quando muove i sentimenti e ricorda la bellezza.
Allora questi quadri vanno guardati come una serie di riflessioni sul tempo, sul fatto che trascorre inevitabilmente, ma che comunque, come sosteneva un esperto come Marcel Proust, il “passato è un paese felice” . Anche il lato non scintillante della società americana diventa qualcosa di diverso se viene rappresentato. Anzi possiamo dire che la vita quotidiana diventa quasi epica in una società così competitiva e veloce. Forse non è un caso che il cinema, il grande cinema, ci abbia costruito sopra un’epopea. Così la scelta di Baruffi è proprio quella di diventare un cantore di un tempo che così forse non c’è mai stato, ma che comunque così viene ricordato. Del resto si tratta di una memoria di secondo livello, fa già parte di una sfera narrativa: cinema, arte, letteratura, musica e proprio per questo si tratta di un riflesso culturale ineliminabile ( e perché poi dovrebbe esserlo?).
Ma pensandoci bene ogni artista dipinge se stesso, anche quando sembra che si occupi di nature morte o di quello che accade all’angolo della strada. Baruffi fa lo stesso sembra che s’ interessi a delle vecchie scene di vita metropolitana, ma, in effetti, vi riflette se stesso, quello che avrebbe voluto non solo vedere ma soprattutto essere. L’arte ci dà questa possibilità che per alcuni può essere illusione, per altri ha invece a che fare con il piacere di spostarsi nel tempo e nello spazio, di moltiplicare le proprie vite, aggiungendo tempo al tempo. In questo modo l’artista si dà la possibilità di immaginarsi qualcosa che è visione e silenzio, di dare un senso alle proprie intime impressioni, spostandosi verso direzioni diversamente inaccessibili: portando anche noi, per qualche momento.
Valerio Dehò
Inaugurazione ore 18.30
Anna Breda Arte Contemporanea
Via San Francesco, 35 - Padova
Ingresso libero