Magda Milano
Maria Messinese
Carlo D'Este
Monticelli & Pagone
Carlo Michele Schirinzi
Ezia Mitolo
Jiko
Raffaele Di Gioia
Giulio Giancaspro
Stefania Stasi
Vito Caiati
Guglielmo Greco
Cibo ed arte in un rapporto di sempre maggiore intimita' in questa mostra che ha come idea di fondo il concetto di trasformazione e di recupero della propria esistenza al di la' del gusto e dell'arte.
Cibo ed arte in un rapporto di sempre maggiore intimità in questa mostra che ha come idea di fondo il concetto di trasformazione e di recupero della propria esistenza al di là del gusto e dell’arte. In che modo? Irrorando di luce la nostra quotidianità con il recupero alla consapevolezza di risonanze nascoste,di processi suggestivi ma vitali che si svolgono in noi ed a nostra insaputa. Pur tuttavia ci è voluto del coraggio per affidare questo tema ai nostri artisti che peraltro lo hanno svolto con straordinaria efficacia.
Infatti la riflessione sulla gemellarita’ è consustanziale alla nostra vita materiale ed immateriale, biologica e psicologica. Sui gemelli, vi è spesso nelle famiglie un mito: uno è assennato, l’altro ha un temperamento artistico. Non è invece affatto un mito che noi abbiamo un simile paio di gemelli nella testa. Più precisamente, le due metà del nostro cervello che non costituiscono affatto un apparentemente inutile doppione ma sono- come oggi sappiamo- due veri e propri cervelli con funzioni differenti. Un po’ più concretamente di come l’aveva inteso Goethe , il medico anatomista Wigan stabilì nel 1844 che non nel nostro petto, bensì nella nostra testa abbiamo due anime. “ Credo di poter dimostrare che, in primo luogo, ogni cerebro rappresenta di per se un organo integrale di pensiero,ed in secondo luogo che procedimenti di pensiero e riflessioni separati e diversi possono avere luogo contemporaneamente nelle due metà del cervello”.
Ma tutto nell’universo è doppio. Il mondo visibile ed invisibile;è’doppio il nostro corpo, la nostra anima. Infatti Freud inventando l’inconscio ha inventato il nostro doppio. Ed allora quello dei gemelli è un tema cosmico un tema su cui si potrebbe fondare una metafisica cioè una riflessione sull’essenza della realtà. Non a caso questo tema è ripreso nelle tradizioni mitologiche dei gemelli divini : da quella egizia con Shu e Tefnet dio dell’aria e dio dell’acqua, Geb e Nut, dio della terra e dea del cielo, Iside e Neftis chiamati i due gemelli, a quella greco romana, con Apollo ed Artemide rappresentazione del sole e della luna e Castore e Polluce i Dioscuri, ed ebraica, con Caino ed Abele che secondo alcune versioni sarebbero gemelli. Ciò che ci offre però una immagine plastica e metaforica dell’essenza del reale e va al cuore dell’ ontologia stessa del nostro essere è la configurazione strutturale del nostro cervello con l’emisfero destro e quello sinistro ed il corpo calloso che come una misteriosa e soffice galleria li collega. L’emisfero sinistro il luogo della razionalità, dell’analisi, della logica, del particolare. Quello destro capace di cogliere l’insieme, esperto nella registrazione delle sensazioni, delle immagini, abile nello sguardo simbolico.
Qual è il senso di questa differenza, qual è la ragione del loro collegamento e come e perché il cervello è la metafora della realtà? Lo ha scoperto Georg Wilhelm Friedrich Hegel che con la sua dialettica degli opposti, ( tesi, antitesi e sintesi ) si è calato nei recessi insondabili della realtà per comprenderne le infinite contraddizioni. La tesi indica la cosa in sè, la sintesi indica ciò che la cosa sarà alla fine del processo, l’antitesi esprime la fase intermedia di passaggio, caratterizzata dalla negazione. Perché questo? Perché la negazione è la chiave del mutamento! Senza un momento negativo di opposizione, non potrebbe esserci alcuna trasformazione. C’ è un gemellaggio biologico, la cui dialettica è carnale e muta, quella dei due emisferi cerebrali, ed un gemellaggio antropologico e psicologico, in cui la dialettica è tra il mondo della coscienza ed il mondo infero, il mondo dell’Ego ed il mondo del Sè. Il mondo della scienza, quello della luce apollinea, della perfezione formale corrispondono all’emisfero sinistro; il mondo infero, della magmaticità e contraddittorietà delle sensazioni, dei notturni mondi onirici all’emisfero destro.
Cosa succede quando manca dialettica fra questi mondi, cosa accade quando ciascuno di essi si lascia possedere da istanze imperialistiche tanto da voler escludere il gemello? E’ di scena la patologia , il disagio, il conformismo, il delirio, la follia. Nel caso in cui c’è dialogo riluce quella sintesi che chiamiamo creatività e genialità: soprattutto perché in questo caso il mondo dell’emisfero destro e quello infero contengono la cifra segreta di ogni individuo, piantata all’inizio dei tempi da mani misteriose, che compare quando, con l’emisfero sinistro ed il mondo dionisiaco, quello della coscienza instaura un fitto dialogo per evocarla. Ed è così che si fronteggiano da una parte i concetti del mondo che ha tentato di forgiarci e dall’altro le smentite del nostro essere che riaffiorando in questo processo dialettico che rimodella noi per farci rimodellare il mondo. E da questo festival della nostra autenticità nasce un autentica percezione della realtà non più velata da parole che non ci appartengono, da immagini piovute dall’esterno, da condizionamenti alienanti, potenti anestetici della nostra sensibilità.
In Magda Milano il tentativo di dominare la contrapposizione emisferica in nome dell’arte chiama in causa il suo stesso volto che si contrappone a se stesso in due riquadri, uno blu ed uno giallo. Il volto rappresentato nel riquadro blu riflette una aspirazione alla perfezione estetica e ad una linearità minimalista che acceca il ribollente mondo dei sentimenti. Non a caso gli occhi dell’artista sono coperti da un benda che la rende insensibile agli altri mondi, nella cornice cerebrale del blu. Il riquadro arancione fa da sfondo e contesto ad un volto che è sempre quello dell’artista pervaso da vibrazioni paniche che ricerca inutilmente, nell’altro riquadro, il materiale simbolico per realizzare una compiuta consapevolezza di sè. Anche questa che appare una dialettica impossibile ritrova nell’arte una sintesi coscienziale in cui la irrepetibile modalità della rappresentazione, lo stile per intenderci, fa da corpo calloso, adombra la funzione trascendente e dunque l’affiorare del senso della autenticità.
In Maria Messinese il conflitto tra i mondi emisferici e quelli antropologici è radicale ed insuperabile rigato di dolore e di sangue. Non c’è comunicazione spontanea e manca qualsiasi corpo calloso o sua metafora psicologica. Il collegamento è realizzato da un cruento e violento lavoro di rattoppo che cuce due tronconi dello stesso corpo, forse dell’artista, tronconi che si fronteggiano per la cintola e manifestano una cinica avulsione dall’altra parte, quella del bacino e della gambe. I due tronconi pur ricercandola, non trovano una sintesi in una percepibile individuazione. Anzi mettono in scena il dramma della disperazione perdendosi tra le loro stesse braccia percorse dal brivido di un caspico cupio dissolvi.
In Carlo D’Este è di scena la pluralità di identità coscienziale in un mondo di provocazioni sensoriali. I volti che compaiono nella sua opera fotografica denunciano perplessità ed uno sfrangiamento, in cui il collante di un superamento dialettico delle contrapposizioni tarda ad evidenziarsi, e, l’artista, pure introducendo una presa di coscienza, non esprime una superamento catartico, una potenziale fusività ma officia il rito di una liofilizzazione e laicizzazione egoica, di una verità fine a se stessa.
Gli artisti Monticelli & Pagone (M&P) hanno interpretato il tema della dicotomia gemellare con una metafora emisferica in cui il richiamo biologico non esclude quello psicologico. Dallo stile geometrico degli artisti emerge con maggior forza la contrapposizione delle diverse visioni del mondo che caratterizzano i due mondi antropologici ed emisferici. La tensione di un perfezionismo apollineo, in cui si innervano i percorsi di una tensione volontaristica ed egoica, cotto a fuoco lento nel brodo dei luoghi comuni, dell’imperialismo, della potenza e della volontà, del conformismo e della inesorabile rimozione. E’ il mondo dell’alienazione narcisistica in cui l’emisfero sinistro ha lo scettro del potere.
Lo stesso corpo nel suo risvolto sfocato e maculare rinuncia alla perfezione apollinea per diventare mappa, cifra segreta di un percorso di individuazione da compiere, di un viaggio da iniziare che attende l’ incipit coscienziale del soggetto da cui vuole essere interpellato, per riattivare un percorso simbolico da cui possa emergere il vero volto dell’artista, la sua missione segreta. Questo passaggio non è dato di cogliere nell’opera ma la significatività incontestabile delle immagine di questa dicotomia ce lo fanno chiaramente intuire. I corpi ed i volti di Carlo Michele Schirinzi sono rappresentati nella condizione di una tensiva perplessità fiondata delicatamente ad infrangere il diaframma che segna il perimetro tra il mondo razionale e quello emozionale dell’Ade . Infatti, i suoi volti, paiono quasi volersi affacciare dall’interno di uno specchio d’acqua, come esseri anfibi, alla ricerca dall’altra parte di una nuova esperienza esistenziale. Per incontrare quel gemello a cui vogliono dare le sembianze, in un contesto che determinerà la contrapposizione ma anche la catartica sintesi fusiva. Tutto ciò lo si intuisce, e, Schirinzi, con i suoi fotogrammi, sforza l’immaginazione dello spettatore in una sintesi virtuale facendogli presagire un rapporto dialettico in fieri.
In Ezia Mitolo la esigenza di una corrispondenza ed una sintesi fra i due mondi che ci abitano e l’esigenza di un loro accordo risulta palese, semplice ma non semplicistica. Questa istanza interiore trova nella nostra artista un punto di mediazione nello specchio. In questo caso lo specchio non riproduce ciò che gli sta di fronte, ma sta lì per ricreare la duplicità emisferica riunita metaforicamente dal corpo calloso che, in questo caso, è lo specchio stesso. Dunque Ezia Mitolo si confronta con le due immagini di sé, che, separatamente custodite dalla teca cranica, sono direttamente invisibili se non nella contrapposizione metaforica mediata dallo specchio. Questa diversità che si manifesta in una identità fisiognomica ed il desiderio della sua trascendenza trovano adeguata sintesi nel contatto di amore che l’artista officia nella sua opera, comparendo nelle sequenze di un incrocio di sguardi ed un contatto pudico ma intenso tra le labbra esterne ed interne allo specchio come intemerate avanguardie dei due emisferi.
In Jiko sono di scena l’inferno ed il paradiso, il caos e la quiete, la tragedia e la commedia dell’essere, la speranza e la disperazione. Dicotomie rigidamente separate e scisse nei due riquadri che nelle a loro sequenza si contrappongono l’un l’altro. In questo artista la dicotomia gemellare procede attraverso una immagine di due fotogrammi . In una compare la riproduzione di un fotogramma del test di rorschach in primo piano per rappresentare la follia che legge se stessa. Nel secondo lo stesso fotogramma rimpicciolito per far comparire la sagoma dell’artista, o chi per lui, che sta esaminando, tenendolo tra le sue mani, lo stesso fotogramma di rorschach in cui legge se stesso, l’altra parte del cervello per tentare una sintesi trascendente. Nella seconda foto sono contenuti due fotogrammi ispirati all’ olandese Hieronymus Bosch. Nel primo riquadro compare un groviglio di corpi che evocano un girone infernale. Corpi distesi in inutili tentativi di liberarsi dalle spire spietate di un serpente, che, al centro dell’immagine, si incurva per formare una sorta di panca macabra per due esseri mostruosi uniti tra loro, come fratelli siamesi, e con due strane corone in capo, come re di un mondo mostruoso che sovverte ogni logica ed ogni gusto. Nell’altro riquadro la sagoma inerte e distante di un busto di donna, ritagliata dal naso alla cintola, mentre si rassegna a vivere la scissione e la distanza, in attesa che accada qualcosa che intervenga a consentirle di tradurre in senso quel mondo infernale.
Raffaele Di Gioia si confronta con il tema dei Gemelli in una cornice ludica ed ironica. Una ragazza gioca con uno specchio che potrebbe anche essere una lente di ingrandimento. Con essa scruta il suo stesso volto e quello che le sta di fronte, per dimostrare che le dicotomie ed antinomie lavorano per conto loro. L’aria di distacco che modella gli algidi sguardi che si incrociano nelle immagini smorza una dialettica finalizzata non tanto al superamento di se stessa ma ad un gioco estetico di alternanze ed artifici. L’artista che si duplica e si triplica sol per il gusto di autorappresentarsi e farsi cogliere, nell’indeterminatezza del bianco e nero della sua foto, in operazioni che hanno un sapore alchemico.
In Giulio Giancaspro il rapporto tra il mondo del caos e quello della coscienza non è olistico, fusivo, dialettico. Dalle sue digitali acrobazie si materializzano due marinai che si confrontano in un braccio di ferro solo per il gusto di chi li guarda, mettendo in scena uno scontro fittizio tra le due istanze cerebro-antropologiche. Infatti al di là di un aggressivo volto di tigre, tatuato sul braccio in azione di uno dei gemelli, che si fronteggia con il braccio dell’altro gemello, su cui è tatuato un cuore e la parola “ love”,amore, non vi è dialettica non appare in atto un reale scontro. Entrambi sono segnati da un mondo apollineo della perfezione formale , dell’estetismo che prevale sull’estetica. Dioniso è rimosso così come non c’è traccia di un mondo infero e ctonio chiamato all’agone esistenziale. In questo braccio di ferro chiunque vinca, vince sempre Apollo, l’emisfero sinistro.
Stefania Stasi gioca sullo scenario di luce ed ombre in cui l’alternarsi della sua immagine riflette lucentezza ed opacità, straniamento e presenza, interrogatività e rassegnazione, distanza e contiguità. Nella sequenza di immagini, in bianco e nero, la complementarità gemellare, che diviene antitesi e contrapposizione, invalida di Eros, compare anche lì dove l’artista rappresenta sullo sfondo il proprio volto ben visibile e lei stessa mentre si distanzia dalla lucentezza dell’emisfero sinistro, per uscire dal focus dell’obiettivo e farsi indistinta ed inafferrabile per cedere all’istanza dionisiaca. L’artista nella luce e nell’ombra, nella problematicità e nella chiarezza nell’assenza e nella presenza, interpreta la metafora di quel nucleo, duplice e vitale, che serpeggia nelle nostre vene ed in quelle dell’universo. Vito Caiati
Inaugurazione domenica 18 Maggio alle 11.30
Casarita Show Food
via Berardi, 81/83, Taranto
ingresso libero