Pinksummer
Genova
piazza Matteotti, 9 (Palazzo Ducale cortile Maggiore 28R)
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WEB
Cesare Viel
dal 28/5/2008 al 19/9/2008
mart-sab 15-19.30

Segnalato da

Francesca Pennone



approfondimenti

Cesare Viel



 
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28/5/2008

Cesare Viel

Pinksummer, Genova

La mostra e' tutta materializzata intorno al linguaggio. La sua strategia linguistica sembra galleggiare tra presenza e assenza; la parola, materia cristallizzata, appare sul punto di sciogliersi e vivere autonomamente prendendo la forma del trasalimento dell'anima.


comunicato stampa

......................english below

Pinksummer: Artaud ha scritto a proposito del suo teatro: "Popolare lo spazio per coprire il vuoto, è ritrovare il cammino del vuoto". Artioli e Bartoli in uno straordinario saggio su Artaud hanno ricondotto la metafisica linguistica artaudiana a quella situazione di sospensione che ricerca il punto vibratile in cui ciò che è forma comincia a svanire, materia dissociata che produce energia, soffio, distruggendo il feticismo del testo e il nesso tra significato e significante. Tale parola non è raptus incontrollato, ma conoscenza delle leggi della vita che oscillano tra pieno e vuoto con un ritmo duale centrifugo e centripeto. Questa tua seconda personale da pinksummer è materializzata dal e sul e intorno al linguaggio. La tua strategia linguistica sembra galleggiare tra presenza e assenza; la tua parola, materia cristallizzata, appare sul punto di sciogliersi e vivere autonomamente prendendo la forma del trasalimento dell'anima. Il primo spettatore di questa mostra sembri essere tu: nella scena teatrale artaudiana concepita in modo circolare il vuoto sta al centro, nel punto in cui si trova lo spettatore, il pieno sta ai margini, in procinto di essere inghiottito dal nulla.

Cesare Viel: Ho sempre avuto una forte attrazione per il vuoto e i precipizi. Da bambino mi affascinava esporre una bambola al di là della ringhiera del mio balcone, al sesto piano. Restavo a guardare il corpo del giocattolo sospeso nel vuoto, tenuto solo dalla mia mano. Provo sempre un brivido creativo quando vedo i tuffatori che si lanciano dal trampolino più alto e, nel giro di qualche secondo, si trasformano in proiettili perpendicolari che bucano la superficie dell'acqua. E' come trovarsi sul bordo di una diga e osservare da una parte il lago d'acqua, dall'altra il muro verticale di contenimento, e sentire la forza immensa dell'energia lì presente. Da adulto ho capito che queste esperienze sono profondamente collegate al duplice stupore per l'esistenza – la sua meravigliosa e sconcertante gratuità – e per il linguaggio che ci contiene, ci descrive, cerca di render conto di questo vuoto, di perimetrare questa sensazione di precipizio. Il linguaggio è forse come la mano del bambino che tiene in pugno il giocattolo sospeso nel vuoto, mentre osserva se stesso, il giocattolo, l'orizzonte dellospazio in cui è immerso, tutte le cose intorno, il contesto complessivo - e imprendibile – di questa situazione.

Le parole possono far vedere tutto questo, anche quando non è più presente. Il linguaggio crea le immagini e nello stesso tempo può dissolverle. Questa capacità del linguaggio di costruire e dissolvere, far vedere eandare al di là del vedere, è per me un nucleo di energia potentissima.Dentro il linguaggio c'è una tensione ad uscire da se stesso, e c'è per questo anche una mancanza, un vuoto, che attrae. I primi spettatori di questo spettacolo dell'esistenza e del linguaggio non possiamo che essere noi stessi mentre facciamo questa esperienza, e poi cerchiamo di farla vedere anche agli altri, stupiti che non ce l'abbiano indicata subito come la cosa più importante. Perché non ce l' hanno voluta raccontare questa esperienza del vuoto in sé quando eravamo bambini? Per non spaventarci, per proteggerci? Perché è inspiegabile, paradossale, insopportabile da gestire? Non si finisce mai di fare i conti con il vuoto, con la mancanza di fondamenti. Artaud lo ha capito e attraversato fino in fondo.

P.: Platone nel "Fedro" muove da un discorso sull'amore e sulla bellezza per rivendicare il valore ontologico della parola affermando che il discorso del retore è basato sull'opinione e sul criterio della verosimiglianza e pertanto può dire tutto e il contrario di tutto, mentre il discorso del filosofo è basato sulla conoscenza dell'oggetto intorno al quale si parla e sulla conoscenza dell'animo degli uomini che il discorso deve persuadere. In questo senso Socrate, nel dialogo platonico, distingue l'oralità dalla scrittura: "Il vero libro del filosofo non è quello che egli scrive sulla carta, bensì quello che egli scrive nell'anima degli uomini". Paragona la scrittura a un gioco, quello del "giardino di Adone", in cui per festeggiare Adone si seminavano in vaso dei semi che fiorivano e sfiorivano in pochi giorni senza produrre frutti, mentre l'oralità al lavoro dell'agricoltore che porta alla raccolta del frutto, frutto che genera altri semi, e dunque l'oralità per Platone è linguaggio immortale. Il tuo linguaggio, anche rispetto al lavoro performativo, sembra cercare l'identità tra oralità e scrittura, in entrambi i casi tu cerchi una distanza dalla tua parola, l'hai già abbandonata a se stessa: anche in presenza del gesto, la parola è già stata pronunciata e tu rimani muto. La parola aleggia nell'aria come eco, ormai lontana da te.

Cesare Viel: Fin dai miei primi lavori mi sono accorto che ero trascinato dalla parola. La parola mi diceva e mi oltrepassava. Dentro la dimensione indicale della scrittura a mano – del gesto e dell'azione dello scrivere – scaturisce un moto perpetuo di potenzialità del linguaggio. Dalla parola scritta alla parola detta – la grana della voce – il gioco di rimandi è infinito. Quando faccio un lavoro di parola non so mai che cosa nasca prima, se l'oralità o la traccia scritta del pensiero. Vengono insieme, sopraggiungono, si presentano insieme, e nello stesso tempo sono già divise dentro. Sono già spezzate, attraversate nella loro contingenza. Non cerco di ricomporle – l'oralità e la scrittura – pretendendo da loro una prestazione unitaria e monolitica: un'astratta e unica voce. Mi fanno presente il loro diritto di esistere. Allora cerco di rispettare le loro differenze, il loro molteplice - e amoroso - rapporto. Cerco di far emergere la loro reciproca sconnessione. La parola si manifesta in molte forme: scritta, vista, pronunciata, cantata, pensata, rimossa, ascoltata, letta, agìta. E' subito presa in un' interminabile relazione plurale, singolare, privata e pubblica. L'eco è ciò che resta della parola che non è più tua ma ti chiede ugualmente di essere ripresa, ancora e ancora, per riproporla in un circuito che non vuole finire mai.

P.: Rispetto alla sospensione creata dal linguaggio in questa tua mostra, ci viene da guardare verso l'inespresso, o meglio verso l'inesprimibile inteso come impossibilità a esprimere descritta con meravigliosa eloquenza lirica dal Dante del Paradiso, ma con altrettanta pregnanza e concretezza da Wittgenstein nel Tractatus, il quale cercando una struttura linguistica logicamente perfetta basata su un rigido parallelismo con la realtà, traccia un limite davanti al nostro pensiero: "su quello di cui non si può parlare occorre tacere", la saggezza sta dunque nel silenzio e l'etica nella parte non scritta del Tractatus. Ammesso dunque che esista il soprasensibile, esso non può essere espresso dal nostro linguaggio essendo il linguaggio il confine invalicabile del nostro mondo costituito da fatti. Al di là di quel limite non può esistere espressione, e ammesso che esista essa non ci appartiene. In quel limite qualcuno ha intravisto il misticismo di Wittgenstein: il mistero della fede. In questa tua mostra la parola sembra tentata di incamminarsi oltre a quel limite, lo fa intuire a chi ascolta, a chi legge, e proprio in chi ascolta, in chi legge essa trova la concretezza del limite e nel contempo la sua possibilità.

C. V.: Qui, per me, si affaccia la questione centrale del corpo – e intendo anche quello dell'arte -. A volte il corpo vuole dormire fino a tardi - restare a lungo nel buio -, a volte si alza all'alba e cerca il contatto con la prima luce del giorno. La motivazione di questi comportamenti è del tutto esprimibile? Resta in fondo, dopo tutto ciò che riusciamo a spiegare, un residuo che si fa sentire, che continua a resistere e che non si può dire. E' questa resistenza a dirsi che mi interessa. Ciò che non si può esprimere lo si indica, lo si mostra, ha detto Wittgenstein. Il corpo agisce l'inesprimibile, e il linguaggio è un corpo. Ciò che non si può dire è lì davanti a noi, e noi lo vediamo. Come al mattino la prima luce del giorno. L'arte va là, e insiste, dove si annida l'inespresso. Tutta la mostra lavora intorno – e grazie – a questa dimensione.

P.: Come si articolerà il tuo progetto da pinksummer?

C.V.: Tre nuove opere: "Avvicinandoti a distanza" che affronta la dimensione verticale e frontale; "Ti sento passare" quella allargata; "Mi trovavo a casa" quella circolare, intima e avvolgente. Ruotano attorno a un evento personale, intenso. Un passaggio del limite, un incontro col vuoto, con un'assenza, con un silenzio che si trasferisce e vive nel linguaggio: camminare sui suoi margini per indicarne la forza fantasmatica e rigeneratrice. Nucleo carico di energia che si relaziona con lo spazio, e si consegna apertamente alla lettura, all'ascolto, pubblico e plurale – sia letterale – sia metaforico – degli altri.

......................english

Pinksummer: Artaud wrote the following pertaining to his theatre: "Populating the space to cover emptiness, is finding the path back to emptiness". Artioli and Bartoli, in an extraordinary essay on Artaud, brought Artaudian metaphysic linguistics to a situation of suspension that searches for the vibratile point in which what is shape begins to vanish, dissociated matter that produces energy, huff, destroying the fetishism of text and the link between signified and signifier. Such words are not uncontrolled raptus, but knowledge of the laws of life that fluctuate between fullness and emptiness with a dual centripetal and centrifugal rhythm. This second "solo" show of yours at pinksummer is materialized from, on and around language. Your linguistic strategy seems to float between presence and absence; the word, crystallized substance, seems to be on the point of dissolving and yet live autonomously, taking the shape of the sudden freight of the soul. You seem to be the first onlooker of this show: in the Artaudian theatrical stage, conceived in a circular way, emptiness is at the centre, at the point where the spectator stands, while fullness is on the outskirts, on the verge of being swallowed by nothingness.

Cesare Viel: I've always had a strong attraction for emptiness and for precipices. Since I was a child I was fascinated by exhibiting a doll on the other side of the railing of my balcony, on the sixth floor. I stood, staring at the body of the toy suspended in emptiness, just being held by my hand. I always feel a creative shudder when I see divers jump from the highest springboard and, in a few seconds, transform themselves into perpendicular projectiles that pierce the surface of the water. It is like being on the edge of a dam and looking, from one side, at the lake of water, and on the other the vertical wall of restriction, and feeling the immense force of the energy that is there. As an adult, I understood that these experiences are deeply connected to the double amazement for existence – its wonderful and disconcerting gratuitousness – as well as for the language that contains us, describes us, and tries to translate this emptiness, to limit this feeling of precipice. Perhaps language is like the hand of the child that holds the toy suspended in emptiness, while observing himself, the toy, the horizon of the space in which he is immersed, everything around, the whole – and uncatchable – context of this situation. Words let you see all of this, also when it is no longer present. Language creates images and at the same time it can dissolve them. This ability of language of building and dissolving, of letting seeing and going beyond what can be seen, is for me like a core of very powerful energy. Inside language there is a tension to escape from itself, and for this reason there is also a loss, an emptiness that fascinates. The first onlookers of this show of existence and language cannot be but us having this experience, and then us trying to show it to others, amazed by the fact that they have not immediately pointed it out to us as the most important thing. Why didn't they want to tell us about this experience of void itself when we were children? Not to frighten us, to protect us? Because it is inexplicable, paradoxical, unbearable to manage? We never stop dealing with the void, with the lack of foundations. Artaud understood that and went through to the bottom of it.

P: Plato in "Phaedrus" moves from a talk about love and beauty to claiming the ontological value of the word, affirming that the speech of the rhetorician is based on the opinion and on the criterion of likelihood, so we can say everything and the opposite of everything, while the speech of the philosopher is based on the knowledge of the object of which we speak, and about the knowledge of the mind of men who the speech must persuade. In this sense Socrates, in the platonic dialogue, distinguishes orality from writing: "The true book of the philosopher is not what he writes on paper, but what he writes in the soul of men". He compares writing to a game, that of the "garden of Adonis", in which, in order to celebrate Adonis, seeds were sowed in a pot to blossom and wither in a few days without producing fruits, and orality to the work of the farmer who tends to harvest, fruit that produces other seeds, and therefore for Plato orality is immortal language. Your language, also considering your performatory work, seems to seek an identity between orality and writing, in both case you seek for a distance from your own word, you have already abandoned it to itself: also in presence of a gesture, the word has already been pronounced and you remain mute. The word fluctuates in air like an echo, by now far from you.

C.V.: Since my first works, I've been aware that I was taken in by words. Words told me and exceeded me. Within the indical dimension of handwriting – of the gesture and the action of writing – a perpetual movement of language potentials come out. From the written to the spoken word – the grain of voice – the game of returns is infinite. When I create a work with words I never know what comes first, if the orality or the trace written in the thought. They arrive, come up, present themselves together, and at the same time are already split up. They are already broken, crossed by in their contingency. I do not try to reassemble them – the orality and the writing – expecting that they form a unitary and monolithic performance: an abstract and a unique voice. They show me their right to exist. And so I try to respect their differences, their manifold - and loving - relationship. I try to make their reciprocal incoherence emerge. Words are shown in many shapes: written, seen, pronounced, sung, thought, dismissed, listened to, read, acted. It is immediately taken into an endless plural, singular, private and public relation. Echo is what remains of words that are no longer yours but that however ask you to be taken, again and again, to repropose them in a never ending circuit.

P.: Regarding the suspension that language creates in your show, we tend to look towards the unexpressed, or better towards the inexpressible, meant as the impossibility to express described with wonderful lyrical eloquence by Dante in the Paradiso, but as well and with as much significance and concreteness by Wittgenstein in the Tractatus, who, looking for a perfectly logical linguistic structure, based on a rigid parallelism with reality, traces a bound in front of our thought: "about what we cannot talk, we must keep silent". Therefore, wisdom is inside silence and ethics in the unwritten part of the Tractatus. Admitted, then, that the supersensible exists, it cannot be expressed by our language, the language being the impassable boundary of our world made by facts. Beyond that limit there can be no expression, and admitted that expression exists, it doesn't belong to us. In that limit someone has foreseen Wittgenstein's mysticism: the mystery of faith. In your show the word seems tempted to start off beyond that limit, letting listeners, and whoever reads, sense it, and exactly in who listens, in who reads it, it finds the concreteness of the limit and at the same time its possibility.

C. V.: Here, for me, comes the central question of the body –and here I intend that of art too-. Sometimes the body wants to sleep until late - staying long in the darkness -, sometimes it wakes up at dawn and seeks contact with the first daylight. Is the reason for these behaviours completely expressible? After all we can explain, a residue that wants to be heard, that continues to resist and cannot be told stays at the bottom. It is this resistance to tell itself that interests me. What can't be expressed we indicate, we show, Wittgenstein said. The body acts the inexpressible, and language is a body. What can't be said is in front of us, and we see it. Like, in the morning, the first daylight. Art goes there, where the unexpressed is nested, and insists. The whole show works around – and thanks – this dimension.

P: How will you articulate your project at pinksummer?

C. V.: Three new works: "Avvicinandoti a distanza" that deals with vertical and frontal dimensions; "Ti sento passare" that deals with width; "Mi trovavo a casa" that deals with a circular, intimate and deceiving one. They revolve around an intense, private event. A crossing of the limit, a meeting with the void, with an absence, with a silence that moves to and lives inside language: walking on its edges to indicate its phantasmal and regenerative force. A nucleus loaded with energy that relates with space, and openly gives itself up to be read, the listened to, publicly and plurally – both literally and metaphorically– of the other.

Inaugurazione Giovedì 29 Maggio 2008 h. 18.30

Pinksummer
piazza Matteotti, 28R - Genova
Orari: Martedì/Sabato 15-19.30 e su appuntamento
Ingresso libero

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